L'oblio è diventato enigmatico.
In questa ottica l'ars memoriae esprime il legame ad un passato recente e remoto, e la possibilità di costruire un sapere universale.
A proposito della magia, Plotino si interrogava: Ma come spiegare le forze magiche? - e rispondeva - Mediante la simpatia [corsivo mio]: fra le cose affini regna naturalmente un accordo e fra le dissimili un contrasto; eppure nella loro varietà le molteplici potenze contribuiscono all'unità dell'organismo universale.
E infatti, anche senza alcuna pratica magica, molte cose nascono come per magico incanto: poich� nell'universo la vera magia sono l'Amore e la Contesa�27. Sorprendenti sono le analogie con il De vinculis e il De magia, dove il Nolano si esprimer� in termini praticamente identici: la simpatia occulta, che lega le cose tra loro, permette l'unit� armonica dell'universo infinito. l vuoto, al nulla. Dividendo la materia in parti, secondo Bruno, ci si imbatte nelle unit� viventi fondamentali: le monadi. La materia, pur essendo infinita, non � divisibile all'infinito, perch� � costituita da unit� viventi minime, che ne garantiscono la vita e ne formano la struttura. Le monadi sono delle unit� indistruttibili: gli �atomi della vita�. L'idea del �minimo che vivifica tutte le cose� rappresenta il punto di intersezione tra fisica e metafisica, cos� come il concetto di monade. Siamo in questo modo all'interno di una visione ermetica del mondo: si tratta evidentemente dell'adorazione della Mens insita rebus, di origine stoica. Conoscere l'universo significa conoscere l'effetto infinito della volont� divina. Non si tratta quindi di conoscere l'essenza divina in se stessa. L'infinit� della divina sostanza garantisce l'infinit� dell'universo e ne impedisce una comprensione diretta da parte dell'uomo. Se la natura divina � infinita, e �lontanissima da quelli che sono l'ultimo termine del corso della nostra discorsiva facultade�, allora la conoscenza di Dio non pu� che essere, a livello intellettuale, negativa. Le cose cambiano se si passa al piano teurgico, proprio della magia. Qui la conoscenza umbratile viene superata grazie alla possibilit� dell'ascesi per gradi. L'ascesi per gradi � il fine supremo dell'azione magica. 10. La filosofia naturale e magica di Bruno non � affatto a-teologica. Ma qual � il nucleo centrale dell'ermetismo? Il tema centrale della filosofia ermetica � il rapporto dell'uomo con Dio. Il problema quindi della realt� e della salvezza dell'uomo. Da qui la centralit� dell'idea dell'uomo che si innalza all'Infinito, alla Divinit�. Il problema soterico viene per� a delinearsi in uno sfondo del tutto particolare: caratteristica dell'ermetismo � anche la visione della materia intesa come sede dello spirito divino. L'anima del mondo � presente in ogni cosa, e nell'anima � presente l'intelletto universale, il pensiero di Dio, se non Dio stesso. E' quindi la vitalizzazione della materia a fondare la realt� soterica dell'azione magica. Pi� che attivit� tesa alla realizzazione di fini personali, la magia � infatti, prima di tutto, sapienza, ascesi. Da qui il collegamento con il concetto di scala naturae, centrale nella dottrina della materia infinita. In realt�, la stessa concezione della infinitudine del tutto sembra provenire direttamente dall'ermetismo.. �Ci� detto, [Poimandres] tenne a lungo il suo sguardo fisso nel mio, cos� che un tremore si impadron� di me alla sua vista. Poi sollev� lo sguardo ed io contemplai nel Nous la luce esplicarsi in un numero incalcolabile di potenze, luce divenuta parimenti un mondo senza limiti [k�smon aperi�riston]. E vidi che il fuoco, avvinto da enorme potenza, aveva raggiunto una visione stabile, dominato da quella forza. Questa � la visione che io contemplai nella mente, guidato dalla parola di Poimandres. Visto il mio smarrimento, egli riprese a dire: "nel Nous tu hai visto la forma archetipica, il Principio anteriore del Principio infinito". Questo mi disse Poimandres. Ed io gli chiesi: "da dove hanno tratto la loro esistenza gli elementi della natura?". Egli di nuovo mi rispose: "Dalla volont� di Dio, la quale, una volta ricevuto il logos e visto il meraviglioso modello di quel cosmo, ne produsse un'imitazione ordinandosi anch'essa in un cosmo, con i suoi elementi e con le anime da lei generate"�43. Si tratta del linguaggio magico, fatto di immagini e numeri, simboli in grado di corrispondere perfettamente alla natura e operare quindi concretamente e con successo su di essa. Un linguaggio perduto, che solo il mago ha conservato, un linguaggio che permette all'uomo una effettiva imitatio naturae, in grado quindi di mettere l'uomo in comunicazione con l'Anima del mondo, (attraverso la scala naturae), e che supera l'aporia imposta dalla struttura umbratile della conoscenza umana. L'azione magica, che ha per oggetto e fine l'ascesi all'Infinito, parte proprio dal riconoscimento della natura umbratile, invalicabile, della conoscenza umana. Nonostante questa �apertura�, viene comunque ribadita la validit� della dottrina ermetica, secondo la quale la verit� � stata rivelata all'uomo in certi tempi stabiliti, che si ripetono secondo una sequenza prestabilita. Appunto un profeta si sentiva Bruno, e cos� concepiva la sua �missione� fra gli uomini. Leggiamo infatti, sempre nello Spaccio: �quel dio come absoluto, non ha a che far con noi; ma per quanto si comunica alli effetti della natura, ed � pi� intimo a quelli che la natura istessa; di maniera che se lui non � la natura istessa, certo � la natura de la natura; ed � l'anima del mondo, se non � l'anima istessa: per� secondo le raggioni speciali che voleano accomodarsi a ricevere l'aggiuto di quello, per la via delle ordinate specie doveano presentarli avanti: come chi vuole il pane va al fornaio, chi vuole il vino, va al cellaraio [...] e coss� va discorrendo per tutte l'altre cose: in tanto che una bont�, una felicit�, un principio absoluto de tutte ricchezze e beni, contratto a diverse raggioni, effonde gli doni secondo l'exigenze de particulari. Da qua puoi inferire, come la sapienza de li Egizii, la quale � persa, adorava gli coccorilli, le lacerte, li serpenti [...]; non solamente la terra, la luna, il sole ed altri astri del cielo; il qual magico e divino rito (per cui tanto comodamente la divinit� si comunicava a gli uomini) viene deplorato dal Trismegisto, dove, raggionando ad Asclepio, disse: - Vedi, o Asclepio, queste statue animate, piene di senso e di spirito, che fanno tali e tante degne operazioni? Queste statue, dico, prognosticatrici di cose future [...]? Non sai, o Asclepio, come l'Egitto sia la imagine del cielo [...]? A dir il vero, la nostra terra � tempio del mondo. Ma, oim�, tempo verr� che apparir� l'Egitto in vano essere stato religioso cultore della divinitade; perch� la divinit�, remigrando al cielo, lascier� l'Egitto deserto [...] si troveranno nuove giustizie, nuove leggi, nulla si trovar� di santo, nulla di relligioso�50. A questo punto legherei l'idea di un Dio che si produce in una natura infinita alla immediata distinzione tra Dio inteso come Assoluto e Dio inteso come Mondo - ossia alla distinzione, a livello di teoria infinitista, tra infinito attuale e potenziale. Distinzione correlata alla pluralit� - sulla terra - dei �doni divini�, che come tali possono e devono essere adorati come segni, indicazioni, rivelazioni. Ed � proprio alla molteplicit� di forme che ha assunto storicamente la Rivelazione, che viene legato, subito dopo, il lamento ermetico: la religione egizia - la magia - sar� dimenticata dall'uomo, e la divinit� se ne torner� in cielo, perch� inutili saranno state tutte le sue manifestazioni, tutti i suoi doni. La renovatio mundi sar� possibile solo quando sar� ristabilita questa comunione tra uomini e d�i, resa possibile dall'antico linguaggio perduto, quello degli Egizi. Emerge gi� con chiarezza la costante del tema della �crisi universale�, non solo della intrinseca aporia umana, ma della contemporanea tragica decadenza. Si tratta ovviamente di un tema strettamente legato alla infinitizzazione del cosmo e alla conseguente divinizzazione dell'uomo. Ed � proprio dal nesso conoscenza umbratile - scala naturae che si sviluppa la possibilit� di superare l'aporia umana, la tragica crisi in cui � sprofondata l'umanit�. Del resto, proprio confidando nell'azione magica che si adegua all'infinito, Ermete Trismegisto aveva descritto l'uomo come magnum miraculum: esiste quindi nell'uomo la potenzialit� del divino. Inoltre si pu� anche notare come, nella nuova visione del cosmo, la scienza sia relegata a tecnica, per di pi� alla sua stretta funzione di utilitas. L'infinito non � giustificato da un punto di vista matematico, scientifico, ma religioso, magico. La stessa esplosione di Teofilo-Bruno nel Dialogo quinto del De la Causa ha un sapore squisitamente religioso, di estasi mistica: �� dunque l'universo uno, infinito, immobile. Una, dico, � la possibilit� assoluta, uno l'atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo ed ottimo; il quale non deve posser esser compreso; � per� infinibile ed interminabile, e per tanto infinito ed interminato, e per conseguenza immobile�55. Copernico da parte sua fornito un appoggio teoretico sensato e buono alla nolana filosofia, ma � rimasto matematico, � rimasto cio� solo alle porte della nova filosofia. Il rapporto tra Bruno e Copernico verr� comunque meglio definito quando si analizzer�, in sede cosmologica, il problema dell'infinito. Per ora si deve semplicemente contestare l'idea che in Bruno l'infinito trovi un qualsiasi fondamento scientifico. La scienza serve solo a spiegare l'infinito con l'analogia, ma la teoria dell'infinito non poggia mai, in Bruno, su basi scientifiche. Anzi, all'infinito corrisponde la perdita totale dei sistemi di riferimento del finito, del misurabile, della scienza: �nella sfera, medesima cosa � lunghezza che larghezza e profondo, perch� hanno medesimo termino; ma ne l'universo infinito medesima cosa � larghezza, lunghezza e profondo, perch� medesimamente non hanno termine e sono infinite�57. Trattare l'infinito solo con metodo scientifico � per Bruno assurdo: si tratterebbe infatti di misurare e comprendere Dio, I'Inconoscibile. La matematica pu� misurare gli accidenti, non la sostanza. L'infinito non ha parti misurabili: se ne avesse - e non ne ha - le parti maggiori sarebbero equivalenti alle minori: i secoli non sarebbero pi� lunghi dei minuti, n� i chilometri pi� estesi dei centimetri. Ma nell'infinito tutte queste determinazioni vengono a cadere, perch� l'infinito � appunto il non-misurabile, ci� che �non posser esser compreso�, l'Insondabile, Dio. L'unica visione che di esso si pu� avere � appunto un'umbra, un riflesso. E' un'idea, quella dell'umbra, certamente non nuova nella storia della filosofia. In Bruno per� essa assume (a differenza del platonismo) forti connotazioni magiche. L'umbra rientra infatti nel quadro epistemologico presentandosi come punto d'unione tra il concetto di scala naturae e infinit� dell'Unum. Si tratta di un'ombra metafisica, ovviamente, la cui individuazione nel sistema magico del mago deve poter permettere all'uomo l'ascensus nella scala, fino alla contemplazione dell'Unum. �L'ombra segue contemporaneamente il moto del corpo e della luce. Il corpo si muove? L'ombra si muove. La luce si muove? L'ombra si muove. Si muovono l'una e l'altra? L'ombra si muove [...]