Monday, September 14, 2020

L'ESTASI DEL NULLA a c.d. GIACINTO PLESCIA



16 NOVEMBRE 2015
GIACINTOPIA
Sorgente: tw0euufz1absz

L’ESTASI DEL NULLA  

Le ossa di questo cielo, scheletri senza ombra
Si sbriciolano nel tempo delle ninfee
Delle acque in cui affonda
Un’altra luce, un altro frutto
Come un dio del nulla
Vincitore al giudizio degli astri
Caduti in disgrazia.
 
Lontano, oltre le passioni
La paura diventa felicità quando la mancata parola
Non può più tradire i confini della neve
E gli sconosciuti segni sulla guancia dell’istante
Nascono cicatrici e il grido
E’ sentito come un ricordo.
Questo Nulla
Crea
L’essere.

Dall’aldilà del tempo.

È ESISTE c’è c’è Esiste dallo spazio.
Lei c’è tempo.
Dov’è che parta quando l’aurora è sparita
Con la lacrima del sonno del bambino
Sotto i colonnati del buio.
Non c’è più il miracolo a chi servirebbe?
Forse a una nave pazza
Che galleggia nelle ombre della tempesta
Fra monti e alberi stupiti
Verso l’oceano dall’occhio
Di Noè.

ZERO DINAMICO

“A niente riduce la morte
l’oscura cifra della vita”
(Mihai Eminescu)

Esiste un’autorità del buio,
Ed anche una del presente provocatore
Di tempeste e di fulmini indecenti.
Un santuario profanato dal sussurro
E dalle parole prive di misteri.
Si rovina con ogni chiamata del sangue
Quando un tipo di volti si vende nel sorriso dell’altro
Sia questo buio un inizio,
Un paese con aridi istanti,
Sempre pronto a notare
Lo stesso desiderio della carne
Per l’eternità del vento.
E un niente sta domandando il tremolio
Del ginocchio della neve, accessibile
Solo alle prime meraviglie
Mentre in specchi larghi quanto il cielo
Ombre avverse cercano riposo
Questo niente – i semi del mare
E della pietra che desidera volare
Verso il nido dagli occhi dell’arcobaleno –
Si trasforma in grandi forme, quasi cieche,
Corre verso la gloria dell’alba.
Si sente una voce priva di speranza
Radici di luce si slanciano verso uccelli appena Conosciuti
Con le ali che crescono dalla pioggia delle lagrime Irrispettose,
Ecco, è arrivata l’ora delle coincidenze
Ed anche quella delle mute domande,
Quanto tempo le pareti si rovinano negli specchi
Dell’azzurro rapace…
Quasi uno zero dinamico.

A– CRONOS

Il primo seme e la foglia ancora caos
E il grido dal tempo senza futuro
Diventano guide nell’agitazione del mare
E della fragile perla convulsa.
Perché crollano le arcate dello spazio
E suoni lunghi e incompresi annunciano
Il bambino-luce e l’uccello di pietra
Il volo verso le parole che tremano e sognano
Il sorriso dell’arcobaleno errante
Fra le coorti degli specchi affamati di eternità.
Alle ombre crescono deboli braccia
La carne desidera il primo sonno
Con chi potresti associarti contro la luce
E contro i cani della rugiada innocente
Come potresti impedire la foglia
Di non diventare bosco
Per rimanere un caos germogliato.
E’ un tormento quest’aria calda del silenzio
Invece di parole gli sguardi trasformano il pensiero
In straripamenti di nere acque
Sulla guancia dell’uomo
Meravigliato che diventa tanto presto
Mistero.