. Non ti sfugga infine la somiglianza delle ombre con le idee�58, aveva scritto Bruno nel De umbris. CAPITOLO II LA METAFISICA DEL DE UMBRIS IDEARUM �In Orizonte quidem lucis & tenebrarum, nil aliud intelligere possumus quam umbram. Haec in orizonte boni & mali: veri & falsi. Haec est est ipsum quod potest bonificari, & maleficari, falsari, & veritate formari: quodque istorsum tendens sub istius, illorsum ver� sub illius umbra esse dicitur�59. �[...] non inquam umbra abducens � luce; sed conducens ad lucem, quae etiam si non sit veritas: est tamen � veritate, & ad veritatem, ide�que in ipsa non credas esse errorem sed veri latentiam�60. 1. Una metafisica ermetica. Leen Spruit aveva giuistamente sostenuto che �il quadro metafisico della conoscenza nel De umbris idearum � quello della metafisica della luce: la luce divina che pervade la realt�, rende possibile all'uomo risalire nella conoscenza e di ritornare alla fonte della luce, fondamento ultimo della realt�61. L'analisi del problema epistemologico che segue a questa felice affermazione tende per� a escludere drasticamente l'importanza e la centralit� dell'elemento ermetico, e a fare un esclusivo riferimento alla tradizione genuinamente filosofica che ha preceduto il Nolano: �Le considerazioni epistemologiche di Bruno vanno interpretate [...] quali termini costitutivi di una tradizione gnoseologica, e non ermetica, che comprende sia autori platonici che aristotelici�62. Nonostante le conclusioni di Spruit, che saranno poi riprese in parte da Michele Ciliberto, non mi sembra per� possibile togliere al testo quel sapore ermetico che caratterizza non solo lo stile, ma anche la struttura e il significato. Credo infatti che quella del De umbris sia una metafisica anzitutto di tipo magico-religioso, e, visto che in sostanza la modalit� epistemologica ricalca in Bruno la struttura metafisica della realt�, credo sia possibile sostenere che anche il tipo particolare di conoscenza che il Nolano propone � tutt'altro che esente da pesanti influenze magico ermetiche. Del resto lo stesso Spruit aveva notato che �lo scopo finale dell'uomo non � la visio beatifica o la visio Dei. La finalit� della conoscenza � diretta alla transformatio sui in rem & transformatio rei in seipsum, nelle quali si verifica l'unione dell'intelletto con la cosa conosciuta�63. Non si tratta quindi di una conoscenza filosofica, ma direi alchemica, magica: vera e propria teurgia. Passiamo dunque ad una breve analisi della metafisica magica del De umbris idearum. Gi� all'apertura del testo, appare evidente che il maestro di Filotimo-Bruno � Ermete Trismegisto in persona. Nel Preliminare dialogo apologetico in difesa delle ombre delle idee per la sua invenzione della memoria64, Filotimo chiede infatti ad Ermes: �per qual motivo, o Ermes, parli fra te? Qual � mai il libello che hai tra le mani?�; ed Ermes gli risponde: �E' il libro Le ombre delle idee, raccolte per una scrittura interna; sono incerto se debba essere pubblicato oppure continuare a rimanere nelle stesse tenebre in cui un tempo � stato nascosto�65. Bruno si sentiva un Mercurio inviato dagli d�i, e prevedeva che avrebbe incontrato difficolt� e nemici. Filotimo sostiene infatti che �la provvidenza degli d�i (lo dissero i sacerdoti egiziani) non smette di mandare agli uomini alcuni Mercuri in certi tempi stabiliti, bench� sappiano in anticipo che questi non saranno accolti per niente o saranno male accolti�66. Due elementi devono fermare per un attimo la nostra riflessione. Anzitutto il tema della rivelazione concessa dagli d�i secondo una sequenza ciclica, tema collegato a quello della crisi universale. Il secondo elemento � la preoccupazione che Bruno doveva sentire per la comprensione della sua magia naturale, e quindi per la sua filosofia. Bruno temeva che la sua magia-filosofica fosse malamente interpretata coma magia cerimoniale: �Logifero. Cosa risponderai al maestro Antoch, il quale considera maghi o indemoniati o uomini di qualche altra specie siffatta quelli che presentano operazioni della memoria oltre alle solite volgari? Filotimo. Non dubiterei che costui � nipote di quell'asino che fu salvato sull'Arca di No� per la conservazione della specie!�67. Significativo � poi che il De umbris sia organizzato in base a suddivisioni trigesimali. La stessa impostazione strutturale dell'opera rievoca quindi la numerologia magica caratteristica dell'ermetismo e dell'esoterismo magico in generale. Il magico numero trenta ricompare anche in altre opere di Bruno, come ad esempio nell' Explicatio triginta sigillorum, dove, come ha notato la Yates, �il raggruppamento dei sigilli nel numero di trenta indica che Bruno si sta ancora muovendo sul piano mistico-magico del De umbris idearum�68. 2. La struttura magica del testo e la prima affermazione del concetto di infinito. Nel De umbris il lettore deve anzitutto affrontare trenta brevi paragrafi denominati �intentiones�. Di questi, la quinta intenzione � particolarmente interessante: �Noi consideriamo soprattutto quelle ombre che sono obiettivi degli appetiti e della facolt� cognitiva, concepiti sotto l'aspetto del vero e del bene, che lentamente allontanandosi da quell'unit� sovrasostanziale avanzano, attraverso una moltitudine crescente fino all'infinita moltitudine (per dirla alla maniera dei pitagorici); queste ombre di quanto si separano dall'unit�, di tanto si allontanano anche dalla verit� stessa. Infatti, l'allontanamento avviene proprio dal sovraessenziale alle essenze, dalle essenze alle cose che sono, da quelle alle tracce, alle immagini, ai simulacri e alle ombre: sia verso la materia, perch� siano prodotte nel suo seno, sia verso il senso e la ragione, perch� siano riconosciute attraverso la facolt� sensibile e razionale�69. L'immagine delle ombre che si staccano dall'Unit� per formare un'infinita moltitudine � evidentemente parallela a quella proposta nella rivelazione cosmogonica del Poimandres ermetico70. Credo poi che il richiamo alla dottrina pitagorica debba essere inteso come richiamo alla �religione del numero�. Sappiamo che il rinato interesse rinascimentale per la magia, la cabala e il simbolismo numerico, avevano portato alla rivalutazione della filosofia pitagorica. Per Pitagora il numero costituiva la radice di ogni verit�. Gi� Pico della Mirandola, prima di Bruno, nella sua Apologia �aveva collegato la magia e la cabala alla matematica di Pitagora�71. La stessa considerazione vale per il mago filosofo Cornelio Agrippa, che esercit� una pesante influenza sul pensiero di Bruno72. Ma a parte il richiamo al numero e alla sua straordinaria valenza magico-simbolica, considero questo passo particolarmente significativo perch� in esso � per la prima volta abbozzata l'idea di una �infinita catena dell'essere� (per usare un'espressione felicissima di A. Lovejoy) costituita appunto da una �infinita moltitudine�. La moltitudine crescente, fino a diventare infinita, � data, a livello metafisico, dalla catena delle ombre che si separano dall'unit�. La struttura fisica del reale, le cose mundani, rispecchiano fedelmente questa metafisica: la disposizione del reale segue infatti l'ordine impresso dall'Intelletto superiore in una variet� infinita di gradazioni diverse - nella Luce. 3. Il significato della metafisica della luce. La settima intenzione svela e precisa il significato di questa �metafisica della luce�: �Ma poich� in tutte le cose c'� una connessione ordinata, in modo che i corpi inferiori succedono a quelli mediani e questi ai superiori, allora i composti si uniscono ai semplici e quelli semplici ai pi� semplici, quelli materiali agli spirituali e quelli spirituali a loro volta a quelli immateriali, sicch� uno solo � il corpo dell'Ente universale, uno solo l'ordine, uno solo il governo, uno solo il principio e una sola la fine, uno solo il primo e uno solo l'ultimo. E poich� � data [...] una migrazione continua dalla luce alle tenebre [...], niente impedisce che al suono della cetra universale di Apollo le cose in basso a poco a poco siano richiamate a quelle alte, e quelle pi� basse attraverso le mediane si accostino alla natura delle superiori [...]. Quindi, qualunque cosa sia la discesa da un'altra specie [...], dobbiamo assolutamente sforzarci - avendo davanti agli occhi, secondo le eccelse operazioni dell'animo, la scala della natura - di tendere sempre, attraverso operazioni intrinseche, dal moto e dalla moltitudine allo stato e all'unit�; quando eseguiremo ci� secondo la nostra facolt�, anche secondo la facolt� ci conformeremo alle opere divine, ammirate da tutti. A ci� stesso ci confortino e esortino il vincolo prestabilito delle cose e le conseguenti connessioni�73. Un importante libro magico, il De vinculis in genere spiegher� appunto come individuare e servirsi di queste occulte connessioni. In questa settima intenzione � chiaramente espressa la dottrina della comunicazione universale, di centrale importanza per l'idea dell'infinito cosmologico e metafisico. Bruno, lo vedremo bene nel De la Causa, attribuisce la materia anche a Dio. Se la materia � sostanzialmente una, allora � possibile considerarla come un unico percorso che giunge fino al Cielo. La teoria della comunicazione universale espressa per la prima volta nel De umbris, porta quindi a credere che non solo l'uomo pu� intervenire magicamente sul mondo materiale (operando sui vincoli che uniscono le monadi), ma tramite la filosofia naturale, arrivare fino alla unione con Dio, partecipare - almeno in modo estatico - alla sua divina infinit�. 