DOMENICA PARIGINA

Musiche di Grieg: sempre più stridenti
Nella stanza con pareti aggressive,
Mentre compatta e strana,
La pioggia
Sfolgora questo gennaio
Di nebbia e vento.
Non posso spiegarmi,
La solitudine falsifica la verità,
Mentre i nervi affamati
Ci tormentano
In un’agitazione rivoltante.
Lasciate i nemici credere
Che io sia felice.
Che è una specie di benedizione essere quà.
Non può passare la mia fantasia
Oltre la finestra della stanza.
Potrei trovare un inganno
Per comunicare con quelli che passano
Sui marciapiedi
Allontanare il patibolo della domenica
Anonima.
Piove senza riposo.
Le pareti mi circondano
Accorciando lo spazio che ho ancora,
Pareti nemiche e affamate
Nella mia domenica parigina. 


LA RETORICA DELLO SPECCHIO


Chi può essere quello che mi guarda
Dalla carne dell’infedele specchio
Un volto assente all’appello dei secondi
In guerra con il sangue proscritto.
Ho indossato gli abiti dell’altro
Senza nome e senza feste
Con documenti falsi
Mendicando per ricevere un’altra anima
O almeno per capire la magnificenza della meraviglia
E la rugiada delle rose e il cane dal cervello
Che grida la domanda: Chi sono?
Tremando si sciolgono gli occhi nell’acqua dello Specchio
Una musica spenta sembra un pianto di bambino
E quanto solenne sembra
La lacrima tradita dallo scoppio. 

LA GRANDE SVEGLIATA

Com’è pesante l’ala
Ed eccessivamente grande
Per questo volo, forse, il più lungo
Verso la gioia dei misteri compiuti.
Sopra i burroni di madreperla
Crollano ponti e ombre incatenate
E le ferite diventano fiori
All’albero della nave che ci porterà
Alla riva della notte senza riposo.
Pesante è l’ala
Sul corpo di rugiada e di parole ancora non dette
Alla grande Svegliata quando devi dimenticare tutto
Per diventare l’inizio del Supremo Effimero. 

HOMO FESTINAS IN MONTEM AMBULAT 

“L’uomo, affrettandosi, va verso la montagna”
Con gli occhi su un invisibile punto
Dove si dissolve l’ombra
Suggerendo l’orizzonte che seppellisce la preda
Una libertà simile diventa la partenza
Quando l’istante ti getta nel vuoto
Fertilizzando silenzi ancora non intesi.
Nessuno ti aspetta,
Un’aria pesante colpisce le guance
Con i cristalli del dubbio intero
L’eco, solo l’eco
Ti riconosce ancora il grido…
“Oh, mia gioia, com’è bene che mi hai ritrovato”! 

DETTAGLIO COLPEVOLE

Nel mio corpo c’è un intruso
L’immagine decorre sempre verso i ciechi
Che vendono lunette nei mercati deserti
Cerco quelle mani che mi appartengono
E gli occhi che vedono dentro il mite dolore
Simile al pugnale nell’arcobaleno apparso troppo Presto
L’inferno e il paradiso crocifiggono questa carne
Al pranzo di gala degli angeli
Desiderando sempre rimanere
Nelle icone immacolate.
Divento un dettaglio colpevole
E nel secondo frantumato sul petto dell’illusione
Son quasi contento che se mi affido a Te
Mi riconoscerai – sentenza dolce nel cambio
Della perdita del nome.

IL DOLORE COME UN RICORDO

Mi sarebbe piaciuto stendere un ponte
Fra le grida e le parole
Degli innamorati che accendono luci nelle cattedrali
Della neve.
Ma le parole diventano ombre
Aspettando invano un segno di conciliazione,
Il discorso non nasce più il mistero
E la decadenza degli specchi
Nelle tue pupille dilatate, la tela di ragno
Si sente protetta, perché il tempo delle meraviglie
E’ diventato una stagione ironica
Credevo il dolore
Sarebbe stato un ricordo
Riposo fra due gridi
Sembra però che nella parete del cuore
Il chiodo germogli invano
E il corpo è una sillaba addolorata
Sempre più debole. 