4. La variazione infinita dell'essere. Sempre nella settima intenzione affiora un motivo che si ritrova poi, quasi identico, nel De la Causa. Se nel De umbris Bruno sostiene la possibilit� di �conoscere tutte le cose da tutte� e afferma che �la materia, spogliata della forma dell'erba, non immediatamente assume la forma di questo animale, ma attraverso le forme mediane di chilo, sangue seme. Di conseguenza, chi conoscer� i medi connessi ali estremi, potr� ricavare naturalmente e razionalmente tutte le cose da tutte�74, nel De la Causa, dir� che �nella natura, variandosi in infinito e succedendo l'una all'altra le forme, � sempre una la materia medesima [...]. Non vedete voi che quello che era seme si fa erba, e da quello che era erba si fa spica, da che era spica si fa pane, da pane chilo, da chilo sangue, da questo seme, da questo embrione, da questo uomo, da questo cadavero, da questo terra, da questa pietra o altra cosa, e coss� oltre, per venire a tutte le forme naturali?�75. Il motivo � chiaramente quello della variazione infinita dell'essere. In questa infinit� di forme e mutamenti � per� possibile �conoscere tutte le cose da tutte�; e questo in virt� del sistema dei vincoli magici. Naturalmente sono i vincoli, e non i soggetti naturali (numericamente e per forma esteriore infiniti) a permettere l'ascensus della scala - e quindi la conoscenza. Quello che voglio dire � che la quinta e la settima intenzione del De umbris anticipano in qualche modo uno dei punti fondamentali della discussione sull'infinito presente nel De la Causa: l'infinita catena dell'essere. Se nel De umbris questa infinita catena costituisce la premessa per la discussione epistemologica, su di un piano magico, nel De la Causa invece essa � la rappresentazione, a livello fisico, della struttura metafisica della realt�, ossia della unit� sostanziale dell'Essere. Il tema della infinita catena dell'essere viene poi immediatamente affiancato da quello dell'�ordine meraviglioso�, affinch� l'idea del Caos (a volte assimilabile a quella dell'Infinito) venga immediatamente lasciata alle spalle: �il vero Caos di Anassagora � una variet� senza ordine. Proprio cos� come nella variet� stessa delle cose distinguiamo un ordine meraviglioso, che, instaurando una connessione degli elementi sommi con gl'infimi e degl'infimi con i sommi, fa concorrere tutte le parti insieme a costituire il bellissimo aspetto di un solo grande essere animato (qual � il mondo), poich� tanta diversit� richiede tanto ordine e un cos� grande ordine tanta diversit�76. E quello che nel De umbris viene descritto come un �ordine meraviglioso� (proprio perch� collega in una trama o catena ordinata un numero infinito di elementi), nel De la Causa sar� chiamato Intelletto superiore, o Anima del Mundi (anche se per la verit� gi� nel De umbris il mondo viene descritto come un grande animale, dotato di anima). 5. La magia serve a superare l'aporia conoscitiva determinata dall'umbra metafisica. Il problema gnoseologico viene ulteriormente definito subito dopo, nella tredicesima intenzione: �Certamente, se una concordia pressoch� indissolubile connette le estremit� finali dei primi elementi agli inizi dei secondi e unisce il calcagno di quelli che precedono alle teste di quelli che seguono immediatamente, tu sarai capace di abbracciare con la mente quell'aurea catena che si forma sempre tesa dal cielo alla terra; cos� pure, come puoi avere fatto una discesa dal cielo, facilmente potrai ritornare in cielo per una salita ordinata�77. L'idea della scala naturae, simboleggiata dall'immagine dell'�aurea catena� era centrale anche nell'immagine dell'infinito ermetico. Ma come � possibile percorrere l'ascensus della scala, se essa � composta da una moltitudine infinita di elementi, collegati tra loro in virt� di un �ordine meraviglioso�? Ovvero: come si pu� percorrere uno spazio infinito in un istante? Sembrerebbe a prima vista la riproposizione di uno dei classici paradossi che i medievali avevano ripreso dalla filosofia di Zenone di Elea. Si tratta evidentemente di un problema che riguarda sia la conoscenza sia la struttura metafisica della realt�. La soluzione di questo paradosso � data dalla formulazione di una teoria magica e metafisica insieme: la teoria dei �vincoli�. Il sistema mnemotecnico bruniano pu� servire come introduzione al discorso dei vincoli (sviluppato ampiamente in un'opera magica importante, il De vinculis in genere). Nel De umbris viene proposta una sapienza ermetica che, imparando a ripercorrere attraverso i suoi gradi intermedi l'universo intero, non soltanto ne memorizza l'ordine, ma ambisce ad affidare alla conoscenza magica poteri d'intervento sui fenomeni. Tutto questo � possibile proprio in virt� dei �vincoli� che uniscono in somiglianze tutti gli esseri. Eccoci allora aperta la strada alla soluzione del paradosso: l'inifnit� degli elementi � relativa alla loro esteriorit�, alla loro numerabilit�, perch� al profondo, nella materia �di base� (e per Bruno, � bene ribadirlo, non c'� niente al di fuori della materia), le monadi concorrono alla formazione di schemi semplici, di strutture ordinate secondo una regola fissa, che il mago pu� raggiungere e di cui il filosofo si pu� servire. Sono quindi le combinazioni degli elementi, i vincoli che li uniscono, a garantire la possibilit� della conoscenza e dell'elevazione dell'uomo, e non i singoli elementi presi in se stessi. La filosofia della natura mira appunto alla valutazione di queste �occulte simpatie�. Si noti che l'unit� della realt� � quindi possibile solo in base al concetto sottostante di scala naturae. Attraverso questo concetto si esprime la infinit� del cosmo materiale, e di essa si serve il mago-filosofo per conoscere il mondo e operare su di esso. Naturalmente, anche per il mago, l'unica conoscenza possibile � quella umbratile, dell'ombra che contemporaneamente vela la Verit� e protegge gli uomini dalla sua luce accecante. Ricordo che la teoria dell'ombra che serve non a nascondere ma a proteggere la vista degli uomini dalla luce accecante della verit� era presente anche nella tradizione esoterica ebraica, che Bruno mostra di ammirare: �questa ombra, o una simile a questa, l'hanno figurata coloro che son detti Cabalisti, poich� il velo, che era allegoricamente o fiugurativamente sul volto di Mos�, ma figurativamente sul volto della legge, non mirava ad ingannare, ma a spingere avanti ordinatamente gli occhi degli uomini, nei quali si provoca una visione nel caso che all'improvviso passino dalle tenebre alla luce�78. L'ombra quindi - paradossalmente - � stata posta da Dio stesso a protezione e guida dell'umanit�. Si noti che - secondo Bruno - anche la vita civile deve essere impostata seguendo i criteri della legge divina rivelata all'uomo tramite certi mercurii - messaggeri degli d�i - che scendono sulla terra secondo tempi e modalit� prestabilite, ed hanno il compito di far risorgere la verit� sepolta (quella - ovviamente - ermetica). Bruno certamente si sentiva uno di questi, ed il suo tentativo di restaurazione dell'antica religione egizia deve essere interpretato proprio in questo senso: anche l'ordine civile, non solo quello etico, deve essere impostato seguendo i criteri della rivelazione ermetica (ovvero: la divinit� si comunica all'uomo tramite la Natura, ed in questo suo dispiegarsi � possibile trovare i segni della legge). La magia serve appunto a riscoprire i segni divini nella Natura e a renderli comprensibili all'uomo. 6. Il magico numero trenta. Proprio nella trentesima intenzione (quasi a voler ribadire la straordinaria valenza simbolica del magico numero trenta), Bruno mette in scena l'Uno e il problema della sua l'infinit�. Nell'Uno si ritrovano le differenze, tutte, non a livello potenziale, ma attuale. Proprio per questo si tratta di un Uno assoluto, perfetto: �Ma come comprendi che tutte le differenze delle ombre si possono infine ricondurre a sei fondamentali, nondimeno devi sapere che tutte infine dovrebbero essere ridotte a una sola fecondissima e a una generalissima fonte delle altre�79. L'idea della riduzione degli enti infiniti ad un numero limitato di vincoli (o concetti magici) viene qui ripetuta in modo analogo per il mondo delle ombre (metafisiche). Come le cose possono essere ricondotte ad un'unica materia, viva ed infinita, cos� i concetti nascono da un Uno fecondissimo e assoluto. Specifica infatti poco pi� avanti il Nolano: �una certa analogia, infatti, ammettono la metafisica, la logica e la fisica, cio� le cose prenaturali, naturali e razionali, come verit�, immagine e ombra�80. Espone poi un esempio �geometrico�, quasi a significare che la struttura metafisica � identica a quella della realt�: �Ecco l'esempio di una sola idea, la quale ha in atto infinite differenze delle cose, e di una sola ombra nella possibilit� d'infinite differenze. La linea orizzontale AB riceve la linea CD che cade perpendicolarmente e forma due angoli retti. Ora, nel caso che la linea perpendicolare inclini verso B, render� l'angolo da una parte acuto, ma dall'altra ottuso. Inclinata sempre pi� in E, F, G, H, I, L e cos� via, dar� gli angoli pi� acuti di qua e pi� ottusi di l�. Cos� risulta chiaro come nella possibilit� di quelle due linee rette ci siano infinite differenze di angoli acuti e ottusi. Questa possibilit� non differisce dall'atto nella prima causa, la quale e nella quale � tutto ci� che pu� essere, dal momento che essere e potere s'identificano in essa. Pertanto nel punto D stesso le differenze degli angoli sono nel tempo stesso infinite e una sola cosa�81. Terminata la presentazione delle �trenta intenzioni�, si passa a �Trenta concetti di idee�. Ancora la discussione dell'umbra e della intelligibilit� delle cose viene significativamente legata alla tematica dell'infinito e alla metafisica della luce: �qui io intendo la luce come intelligibilit� delle cose [...]. Queste cose, quando sgorgano quale da una quale e quale da un'altra, diverse da diverse, si moltiplicano all'infinito, tanto che le pu� determinare solo chi conta il numero delle stelle; quando invece rifluiscono, si uniscono fin proprio a quell'unit� che � fonte di tutte le unit�82. Siamo di fronte ad una chiara esposizione della teoria della vicissitudine universale. In questa credenza si inserisce la teoria bruniana della metempsicosi, della quale abbiamo per esempio una diretta testimonianza dalle accuse portate dal Mocenigo agli inquisitori veneti. Nell'undicesimo concetto viene poi ribadito che �La ragione forma specie nuove e in modo nuovo all'infinito�83. L'intelletto universale - Dio - provvede dunque alla costituzione di quell'ordine armonico, mediante l'attribuzione di infinite forme alla materia. 7. L'ascesi mistico-conoscitiva. Il motivo dell'ascesi mistica e allo stesso tempo intellettuale, che ho considerato fin dall'inizio come uno dei momenti fondamentali della filosofia dell'infinito in Bruno, � espressa chiaramente gi� a partire dal De Umbris: �Perci� ascendi l� dove le specie sono pure, dove niente � informe e dove ogni essere formato � la forma stessa�84. In forma germinale, sono gi� presenti le successive speculazioni metafisiche del De la Causa. Subito di seguito viene infatti presentata la tecnica, intrisa di elementi mistici e magici, per percorrere la scala: �Plotino comprese che � fatta di sette gradini (cui ne aggiungiamo due) la scala per la quale si ascende al principio. Il primo gradino � la purificazione dell'animo, il secondo l'attenzione, il terzo l'intenzione, il quarto la contemplazione dell'ordine, il quinto il confronto proporzionale secondo l'ordine, il sesto la negazione o separazione, il settimo il desiderio, l'ottavo la trasformazione di s� nella cosa, il nono la trasformazione della cosa in se stesso. Cos� si aprir� la via, l'accesso e l'ingresso dalle ombre delle idee�85. Si tratta evidentemente di una serie di predisposizioni psicologiche atte a raggiungere l'estasi, quindi la trasformazione e l'unione con Dio: magia teurgica quindi. Per di pi�, all'idea dell'ascesi mistica viene riaffiancata l'idea della infinita unit� del tutto (che permette appunto la possibilit� dell'ascesi): �Tutto ci� che � dopo l'uno � inevitabilmente molteplice e numeroso, perci�, tranne l'uno e il primo, tutte le cose sono numero. Donde sotto l'infimo gradino della scala della natura c'� il numero infinito o materia; invece nel sommo gradino c'� l'infinita unit� e atto puro. Pertanto, la discesa, la dispersione e l'espansione avvengono verso la materia; l'ascesa, l'aggregazione e la delimitazione avvengono verso l'atto�86. La scala della natura serve quindi ad unire nel mondo fisico ci� che concettualmente resta separato: la infinit� di Dio e quella del Mondo. Al di l� delle evidenti influenze neoplatoniche, la messa in primo piano del numero, inteso come categoria metafisica, deve ricordare il pitagorismo e l'ermetismo, da cui Bruno attinge continuamente. Michele Ciliberto ha notato come, nella parte teorica del De Umbris, Bruno si colleghi alla tradizione magica nella presentazione delle immagini celesti, ricordando inoltre che �si � mostrato come l'elenco dei trentasei Decani, attribuito a Teuco Babilonese, sia ripreso dal De occulta philosophia di Cornelio Agrippa�87. Detto questo Ciliberto sostiene come sia �meno persuasiva [...] la tesi mirante a vedere nel De umbris un testo di carattere magico, interpretandolo alla luce della visione - assai diffusa negli anni passati - di Bruno come mago ermetico (le ombre delle idee, si � detto, non sono altro che le �immagini magiche�, �immagini archetipe�88). E questo non perch� nel De Umbris non siano presenti motivi di questo tipo [...]. Tutt'altro. Nei suoi punti essenziali, l'ars memoriae � imperniata nell'idea secondo cui nell'universo � presente e operante una trama fondamentale di cui vanno individuati gli elementi principali, le modalit� del loro intreccio, le loro possibili combinazioni, al fine di acquisire un potere operativo in grado di conoscere e trasformare la realt�. Sono appunto queste posizioni che si esprimono nelle varie arti della memoria bruniane: sia la tesi del mondo come unit� vivente di piani strettamente connessi e correlati in un circuito di comunicazione universale; sia la tesi di un'ispirazione pratico operativa strutturalmente intrinseca al pensiero, sfociata, infine, nella elaborazione delle opere magiche. Da questo punto di vista, tra mnemotecnica e magia c'� una radice comune, costituita appunto dal tema della praxis. Ma constatare un nesso non vuol dire giustificarlo. N� si tratta, va ribadito, di un problema di fonti. La messa a fuoco della tematica magica suppone due elementi, nel caso di Bruno: la concezione della Vita-materia infinita elaborata compiutamente nel De la Causa (non a caso nel De vinculis si far� riferimento sia all'una che all'altro); la assunzione della "crisi" universale come tema centrale di riflessione. E' dall'intreccio di questi due motivi che germiner� nel periodo finale, la riflessione magica di Bruno. Ma in questa forma specifica, essi sono entrambi estranei al De Umbris�89. Si tratta di affermazioni importanti, che meritano una riflessione. Dopo aver osservato opportunamente che l'ars memoriae � imperniata sull'idea secondo cui nell'universo � presente e operante una trama fondamentale, Ciliberto opera uno �strappo� abbastanza netto, sostenendo che, in fondo, nel De umbris sarebbero del tutto assenti due motivi fondamentali da cui germina in Bruno il pensiero magico, ossia la concezione della Vita-materia infinita (elaborata nel De la Causa) e la assunzione della �crisi universale� come tema centrale di riflessione. Il De umbris non avrebbe insomma neppure i germi del futuro pensiero magico. Non possiamo condividere queste affermazioni per due motivi. Anzitutto il De umbris � apertamente presentato e strutturato come un testo magico, ma non solo. In esso sono presenti sia il tema della �crisi universale�, sia quello della vita-materia infinita. Abbiamo gi� visto come nel De umbris (settima intenzione) venga considerata da Bruno la presenza di una scala naturae e quindi di un �ordine meraviglioso che, instaurando una connessione degli elementi sommi con gl'infimi e degl'infimi con i sommi, fa concorrere tutte le parti insieme a costituire il bellissimo aspetto di un solo grande essere animato qual � il mondo�90. Mi riesce a questo punto difficile capire come Ciliberto non abbia considerato il fatto che la concezione della �vita-materia infinita� poggia proprio sull'idea di scala naturae, e come sia intrinseca a questa. A parte il fatto che � chiaramente espressa la dottrina della animazione universale del mondo, e che questo � pi� volte considerato infinito, nel De umbris Bruno ha scritto anche che �non � lecito pensare che questo mondo abbia pi� signori e di conseguenza abbia pi� ordini tranne uno solo. E, conseguentemente, se uno solo � l'essere ordinato, le sue parti sono unite e subordinate alcune a alcune parti, altre a altre, sicch� le parti superiori si collocano subito dopo l'essere pi� vero, espandendosi in una mole estesa e in molteplice numero verso la materia�91. E' quindi chiaro come la teoria dei vincoli e della scala naturae non possano essere considerate estranee alla concezione della �vita-materia infinita� di cui parla lo stesso Ciliberto. Ma facciamo un passo indietro. 8. Il tema della crisi universale. A proposito dell'assunzione della crisi universale come tema centrale di riflessione, � necessario ritornare alle prime righe dell'opera. Qui Ermes (Ermete Trismegisto, come ho gi� precisato), con grave tono pessimista, afferma la sua indecisione riguardo alla diffusione del testo (magico): �sono incerto se (il De umbris idearum) debba essere pubblicato oppure continuare a rimanere nelle stesse tenebre in cui un tempo � stato nascosto�92. E, come ho gi� ricordato, continua: �la provvidenza degli d�i (lo dissero i sacerdoti egiziani) non smette di mandare agli uomini alcuni Mercuri in certi tempi stabiliti, bench� sappiano in anticipo che questi non saranno accolti per niente o saranno male accolti�93. La �crisi universale� � dunque cos� profonda e grave, che Ermes stesso dubita: teme che gli uomini non accolgano il Mercurio inviato dagli d�i. Il testo intero, inoltre, parte proprio dalla consapevolezza della crisi, della dimenticanza che ha portato l'uomo lontano dal magico linguaggio ermetico. Il motivo della crisi universale accompagna dunque quello della scala naturae: ecco quindi che ci troviamo di fronte -- stando alle considerazioni dello stesso Ciliberto - ad entrambi gli elementi che presuppongono la messa a fuoco della tematica magica. Ma ancora: la magica arte della memoria deve essere considerata assolutamente complementare alla magia pratica, quella che sar� esposta nel De magia e nel De vinculis in genere. E' chiaro che Bruno promuove una sola metodica per il superamento della crisi: il ritorno ai magici geroglifici egiziani, al linguaggio ermetico, di cui l'ars memoriae rappresenta la continuazione nel presente. Ma anche la magia pratica acquista una nuova dimensione di utilizzo: l'arte dei vincoli pu� servire non solo all'ascensus del singolo ma anche ad una elevazione di tutta la societ� civile. Lo stesso Michele Ciliberto ha osservato con lucidit�: �Nel De vinculis, uno degli ultimissimi scritti di Bruno [...], si ripresenta con la massima chiarezza, un'accentuazione verso la materia di cose inferiori, verso l'universo, il tema centrale dell'ontologia del De la Causa: la concezione della Vita-materia-infinita, a conferma, se ce ne fosse bisogno, del fatto che questo � il nocciolo speculativo di tutta la nova filosofia. Al di l� delle continue, straordinarie, variazioni, � l'ontologia del De la Causa che accomuna, sul piano teorico, le varie fasi della ricerca del Nolano. Qui stanno anche le radici delle opere magiche [...]. Intrecciandosi strutturalmente, come sempre, all'analisi e alla interpretazione della crisi universale, rappresentano [...] il pi� alto e pi� organico punto d'approdo dell'originaria ispirazione pratica del pensiero di bruno, mostrando, al tempo stesso, la direzione schiettamente operativa che, egli, allora, aveva in animo di prendere. In secondo luogo, avviano la saldatura di due motivi della nova filosofia che a lungo si erano affiancati [...]. Pongono, cio�, le basi di una compenetrazione, attraverso la magia, della dimensione ontologica e della dimensione etico-civile della filosofia bruniana, dischiudendole nuove, eccezionali prospettive�94. CAPITOLO III IL DE LA CAUSA, PRINCIPIO ET UNO. �Chi vuol sapere massimi secreti di natura, riguardi e contemple circa gli minimi e massimi degli contrari e opposti. Profonda magia � saper trar il contrario dopo aver trovato il punto d'unione�95. �Il sommo bene, il sommo appetibile, la somma perfezione, la somma beatitudine consiste nell'unit� che complica il tutto�96. 