HANNO VINTO…

Le sciarpe della capitolazione, profanate
Giacciono nel fango.
La festa continua, il vino è buono,
Ubriachi, si sono presi in una danza
Finora sconosciuta.
Sono loro i vincitori, hanno vinto, i visi
Sono segnati dalla stanchezza
E da una strana tristezza.
La danza continua…
Hanno vinto …

LA SCIARPA DELL’ILLUSIONE

Bendati gli occhi con la sciarpa dell’illusione
Tento di vedere anche oltre la vista
Forse lo scintillio della scure
Che si abbatte contro l’ombra delle campane
Annunciando un altro tradimento
Perché il grido diventi
Sussurro d’amore
In questi tempi tanto affrettati
Quando si giudica tutto in contumacia.
Al margine infedele dello sguardo
La pioggia dei pensieri si scatena con violenza
Solo lei, la sciarpa dell’illusione
Come un’alta vista sulle parole
Chiama aiuto.

GLI ERRORI DELLE FARFALLE INGENUE

E forse ti ricordi
Come correva il sole
Sul tuo corpo di schiuma, mistero poco chiaro
Nato dai tuoi occhi profondi.
Ti circondava sempre un canto
La litania degli angeli innamorati
Era come una brezza sulla tua carne
Non spiegata dalle parole.
I più grandi regali ci vengono
Per la pazzia,
Qualche volta anche Dio perde la misura –
E allora ti sei fatta viva tu,
Quasi divina, quasi musa,
In quell’estate triste e allegra,
Quando le ingenue farfalle si erano disperse
Per sempre.
E io, nel tuo abbraccio
Avevo perso il nome.

LA STESSA

La torre Eiffel ci guarda con superbia
Antica e giovani ancora noi
Solo il cielo è rimasto lo stesso.

PIOPPO PELLEGRINO

Mi minaccia la presenza
Di alzare le mani, di consegnarmi.
Chi sei ?
Metà essere,
Metà divinità pagana.
Rimani così, timorosa,
Come un pioppo pellegrino nel deserto.

FIOCCO CHE TRAVERSA L’INFINITO

Siamo nel passato. Mi hai stretto gli occhi
In cui ti rispecchiavi dicendo
Di vedermi piantando un albero
Con uccelli
E la tua mano che fonde la luce.
Pesanti sono ora sguardo e lacrima
Cancellati dall’assenza
Mentre la carne si è trasformata
In lancia che sboccia nel silenzio del tempo
Così putrido.
Oggi sei come un fiocco felice
Che attraversa l’infinito
Mentre io – il freddo che ti protegge
Dal sonno che trema nella struggente fiamma.

OMBRA DELLA MEMORIA

L’uccello morto accanto al lago
E proprio la stella della solitudine precipitata
Quando stanotte la lunga veglia ha promesso
Miracolo e canto d’argento.
L’uccello nero ha le ali d’erba
E porta nel becco il mio cuore
O forse il fantasma venuto
Dall’interno del buio
Al grande incontro.
Là, accanto al lago senza rive,
Mi sono svegliato nell’ombra
Dell’uccello del sogno.

L’ELEGIA DEL SILENZIO

E arrugginito lo specchio aspettando
Un volto sulla propria misura
Il suo silenzio mi troverà stanco
Quando devastato dal fulmine griderò:
– Il buio !…
E un’ombra bianca ci annuncerà
Che specchi immensi vengono verso di noi
In coorti che intorbidiscono le acque
E le fredde età dello sguardo.
A chi domandare, chiedere l’aiuto a chi ?
Forse al silenzio che sussurra
Che verranno tempi difficili per il corpo
E per il nostro volto
Come un caldo ricco che bacia agonicamente
Lo specchio come campo di grano
Devastato da affamati uccelli. 

LA GRAMMATICA DEL CASO

Non ti ho chiesto che prezzo ha avuto
Il caso che ti ha ferito
Nemmeno l’aria che ti soffoca
Con ogni parola
Parla il volto
In attesa e l’alfabeto
Fatto da venditori che sanno
Chiarificare i suoni del sonno mattutino
E la voce sognante nel silenzio dell’ inverno
Racconta
Perché le parole sbagliano
E si chiudono nella solitudine
I sogni che rifiutano le statue di ombra
Non ti ho chiesto mai
Perché il caso ha fatto che tu sentissi
Il grido della grotta dopo la luce? 