1. La metafisica magica del De la Causa, Principio et Uno: l'animazione universale. Il De la Causa, non � propriamente un testo magico. Ci� nonostante � possibile considerarlo come un momento indispensabile per la successiva elaborazione delle teorie magiche. Insieme al De umbris idearum, � infatti un vero e proprio testo archetipo del magismo bruniano. Ma perch� � tanto importante la credenza nella realt� magica? La concezione bruniana della magia si basa su due concetti fondamentali: 1) la scala naturae; 2) l'Anima mundi intesa come principio vivificatore dell'Uno-Tutto infinito, fonte di una vera e propria animazione universale. Terzo elemento, substratum ideologico, � la profonda ammirazione per l'antica sapienza egizia, l'ermetismo. Si tratta evidentemente di elementi tutt'altro che estranei alla struttura metafisica, e quindi alla giustificazione della teoria infinitista. In realt� l'ammirazione per l'antica sapienza dei maghi egiziani era un sentimento assai diffuso tra i circoli culturali del Rinascimento italiano, ma non solo. Lo splendido mosaico del Duomo di Siena, ritraente Ermete Trismegisto, definito (e creduto) �contemporaneus Moysi�, era stato piazzato propio all'ingresso della cattedrale, e non a caso. Si trattava di una credenza generalmente diffusa e condivisa, anche da una parte del clero dotto. �Era su una base di eccellente autorit� che il Rinasciemnto considerava Ermete Trismegisto una persona realmente vissuta in tempi antichissimi e autore di scritti ermetici, poich� tutto ci� era stato implicitamente creduto dai principali Padri della Chiesa, in particolare da Lattanzio e Agostino�97, aveva scritto la Yates; ed ha avuto ragione nell'attribuire ad Ermete Trismegisto una notevolissima influenza sul pensiero di Bruno, perch� in effetti il Nolano accolse dai trattati ermetici, erroneamente attribuiti a questo personaggio mitico, proprio la credenza dell'Anima Mundi che vivifica e regola il Mondo dall'interno, e di tutta la struttura metafisica ad essa correlata. E' quindi necessario ribadire l'importanza del pensiero magico nell'analisi del concetto di infinito in Bruno. Nel De la Causa Bruno espone la sua concezione della realt�. Eliminata ogni trascendenza, Dio � concepito come la natura stessa, intesa come infinita potenzialit� ed infinita attualit�. Una sola � la divina sostanza che genera ogni elemento del reale, uno solo � lo Spirito artefice, principio di ogni cosa. Nel De la Causa Bruno arriva alla fondazione metafisica della realt� animata: la concezione preminente � quella di un mondo animato dallo spirito di Dio, che si muove e respira seguendo leggi magiche. Una concezione assolutamente corrispondente ai canoni ermetici. Anche Ernst Cassirer ha messo in rilievo la centralit� e la funzione dell'animazione universale, magica, nel discorso sulle leggi che regolano l'universo: �il concetto moderno di causalit� matematica resta del tutto estraneo al Bruno. Per lui, tutta l'interazione fra i singoli elementi dell'universo vien fatta conoscere dal predominio di un principio spirituale comune di cui quelli partecipano egualmente. Il concetto di anima del mondo � il necessario correlato dell'idea di collegamento causale�98. Nel De la Causa � possibile trovare importanti riscontri alle affermazioni del Cassirer. Nel Dialogo secondo, dove Bruno giunge alla fondazione metafisica della realt� animata, dell'Uno-tutto vivente, leggiamo infatti: �l'intelletto universale � l'intima, pi� reale e propria facult� e parte potenziale de l'anima del mondo. Questo � unomedesimo che empie il tutto, illumina l'universo ed indirizza la natura a produre le sue specie come si conviene; e coss� ha rispetto alla produzione di cose naturali, come il nostro intelletto alla congrua produzione di specie razionali. Questo � chiamato d� Pitagorici motore ed esagitator de l'universo, come esplic� il Poeta che disse totamque infusa per artus, Mens agitat molem et toto se corpore miscet. Questo � nominato da' Platonici fabro del mondo. Questo fabro, dicono, procede dal mondo superiore, il quale � a fatto uno, a questo mondo sensibile, che � diviso on molti; ove non solamente la amicizia, ma anco la discordia, per la distanza de le parti, vi regna. [...] E' detto da' Maghi fecondissimo de semi o pur seminatore; perch� lui � quello che impregna la materia di tutte forme e, secondo la raggione e condizion di quelle, la viene a figurare, formare, intessere con tanti ordini mirabili, li quali non possono attribuirsi al caso [...]. Da noi si chiama artefice interno, perch� forma la materia e la figura da dentro: come da dentro del seme o radice manda ed esplica il stipe; da dentro il stipe caccia i rami, da dentro i rami le formate brance; da dentro queste ispiega le gemme; da dentro forma, figura intesse, come di nervi, le frondi, gli fiori, gli frutti�99. L'artefice interno, lo spirito che pervade la realt�, provvede alla generazione costante di nuove forme, �opra continuamente tutto in tutto�100. Il mondo � quindi in divenire perch� la materia � animata, viva. L'immobilit� non � altro che sinonimo di morte. Siamo all'interno di una visione magica della materia e quindi del mondo: il mondo si muove perch� in esso c'� uno spirito che lo anima. La struttura stessa della materia, il cui minimo metafisico � costituito dalle monadi, ed il concetto di scala naturae, sono da mettere in rapporto al pensiero magico: � da questa relazione che prende corpo l'idea di un universo divino e infinito. La magia in Bruno � religione, come � stato osservato. Ma la magia � in Bruno anche metafisica, e per questo ha profonde relazioni con l'infinito. Essa, come sistema di pensiero, coinvolge infatti sia il piano teleologico che il piano eziologico. La magia � azione teurgica. Le opere che seguiranno alla pubblicazione dei dialoghi metafisici vedranno tutte porsi in primo piano l'elemento magico: ma non si tratter� di un cambiamento di prospettiva rispetto all'esordio, n� della conseguenza di un nuovo interesse del Bruno. La magia � un tema centrale, a partire dal De umbris, e rimarr� costante per tutta la discussione dell'infinito. Ma l'attenzione che Bruno ha mostrato per la realt� magica non sarebbe comprensibile senza la straordinaria rivalutazione della materia che viene compiuta, con coerenza, dal De umbris al De la Causa. 2. Identificazione di vita e materia. Considerare la materia come animata, divina ed infinita � stato, assieme alla conseguente distruzione dei limiti dell'universo, il primo risultato teoretico conseguito nel De la Causa. Il problema principale di tutta l'opera � infatti la fondazione metafisica e della vita-materia infinita, problema che trover� la sua soluzione nella identificazione di questi due elementi, vita e materia. Da qui il superamento delle tradizionali distinzioni tra atto e potenza, forma e materia, corporeo e incorporeo. Tutte queste determinazioni saranno congiunte nell'Uno-Tutto vivente. L'universo verr� presentato come una unit� vivente infinita, dotata di un'anima o Intelletto superiore; il mondo � visto come un gigantesco animale, che si muove nello spazio insieme agli altri esseri-mondi, infiniti, grazie alla coordinazione impressagli dall'Intelletto superiore. Questa intelligenza, superiore ed interna al tempo stesso, armonizza e regola la vita di tutta la Natura: in questa Natura ogni singola porzione di materia � animata, viva; la coordinazione dell'intelletto superiore viene inoltre dall'interno, perch� Dio � nel mondo: un �artefice interno�, appunto. Riemerge l'immagine dell'�ordine meraviglioso�, della struttura metafisica delineata nel De umbris, e con essa la scala di occulte simpatie, di vincoli i magici che legano misteriosamente le monadi, i minimi centri metafisici che costituiscono gli atomi della materia infinita. Riemerge allora ancora una volta (si tratta d'altra parte di un tema costante) il problema della conoscenza e delle possibilit� umane in questo mondo. L'etica e la gnoseologia si mescolano continuamente alla cosmologia e alla metafisica. Chi � alla ricerca dell'essenza del mondo - Bruno lo lascia intendere - deve cercare proprio ci� che non si pu� conoscere n� direttamente, n� pienamente, perch� in incessante divenire: l'anima del mondo, che si manifesta nelle forme esteriori: �se dunque il spirito, la anima, la vita si ritrova in tutte le cose e, secondo certi gradi, empie tutta la materia, viene certamente ad essere il vero atto e la vera forma de tutte le cose. L'anima, dunque, del mondo � il principio formale constitutivo de l'universo e di ci� che in quello si contiene. Dico che, se la vita si trova in tutte le cose, l'anima viene ad esser forma di tutte le cose: quella per tutto � presidente alla materia e signoreggia nelli composti, effettua la composizione e consistenza de le parti. E per� la persistenza non meno par che si convenga a cotal forma che a la materia. Questa intendo essere una di tutte le cose; la qual per�, secondo la diversit� delle disposizioni della materia e secondo facult� de' principi materiali attivi e passivi, viene a produr diverse figurazioni ed effettuar diverse facultadi [....]�101. Si noti che l'anima universale � definita �persistente�, ossia eterna, non meno della materia universale. Siamo allora di fronte alla identificazione compiuta della vita con la materia. Una la forma dell'universo, infinite le forme particolari che in esso si vanno delineando per opera dell'Intelletto. E' quindi in primo piano l'immagine di uno spirito onnipervadente che regola la vita del mondo dall'interno, proprio come indicano le suggestioni ermetiche. 