COME UNA STELLA DI GUARDIA

Sei venuta da tanto lontano.
Concedimi di invocare il vento
Che ti ha reso fertile la speranza
O implorare il cielo per curarti
Gli occhi azzurri accesi dalle freccie
Dell’alba.
Mi dici che c’è ancora una cosa
Così pura che deve restare
Come un luogo di fiducia
Senza bugie e rimorsi
In cui il gesto rimanga stupefatto
In un’attesa che doni affidamento.
Una specie di arcobaleno ha reso tutta la vita
Sulla fronte del dio nascosto in cuori sconosciuti.
Temo che da tutte queste cose
Resti soltanto la lacrima
E tu, venuta da tanto lontano,
Come una stella di guardia. 

DA UN AVVENIMENTO ALL’ALTRO

Circondati da tanti idoli
Tutto poteva essere diverso
E l’occhio
Nascosto in altri occhi
Inganna in eterno e seduce.
Ancora abbracciamo ombre più perfide
Dell’ombra più grande
Senza sapere
Che cosa possa nascere
Dal grido
Gelato in un selvaggio desiderio.
Ecco, non è ancora sparita la speranza
In aria si deve disegnare un uccello
Con ali aperte al giorno di domani
Un solo tempo fertile, soltanto lui, adesso
Quando le statue passano da un avvenimento
All’altro.

POEMA VERTICALE

Sogno un poema verticale
Il cui linguaggio sia l’orizzonte semplice
Albero di luce e sogno di ritorno
Scala verso specchi sfigurati dalla verità
O memoria della superficie troppo calma
Forse così potrò contemplare la speranza
Fecondata in cielo
E il volto multiplo nelle statue delle nuvole. 

MONOLOGO IN CERCHIO

Vorrei rifugiarmi nel buio
Dal freddo delle idee che rischiano d’uccidere
Il miracolo dell’alba e della lacrima innocente.
E come faccio
A non svegliare il fruscio dell’istante
O le frecce velenose del dubbio
Se potessi correrei
Dietro un’ombra, prenderla come sostegno
Ma ogni volta nel fedele cerchio
Divento un mobile punto
Che misura con passi d’aria l’arcobaleno
Che resta sulla fronte e sui ricordi.  

IL TEMPO DELLA PIOGGIA

Non ho le parole dovute
Per maledire quel tempo della pioggia
Venuto all’improvviso.
Giovani innamorati passeggiavano
Come niente fosse successo.
Nel caffé traditore
Aspetto ancora la donna amata
Per andar altrove, per le strade.
È possibile che lei ci arrivi,
Ma non mi riconoscerà più.
Mai più.

DIALOGO CON NESSUNO

Di nuovo ti chiedo se si può vivere confusamente,
All’improvviso, senza destino e giorni belli
So che mi senti, perché non rispondi?
Mi dico che il tuo silenzio è un segno che mi allontana
Sempre di più da me stesso
Stai immobile, con occhi fissi, inespressivi
Quasi semitrasparente
(Credo di non sbagliare se ti immagino così)
E sulla neve dei pensieri i fuochi si accendono
Come tanti occhi immensi, pianti per sempre
Cercando un nome per una voce sconosciuta
Tacere significa qualche volta un’altra lingua
Che scateni la sofferenza
Quasi un dialogo con Nessuno
Ma specialmente con te.

FELICITA CON PIEDI D’ARGILLA

L’aria ha preso il colore dei giovani germogli
Dal bosco dei sogni compiuti
Senza ombre, adesso,
Strade miracolose portano verso il cuore
La pioggia d’estate
Mentre gli angeli dell’arcobaleno giocano
Fra le nuvole scacciate
Dagli occhi del girasole.
Domani tutto sarà un’alchimia segreta
Dell’istante tradito
Dalla felicità con piedi di argilla –
Ombra senza futuro,
Quasi sonnambula.