3. Il problema della morte: la teoria dell'Unum-tutto vivente. L'azione dell'Anima mundi si esplica attraverso due azioni fondamentali: una produzione infinita di forme e la regolazione armonica del tutto. Ed � in questo ambito che deve essere affrontata la problematica della morte: � infatti in relazione alla teoria della animazione universale che Bruno affronta questo tema. La morte, intesa come fine della vita, � una illusione �ottica� degli uomini. Ci� che muore � l'accidente della materia, la forma esteriore. La sostanza, viva della vita di Dio, non muore mai: essa �, come Dio, eterna e infinita, indissolubile indivisibile e indistruttibile: �nessuna cosa si anichila e perde l'essere, eccetto la forma accidentale esteriore e materiale�102. Certo, il continuo morire dei corpi particolari potrebbe essere spiegato con l'ipotesi di una potenza che genera vita all'infinito. In questo modo sarebbe possibile spiegare l'incessante divenire di forme a cui � soggetto il mondo. Ma questa ipotesi ha come conseguenza diretta l'estraneit� sostanziale della divinit� dal suo creato. Se invece Dio � nel mondo, ecco spiegato come mai la sostanza non muore, ma si prodiga continuamente in una infinita variet� di forme. Nell'Uno non c'� possibilit� di morte, la sostanza non pu� �annichilarsi�. E' necessario a questo punto ribadire l'intreccio con l'ermetismo. Nel Corpus Hermeticum, tradotto da Ficino, ad un certo punto la Mens, rivolgendosi ad Ermete, asserisce che �Tutto � pieno di anima, e tutte le cose sono in movimento. Chi ha creato queste cose? Il Dio-Uno, perch� Dio � Uno. Tu vedi come il mondo � sempre uno, il sole, uno; la luna, una; la divina attivit�, una; anche Dio � Uno. E poich� tutto vive, e anche la vita � una, Dio certamente � Uno. E' per opera di Dio che tutte le cose vengono in essere. La morte non � la distruzione degli elementi collegati in un corpo, ma la rottura della loro unione. Il mutamento si chiama morte perch� il corpo si dissolve, ma io ti dichiaro, mio caro Ermete, che cos� si dissolvono sono soltanto trasformati�103. Il passo viene poi ripetuto, ampliato, nel dialogo successivo del Corpus Hermeticum, il XII: �L'intelletto, o Tat, deriva dalla sostanza stessa di Dio [...]. Anche il mondo � un dio, immagine di un dio pi� grande. Unito a questo, e osservante l'ordine e la volont� del Padre, esso � la totalit� della vita. Non c'� niente in esso, per tutta la durata del ritorno ciclico voluto dal Padre, che non sia vivo. Il Padre ha voluto che il mondo viva fin quando conservi la sua coesione: dunque, il mondo � necessariamente dio. Come pu� essere, allora, che in ci� che � dio, che � l'immagine del Tutto, ci siano cose morte? Infatti la morte � corruzione, la corruzione � distruzione, ed � impossibile che alcunch� di Dio possa essere distrutto. Ma non muoiono nel mondo gli esseri viventi, o Padre, sebbene siano parte del mondo? Taci, figlio mio, perch� tu sei indotto in errore dalla denominazione del fenomeno. Gli esseri viventi non muoiono, ma, essendo corpi composti, si dissolvono; e questa non � morte, ma la dissoluzione di un miscuglio. Se si dissolvono non � per andare incontro alla distruzione ma a un rinnovamento. Che cos'� infatti l'energia della vita? Non � movimento? E che cosa c'� nel mondo che sia immobile? Niente. Ma almeno la terra non sembra immobile? No. Al contrario, sola fra tutti gli esseri essa � soggetta ad una moltitudine di movimenti, ed � insieme stabile. Sarebbe assurdo supporre che questa nutrice di tutti gli esseri sia immobile, essa che d� nascita a tutte le cose, perch� senza movimento � impossibile generare. Tutto ci� che � nel mondo, senza eccezione, si muove, e ci� che si muove � anche vivo. Contempla dunque il bel sistema del mondo, e vedi che � vivo, che tutta la materia � piena di vita. Nella materia c'� dunque Dio, Padre? E dove potrebbe essere posta la materia, se esistesse al di fuori di Dio? [...] Le energie che operano in essa sono parti di Dio. Sia che tu parli di materia, o di corpi, o di sostanza, sappi che queste sono energie di Dio, di Dio che � il Tutto. Nel Tutto non c'� niente che non sia Dio. Adora queste parole, figlio mio, e rendi ad essa culto�104. Questo lungo passo, tratto dalla traduzione di Ficino del Corpus Hermeticum, contiene due elementi fondamentali, che Bruno ha ricalcato punto per punto, e che ha mantenuto inalterati anche nelle opere posteriori. Si tratta della discussione sul problema della morte e della teoria dell'Unum vivente, della attribuzione della materia anche a Dio, della identit� ontologica tra Cielo e Terra. La morte � impossibile perch� la materia � viva della stessa vita di Dio. Questa concezione riconduce immediatamente all'idea dell'Unum, e cos� il circolo si chiude. Ecco dunque come il punto pi� alto della metafisica di Bruno trova indiscutibili analogie con la tradizione Ermetica, pi� che con il neoplatonismo. La vera realt� � quella del mondo materiale, vivo ed animato, di cui l'uomo fa parte. Nello Spaccio de la bestia trionfante, Bruno sosterr� che il timore della morte, che dalla nascita tiranneggia il spirito degli animanti, � il veleno che rovina l'esistenza dell'uomo, togliendole alla radice ogni serenit� e piacere (e che potr� essere sradicato solo mostrando la vera natura dell'anima): �conoscerne il carattere composto e materiale, quindi perituro - ha osservato Alfonso Ingegno - era il solo mezzo per ottenere questo scopo, dal momento che l'apparizione delle immagini dei defunti faceva credere ad una immortalit� delle nostre anime e quindi all'esistenza di regni ultraterreni che fossero la loro dimora�105. In realt�, ancora una volta, Bruno si mostra convinto che l'ignoranza sia la causa di tutti i mali: � infatti a causa di questa che si � venuta radicando nell'uomo la credenza nell'Inferno e nel Paradiso, regni immaginari che hanno realt� solo nella nostra mente e che fanno s� che le pene dell'Ade e del Tartaro sussistano realmente ma solo quaggi�106. 4. Causa e Principio: un problema di ordine metafisico. Ho sostenuto che l'operazione fondamentale conseguita nel De la Causa � la fondazione metafisica della �Vita-materia-infinita�, per usare la felice espressione di Ciliberto. La Vita materia infinita, Dio, risulta per� assolutamente inconcepibile al di fuori del tema della umbratilit� dell'esistenza e della conoscenza umana. Nel Dialogo secondo Bruno riprende appunto l'esposizione della dottrina della conoscenza umbratile (gi� messa a fuoco nel De umbris), strettamente legata - come ho precisato - all'idea di una materia viva ed attualmente infinita che viene coordinata da Dio in forme apparentemente mortali. Ma della divina sostanza, proprio a causa della sua infinitudine e della sua divinit�, non possiamo conoscere nulla, se non �per modo di vestigio�: � quindi negata la visione �d'insieme�, perch� si tratta - ovviamente - di un insieme infinito. L'interrogativo, come ha acutamente spiegato Alessandro Delc�, � di ordine metafisico107: ogni cosa che non � primo principio, e prima causa, ha principio et causa? Perch� ogni cosa che non � il principio primo e la causa prima deve avere per forza un principio e una causa? La risposta � data sia dall'intelletto (per logica necessit� tutto ci� che non � primo � secondo rispetto al primo) che dalla disposizione de le cose naturali. Il Mondo si presenta infatti ordinato secondo leggi specifiche. Ma senza la successione ontologica non ci sarebbe neppure un ordine, e quindi il Mondo non sarebbe. Chiarito poi come �causa� e �principio� non siano sinonimi, Teofilo-Bruno spiega come devono essere intesi e distinti. Il principio concorre intrinsecamente alla costituzione delle cose e rimane nell'effetto, mentre la causa concorre esteriormente. In Dio, Intelletto artefice, che opera continuamente tutto in tutto, causa e principio sono la stessa cosa: causa intrinseca ed estrinseca in Lui coincidono. Alle insistenze del Dicson, che vuole ulteriori specificazione prima delle cause e poi �circa gli principii�, Teofilo Bruno chiarisce definitivamente la sua dottrina. Il Dicson ha interrogato Teofilo anzitutto sulla �causa efficiente prima�: si tratta di ricercare quindi la causa del mondo. La risposta consiste nella esposizione della teoria animistica: �dico l'efficiente fisico universale essere l'intelletto universale, che � la prima e principal facult� de l'anima del mondo, la quale � forma universale di quello�108. La teoria dell'animazione universale porta in primo piano il problema dell'apparenza: �Dicson. Volete voi che non sia cosa che non abbia anima e che non abbia principio vitale? Teofilo. Questo � quel ch'io voglio al fine. Poliinnio. Dunque un corpo morto ha anima? Teofilo. S�, messer s� [...]�109. C'� qualche prova che tutte le cose sono, se non animali, almeno animate? Riemerge a questo punto il legame tra pensiero magico e teoria dell'animazione universale. Gli effetti della magia, i �poteri magici� di elementi apparentemente inanimati, sono la dimostrazione dell'onnipresenza dell'anima. La capacit� che hanno certe gemme e lapilli di alterare affetti e passioni dell'anima, non meno di alcune sterpi e radici, dimostra che anche l'ingannevole inanimato � in realt� pervaso dalla vita-universale: �[...] voglio supersedere circa la propriet� di molti lapilli e gemme; le quali, rotte e recise e poste in pezzi disordinati, hanno certe virt� di alterar il spirito ed ingenerar nuovi affetti e passioni ne l'anima, non solo nel corpo. E sappiamo noi che tali effetti non procedono, n� possono provenire da qualit� puramente materiale, ma necessariamente si riferiscono a principio simbolico vitale ed animale; oltre che il medesimo veggiamo sensibilmente ne' sterpi e radici smorte, che, purgando e congregando gli umori, alterando gli spiriti, mostrano necessariamente effetti di vita. Lascio che non senza caggione li Necromantici sperano effettuar molte cose per le ossa de' morti; e credeno che quelle ritengano, se non quel medesimo, un tale per� e quale atto di vita, che gli viene a proposito a effetti estarordinarii�110. La citazione dimostra come siano complementari i concetti di animazione universale della materia infinita e azione magica. Ci� che non ha un'anima propria ha tuttavia un'anima, perch� anche in esso � presente l'anima universale. E' questa anima universale, sostrato universale, che permette il fluire dell'azione magico-sentimentale: �in universale le cose sono disposte in modo che stanno in rapporto reciproco, in una sorta di coordinazione, per cui si realizza il passaggio da tutte a tutte come per un continuo fluire�111. Inutile riportare a questo punto l'intero passo del Corpus Hermeticum che indica queste tesi. Ci basti ricordare questo passaggio: �Tutto discende dal cielo, dall'Uno che � il Tutto [...]. Dai corpi celesti vengono diffusi per tutto il mondo continui effluvi, attraverso le anime di tutte le specie e di tutti gli individui, da un estremo all'altro della natura. La materia � stata predisposta da Dio come ricettacolo di tutte le forme; e la natura, imprimendo le forme per mezzo dei quattro elementi, prolunga fino al cielo la serie degli esseri�112. Si tratta, evidentemente, della riproposizione dell'idea di scala naturae. 5. La fondazione metafisica della materia viva ed infinita. E' comunque nel Dialogo terzo che viene compiutamente esposta la dottrina della materia viva e infinita. Si attua qui il superamento della concezione democritea ed epicurea, e si giunge alla individuazione di due principi: �avendo riguardo a pi� cose, troviamo che � necessario conoscere nella natura doi geni di sustanza, l'uno che � forma, l'altro che � materia�113. Si riconosce quindi nel mondo la con-presenza di due principi: forma e materia, di cui forma equivale al concetto di potenza attiva (il fare), mentre materia equivale a potenza passiva (l'esser fatto). Teofilo, messo alle strette dalle insistenze di Gervasio, chiarisce che cosa si debba intendere per materia e per �materia nelle cose naturali�: la materia � propriamente un principio sostanziale, ci� che rende possibile e sopravvive al divenire delle forme: �nella natura, variandosi in infinito e succedendo l'una all'altra le forme, � sempre una materia medesima�114. L'identificazione pi� netta della materia si ha proprio sul piano del divenire, ossia della produzione delle forme: �non vedete voi che quello che era seme si fa erba, e da quello che era erba si fa spica, da che era spica si fa pane, da pane chilo, da chilo sangue, da questo seme, da questo embrione, da questo uomo, da questo cadavero, da questo terra, da questa pietra o altra cosa, e coss� oltre, per venire a tutte forme naturali? [...] Bisogna dunque che sia una medesima cosa che da s� non � pietra, non terra, non cadavero, non uomo, non embrione, non sangue o altro; ma che, dopo che era sangue, si fa embrione, ricevendo l'essere embrione; dopo che si fa embrione, riceva l'essere uomo, facendosi omo: come quella formata dalla natura, che � soggetto de la arte, da quel che era arbore, � tavola e riceve l'esser tavola; da quel che era tavola, riceve l'esser porta ed � porta�115. Riemerge cos� il tema del divenire infinito, e riemerge anche la figura dell'artefice interno, che regola la produzione delle �cose naturali� secondo le regole - magiche - dell'intelletto universale. Ci sono infatti tre principi, a livello di produzione e coordinazione delle �cose naturali�: l'intelletto, datore delle forme, l'anima, fonte delle forme, la materia, ricetto delle forme. La distinzione bruniana tra Dio e mondo si attua proprio in virt� di questa dualit� di livello, ed � comprensibile in virt� della duplice valenza della materia, intesa come attiva o come passiva. L'infinit� di Dio � sempre superiore all'infinit� alle forme prese concretamente dalla materia. Non che la materia non sia infinita, ma per il fatto che essa �riceve� le forme dall'intelletto superiore, e non le possiede dunque tutte in s�, si deve concludere che la sua infinit� � diversa dall'infinit� di Dio. 6. La materia � contemporaneamente attiva e passiva: anche nella materia � possibile riscontrare una natura binaria. Si tratta in sostanza un discorso equivalente e simmetrico alla analoga distinzione tra la potenza attiva (propria dell'intelletto) e passiva (della materia). La materia infatti, come principio, pu� essere considerata in due modi, come soggetto e come potenza. La potenza, che corrisponde in sostanza al concetto di possibilit�, pu� essere intesa sia come potenza attiva che passiva. Questo al livello dell'intellegibile, perch� �di fatto�, nella natura sono la medesima cosa. Atto e potenza, in Dio, coincidono assolutamente. Nelle �cose naturali�, esplicate, nessuna � attualmente tutto ci� che pu� essere, ma solo potenzialmente. Si attua cos� la migliore definizione dell'Uno: ci� che � tutto ci� che pu� essere � Uno, e nella sua esistenza comprende quindi ogni essere particulare. Potenza e atto sono quindi Uno nel primo principio e molti nelle cose particolari. E' la teorizzazione della complicatio ed explicatio: dall'Uno al molteplice. Il passaggio dall'Unum al molteplice non comporta per� una degradazione o dell'essere, ma casomai una sua moltiplicazione infinita. Da notare che per Bruno la materia � gi� tutta presente nell'Universo, ed � viva in modo quasi personale. L'inganno di una produzione delle cose � dato dal mutamento delle forme, che si avvicendano nello spazio-tempo infinito. 7. La distinzione tra Dio e Universo. Concettualmente, si devono tener ben distinti l'universo dal suo primo principio: nell'universo atto e potenza coincidono, ma non assolutamente, come nel primo principio. Se � possibile operare una distinzione - a livello epistemologico - tra Dio inteso come implicatio e Dio come explicatio e se questa � il Mondo, oggetto della conoscenza naturale, mentre la prima � la Divinit�, oggetto della contemplazione superiore e dell'ascesi mistico-estatica, se si vengono quindi a distinguere due piani del conoscere, questo rientra perfettamente nell'area della filosofia binaria. Nel primo principio ci� che nell'universo � infatti esplicato, � unit�: �ogni potenza dunque ed atto che nel principio � come complicato, unito ed uno, nelle altre cose � esplicato, disperso e moltiplicato. Lo universo che � il grande simulacro, la grande imagine e l'unigenita natura, specie e membri principali e continenza di tutta la materia, alla quale non si aggionge e dalla quale non si manca, di tutta ed unica forma; ma non gi� � tutto quel che pu� essere per le medesime differenze, modi, propriet� ed individui. Per� non � altro che un'ombra del primo atto e prima potenza, e per tanto in esso la potenza e l'atto non � assolutamente la medesima cosa, perch� nessuna parte sua � tutto quello che pu� essere�116. La differenza tra Dio e l'universo si pu� riscontrare anche a livello di imperfezione. Teofilo-Bruno sottolinea infatti come la morte, �la corrozione i difetti e i mostri� siano presenti solo nella natura esplicata, nel �simulacro�, dove la potenzialit� non � tutta assolutamente in atto, dove la materia cerca ancora la sua esplicazione pi� perfetta: �queste cose non sono atto e potenza, ma sono difetto e impotenza, che si trovano nelle cose esplicate, perch� non sono tutto quel che possono essere, e si forzano a quello che possono essere�117. Quando mai l'universo sar� assolutamente coincidenza di atto e potenza? Nel ripetersi ciclico - infinito - della vicissitudine universale. Per ora, l'universo rimane immagine, umbra, ma a livello epistemologico, non ontologico. Riemerge allora il tema del De umbris, il problema della conoscenza. L'universo, pur considerato come un animale assolutamente perfetto, � solo umbra di Dio. E' ombra, infinita, di un Essere infinito. Solo in Dio, principio dell'universo, non si ritrovano estensione, tempo: �il principio suo [dell'universo] � unitamente ed indifferentemente; perch� tutto � tutto ed il medesimo semplicissimamente, senza differenza e distinzione�118. Dio comprende, in un atto solo, tutto quello che nell'universo � esplicato, diviso, nell'infinita estensione dello spazio e del tempo. Per questo Dio rimane assolutamente inconoscibile, ed oggetto di ascesi mistica. Si viene cos� ad una discussione centrale per la definizione della infinitezza di Dio e quella dell'Universo: �Or tornando al proposito, il primo principio assoluto � grandezza, � magnitudine; ed � tal magnitudine e grandezza, che � tutto quel che pu� essere. Non � grande di tal grandezza che possa esser maggiore, n� che possa esser minore, n� che possa dividersi, come ogni altra grandezza che non � tutto quel che pu� essere; per� � grandezza massima, minima, infinita, impartibile e d'ogni misura. Non � maggiore, per essere minima; non � minima, per esser quella medesima massima; � oltre ogni equalit�, poich� � tutto quel che ella possa essere. Questo, che dico della grandezza, intendi di tutto quel che si pu� dire: perch� � similmente bont� che � ogni bont� che possa essere; � bellezza che � tutto il bello che pu� essere; e non � altro bello che sia tutto quello che pu� essere, se non questo uno. Uno � quello che � tutto e pu� essere assolutamente�119. Il primo principio dunque - Dio - � grandezza, ma non tale che possa essere contata, misurata, paragonata: per questo essa � il massimo e il minimo, nello stesso momento. Coincidentia oppositorum? In parte. Forse semplice conseguenza della magica filosofia binaria, di cui parler� pi� avanti. Per ora toniamo al De la Causa. Subito dopo, e dubito si tratti di una identificazione solo metaforica, Bruno passa a spiegare come sia possibile pensare l'Assoluto che nello stesso tempo � atto e potenza. L'esempio � dato dalla identit� del Sole e di Dio (identit� ovviamente non assoluta ed esclusiva: Dio � il Sole, la Terra, la Luna e cos� via, all'infinito): �or se vogliamo mostrare il modo con il quale Dio � il Sole, diremo (perch� � tutto quel che pu� essere) che � insieme oriente, occidente, meridiano, merinoziale e di qualsivoglia di tutti i punti de la convessitudine della Terra; onde, se questo Sole o per sua revoluzione o per quella della Terra) vogliamo intendere che si muova e muta loco, perch� non � attualmente in un punto senza potenza di essere tutti gli altri, e per� ave attitudine a esservi; se dunque � tutto quel che pu� essere, e possiede tutto quello che � atto a possedere, sar� insieme per tutto e in tutto [...]