CUEVAS DEL DACH

Una goccia d’acqua affronta il tempo pietrificato
In silenzi e istanti lunghi quanto millenni.
Nella pancia del monte c’è un silenzio strano
Vinto
Dalla luce degli occhi dilatati dalla meraviglia.
Stalattite straniera come lingue di diavoli
Seducono
Le vergini di calcare e le ombre pietrificate.
Miracolo compiuto
Quando nel lago senza rive galleggiano navi di pietra
O di sale
E un’orchestra riempie l’udito
Con melodie d’un paradiso sconosciuto,
E noi, per l’istante
Folgorati da meraviglia
Abbiamo perso i nomi.

MAESTRO ANONIMO

Mattina di marzo
Una splendente ragazza in bicicletta
Pedala lungosenna.
I raggi del sole
Le accarezzano il viso giovanile:
Primavera di un maestro anonimo…

LA LACRIMA DI BELLADONNA

All’estremità della strada, oltre l’arcobaleno
Impossibili segni
Vibrano in immagini sfocate
Un linguaggio che si moltiplica in emozionanti frutti
Dove arriveremo con le nostre domande
Con la fusione delle consonanti stringendo i denti
Verso l’inizio in cui il pianto
E’ un dialogo con l’eternità
E il sogno una negazione con due capi
Non c’è più bisogno che ricorriamo alle parole
Solo la luce tramutata in una sintassi
Del senso e del respiro tra i punti
L’uccello diventerà una specie di pietra volante
Con troppe ali, sprezzando lo spazio
E le dogane del cielo.
Fra tante tentazioni e disillusioni
L’unica salvezza che ci resterà
È la lacrima di belladonna
Che ci salverà dall’inganno.

LA PALLOTTOLA DELLA CONDANNA

La felicità d’oggi fa parte
Della sofferenza di domani
Quando l’aria diventerà stigmata
Sull’occhio ritornato verso sé
Nella ricerca dell’immagine che illumini il ricordo.
La sofferenza d’oggi diventerà domani
Miracolo sulle acque della luna
E alle spalle cresceranno ali
Per il volo oltre l’ombra
Quale istante colpirà la pallottola della condanna
E l’ammazzerà nel grido dell’alba?
Quello della sofferenza?
Quello della felicità?

L’ORLO DELLE MASCHERE

Sono un’ombra che si contempla
Negli occhi degli altri – specchio di neve
Ritenendomi l’immagine sterile
Secondo l’interesse.
Per questo mi metto sulla faccia maschera dopo Maschera
Per ricuperarmi dal tempo che lascia
Segni invisibili sulla carne del naufragio
Delle tenebre quotidiane.
Come un inizio del mondo
Sento il mio sangue – tigre che morde affamata
E selvaggia dal tempo insufficiente,
Quasi inabile nella disputa infedele
Con i sogni che non hanno più pazienza.
Mai ho sentito l’orlo delle maschere
Ferita dal volto perfido
Forse esitano, mi dicevo una volta
E di sicuro, ora, le mie maschere
Non mi sopportano più, cercano un altro
E per questo non mi danno più retta.
Ma chi seguirà ?

PENSIERI ROTTI

Un fiore chiede all’altro:
“Cosa hai fatto ieri?”
“Mi sono lasciato sedurre dal sole”
*
“Che cosa fai dalla mattina alla sera?”
“Mi sopporto”, risponde il Poeta.
*
Sento che amo
Ma so che l’amore non esiste.
*
L’ora della chiusura è suonata
Nei giardini dell’amore.
*
Dammi, o Dio, un cuore
Che ascolti anche me!

UN ALTRO UNIVERSO, UN’ALTRA ESISTENZA

Non il tempo, ma l’amore condanna
Alla scomposizione,
L’albero sacro è adesso putrido,
Feretro per i sogni e gli istanti belli di una volta,
Legno secco è il corpo oggi,
La carne eredita la puzza
Delle giovani carogne – pensieri che una volta
Facevano gli dei diventare schiavi.
Al pranzo festivo dell’ amore le parole chiamavano
L’infelicità, stanche di ciò che sarebbe successo.
Abbiamo ingannato il cielo e la compagnia del Bene.
Siamo corsi troppo, nudi e muti
Verso il falso miracolo – eternità di nebbia
E cosa ci è rimasto ?
Il tempo ci ha presi facilmente
Nel suo delirio sereno. Corriamo, corriamo…
Non abbiamo fatto alcun patto con la vita,
Nessuna convenzione con la morte –
È solo una specie di inizio e di fine
Degli istanti traditori, abisso che
Ti assorbisce sdolcinature
Nel nome dell’agonia finale.
Cosa dovremmo fare?
Dacci, o Dio, un altro universo
E un’altra esistenza
Per opporci a Te
Con amore e senza vergogna. 

RICONOSCIMENTO

Uscire da sé – una specie
Di urlo
Quando la primavera diffamatrice non ti riconosce più
Diventando una caccia con il freddo contagioso,
Con il tradimento che si è attaccato selvaggio
Alle labbra che hanno dimenticato da tanto tempo
Il bacio che brucia.
So tante cose:
Ho imparato a memoria la danza della tempesta
E l’odore lasciato
Dalle bestie di guardia
Però nessuno può strappare
Lo sperone del dubbio
E l’acrobazia del pensiero
Sull’orlo del silenzio e della pena
Uscire da sé
E senza ritorno
Con gridi e ricordi
Quando i cani affabili sapranno strappare
L’osso più dolce della paura.
Ahi, no, ho appena insegnato alla solitudine
Come riconoscermi. 

IL DOMATORE DI SERPENTI

Si ferma ad ogni casa
Le bacia la soglia e sveglia il serpente
Che sogna bianchi uccelli con ali aperte
Alla primavera.
Questo gioco l’ha imparato da molto.
L’aveva saputo da bambino quando i segni
Della cenere imploravamo aiuto
E la gente invocava la pioggia
Per spegnere il fuoco della luce.
Sia questo silenzio l’inizio
Della mattina con solitudini scacciate,
Per l’orgoglio ucciso?
Escono serpenti da dovunque,
Dall’anima e dai sussuri d’amore
Con sussurri segreti e con gioia selvaggia
Ma la tua voce li doma
Con suoni d’arpa misteriosa, mai vista.
Quando il domatore di serpenti mi chiamerà per nome
La memoria starà di guardia
Con il coltello dell’istante
Che mi vorrebbe uccidere.

CLESSIDRA

Corre la sabbia, corre
L’uomo si trova fra la sete e il grido
Nel deserto che rimarrà
Senza risposta.
Si può parlare di una nascita nel silenzio nuovamente
Incarnato
Il dolore chiama in aiuto gli ospedali della neve
Aspetti una mano, una parola, un veleno
Una notte ignorata dal profumo delle labbra
Una stagione di vocali in cui creda
Come in un amante genitore.
Corre la sabbia, corre
Piano fra il cielo e la terra
Ahi, il dissolvimento, il dolce passaggio
Come un bacio bugiardo sulla bocca
Del Niente.

SUL MOTIVO DEL LABIRINTO

La luce impotente mi ha accompagnato
Fino alla soglia della tentazione
Poi, da solo, con segni silenziosi in mano
Mi dico che gli occhi sono diventati
Superflui
Che qualche volta il buio è molto più profondo
Che molle e sapiente è l’alba che attraversa la memoria
Cosa fa con tanta vista
Quando l’orizzonte è così vicino,
Popolato da chimere sfidanti
Appena intravedi un’ombra diritta
Come un segno esclamativo
E ti chiedi se per caso
Gli occhi non sono troppo stanchi o bugiardi
Con le mani allungate, per il buio pesto,




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