�120. Bruno ha appena sostenuto che, essendo tutta quella che pu� essere, la grandezza divina non ha alcun termine di paragone. Si tratta allora di un infinito diverso da quello del mondo, in cui per la verit� ci sono parti misurabili. La grandezza divina, ci pare di capire, viene qui intesa come l'unit� di misura, minima e massima per il fatto di comprendere in se stessa l'infinitamente piccolo e l'infinitamente grande. Dio sembra essere quasi il confine (metafisico e gnoseologico) dell'universo. L� dove l'umbra decreta l'insondabilit� da parte dell'uomo, comincia Dio; l� dove la materia si fa cos� semplice da ridursi a monade (minimo metafisico), o atomo (minimo fisico), oppure l� dove la vita si moltiplica fino a farsi infintia, si trovano i confini minimi e massimi del reale. Bruno sostiene infatti che la grandezza divina �non � maggiore, per esser minima; non � minima, per esser quella medesima massima; � oltre ogni equalit�, perch� � tutto quel che ella possa essere�121. Alla infinit� dell'universo viene quindi paragonata l'infinit� del primo principio, di Dio. Da questo paragone scaturiscono le differenze essenziali, a livello teoretico ma anche sul campo della reale infinit�. L'infinit� di Dio, essendo assoluta, non pu� manifestarsi in se stesso con la materia, che per quanto infinita nello spazio e nel tempo � sempre rappresentabile solo mediante determinazioni particolari. L'universo � a sua volta umbra, simulacro, specchio dell'essenza divina. In questo modo Bruno voleva salvare una trascendenza puramente concettuale, perch�, anche se a livello intellegibile si possono fare differenze tra Dio e l'Universo, a livello dell'esperienza reale, naturale, Dio � nell'universo, nel mondo. Dal punto di vista dell'esperienza della filosofia della natura la trascendenza perde il suo carattere di realt� oggettiva e sfuma nel mondo delle idee. 8. La coincidenza di atto e potenza. L'infinit� coinvolge chiaramente tutte le determinazioni qualitative: grandezza, bellezza e cos� via. Sembra in qualche modo un passo indietro rispetto alle precedenti affermazioni: prima infatti Bruno aveva mostrato la coincidenza di atto e potenza nella materia, poi per� spiega che questa coincidenza � limitata e diversa, radicalmente diversa da quella di Dio. La coincidenza di atto e potenza, a livello della materia, significa essere tutto quello che pu� essere, immediatamente. Bruno vede benissimo che nelle cose naturali questo non � possibile e che ciascuna cosa, presa in se stessa, di fatto non � simultaneamente tutto ci� che pu� essere, ma delle infinite possibilit�, assume una forma sola. La coincidenza di atto e potenza viene allora salvata mediante l'idea della vicissitudine universale: il passare della materia da una forma ad un'altra, all'infinito, corrisponde al momento della coincidenza di atto e potenza. A livello epistemologico si attua quindi una distinzione complementare a quella esistente tra Dio e l'Universo: per l'uomo � impossibile conoscere la divina sostanza, mentre invece rimane la possibilit� di un certo progresso (infinito) in ambito naturale. E' possibile insomma conoscere tutto ci� che non vede una coincidenza assoluta tra atto e potenza: tutto, tranne l'infinito in atto. E' da qui che germina l'idea di teologia negativa, di fatto smentita da una serie di determinazioni dell'Unum che vanno ben al di l� di semplici negazioni, e che devono essere d'altra parte connesse alla rivelazione ermetica. 9. La teologia negativa e i limiti della conoscenza umana nei confronti dell'Universo infinito. A livello razionale � possibile, e lo abbiamo visto, indagare sulle leggi della natura, cio� su come funziona il mondo. Ma alla natura di Dio � possibile avvicinarsi solo con una sorta di teologia negativa tutta �naturale�: �questo atto absolutissimo, che � medesimo che l'absolutissima potenza, non pu� esser compreso da l'intelletto se non per modo di negazione: non pu�, dico, esser capito n� in quanto pu� esser tutto, n� in quanto � tutto. Perch� l'intelletto, quando vuole intendere, gli fia mestiero di formar la specie intellegibile, di assomigliarsi, conmesurarsi ed eguagliarsi a quella; ma questo � impossibile, perch� l'intelletto mai � tanto che non possa essere maggiore; e quello per essere inmenso da tutti lati e modi non pu� esser pi� grande. Non � dunque l'occhio ch'approssimar si possa o ch'abbia accesso a tanto altissima luce e s� profondissimo abisso�122. L'intelletto umano, quindi, � solo una parte del Tutto, e come tale non pu� comprendere l'infinito. Non si tratta per� di una ri-edizione della dotta ignoranza, n� di una negazione definitiva delle capacit� umane. L� dove Bruno afferma e definisce il limite, subito si apre la strada al progresso umano, infinito. Si tratta chiaramente di due infiniti diversi. L'infinito progresso umano non raggiunger� mai l'infinita grandezza del Tutto, ma, di fatto, entrambi non hanno limiti. Il soggetto dell'ombra sfugge continuamente alla ricerca. Ma la ricerca continua. Quando l'attivit� umana gli si avvicina, il Soggetto si sposta di un poco e rimane nell'ombra. Di fatto questo non impedisce l'idea del progresso, coerente con la divinizzazione della natura umana: �[questo absolutissimo] non pu�, dico, esser capito n� in quanto pu� esser tutto n� in quanto � tutto�123. Da parte sua, l'intelletto �mai � tanto che non possa esser maggiore�124. La differenza che emerge sembra essere la stessa che c'� tra infinito potenziale ed attuale, solo che in questo caso l'intelletto umano non � mai infinito, ma sempre finito e perfettibile: Dio invece � attualmente infinito. Una analoga differenza emerge a livello del rapporto Dio-Natura. Mentre Dio � attualmente infinito, non � perfettibile perch� � gi� perfetto in se stesso, la natura, l'esplicatio, � perfettibile: la materia � sempre alla ricerca di nuove forme, si sviluppa continuamente nella vicissitudine universale. 10. La materia, in un certo senso, pu� essere attribuita anche a Dio. E' sempre in questo fondamentale terzo Dialogo che Bruno attribuisce apertamente la materia anche a Dio: �conchiudendo, dunque, vedete quanta sia l'eccellenza della potenza, la quale, se vi piace chiamarla raggione di materia, che non hanno penetrato i filosofi volgari, la possete, senza detraere alla divinit�, trattar pi� altamente che Platone nella sua politica ed il Timeo. Costoro, per averno troppo alzata la raggione della materia, son stati scandalosi ad alcuni teologi. Questo � accaduto o perch� non si sono bene dechiarati, o perch� questi non hanno bene inteso, perch� sempre prendono il significato della materia secondo che � soggetto di cose naturali, solamente come nodriti nelle sentenze d'Aristotele, e non considerano che la materia � tale appresso agli altri, che � comune al mondo intellegiile e sensibile, come essi dicono, prendendo il significato secondo una equivocazione analoga�125. Materia � quindi - a livello concettuale - equivalente a potenza. La materia intesa in questo modo pu� e deve essere quindi attribuita anche a Dio: la potenza � infatti il correlativo dell'atto. Emerge poi prepotentemente la critica alla filosofia tradizionale e ai suoi seguaci, �filosofi volgari�: nella loro trattazione della materia sono andati soggetti alla �equivocazione�. La materia � potenza, ed � quindi anche in Dio. I teologi che si sono scandalizzati per l'attribuzione della materia anche a Dio sono stati acritici seguaci della filosofia aristotelica: materia non � solo sostrato passivo della natura, ma principio della potenzialit�, ovviamente, infinita. L'idea che Bruno va proponendo � quella dell'animazione universale mai sciolta - absoluta - dalla materia. La coincidenza di atto e potenza si attua in modo diverso, secondo la proporzione dovuta, a seconda che si tratti di Dio o dell'universo. Non � per� possibile sostenere che Bruno abbia fondato la sua filosofia sullo studio della natura, perch� � proprio dal soprannaturale che ha preso le mosse per identificare la struttura della natura. Ecco perch� concordiamo con Ciliberto quando parla di identificazione tra metafisica e cosmologia126. In realt� con il De la Causa Bruno prima ha fatto teologia, e poi filosofia naturale. Non si possono accettare quindi le posizioni di Spruit, secondo il quale Bruno va interpretato secondo quadri concettuali che gli sono propri e che rimangono sostanzialmente estranei alla corrente ermetica. E' vero precisamente il contrario: Bruno va interpretato secondo l'ermetismo e la sua filosofia naturale prende significato da esso. Ricordo ancora una volta che per il Nolano l'ermetismo � la vera religione. 11. Il rapporto tra filosofia e teologia. Il Dialogo quarto vede snodarsi il rapporto tra filosofia e teologia. L'inizio � dato dalla discussione della concezione plotiniana della materia, intesa come prope nihil. Ormai Teofilo-Bruno ha definito l'universo come infinito effetto della causa infinita. Dopo questa definizione, la materia non sar� pi� concepibile come un prope nihil, e cos� viene a cadere anche la distinzione tra materia intellegibile e corporea. Viene quindi chiarito il fine della filosofia: �Teofilo. [possete quindi] montar al concetto, non dico del summo ed ottimo principio, escluso dalla nostra considerazione, ma de l'anima del mondo, come � atto di tutto e potenza di tutto, ed � tutta in tutto: onde al fine, dato che sieno innumeraili individui, ogni cosa � uno, ed il conoscere questa unit� � il scopo e termine di tutte le filosofie e contemplazioni naturali; lasciando ne' suoi termini la pi� alta contemplazione, che ascende sopra la natura, la quale a chi non crede � impossibile e nulla�127. E Dicson ribatte: �E' vero; perch� se vi monta per lume sopranaturale, non naturale. Teofilo. Questo non hanno quelli che stimano ogni cosa esser corpo, o semplice, come lo etere, o composto, come li astri e le cose astrali; e non cercano la divinit� fuor de l'infinito mondo e le infinite cose, ma dentro quello ed in quelle. Dicson. In questo solo mi par differente il fidele teologo dal vero filosofo�128. Il passo riportato per esteso, dopo aver delimitato le possibilit� della ricerca �naturale�, ed aver precisato che all'unit� infinita si arriva solo mediante l'ascesi, fissa in un unico momento la distinzione tra filosofia e teologia. Importante � dare rilievo alla funzione del �lume sopranaturale�, che rischiara l'ascesi, e che � negato a coloro che �cercano la divinit� fuor de l'infinito mondo�. Al concetto di infinit� � dunque strettamente legato il concetto di lume sopranaturale, legato al tema dell'ascesi. L'ascesi � una strada aperta al filosofo naturale, che muove dall'osservazione della natura, per contemplare in essa la infinita potenza di Dio. 12. L'unit� divina e la sua infinit�. La celebrazione dell'universo infinito si chiude nel De la Causa con il Dialogo Quinto, dove Teofilo-Bruno dichiara la infinit� attuale della Unit� divina: �Teofilo. E' dunque l'universo uno, infinito, immobile. Una, dico, � la possibilit� assoluta, uno l'atto, una la forma o anima, uno il massimo ed ottimo, il quale non deve posser esser compreso; � per� infinibile ed interminabile, e per tanto infinito ed interminato, e per conseguenza immobile�129. La questione dell'infinit� dell'universo non rimane pi� nella indeterminatezza cusaniana, ma si risolve, positivamente, nell'affermazione della sia infinit� attuale. Dalle determinazioni metafisiche di Dio Bruno passa, per analogia, alle determinazioni dell'Unum fisico: �non si genera, perch� non � altro essere che lui possa desiderare o aspettare, atteso che abbia tutto lo essere. Non si corrompe; perch� non � altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni cosa. Non pu� sminuire o crescere, atteso che � infinito [...]�130. La coincidentia oppositorum, di matrice cusaniana, trova finalmente la sua ragione nella infinit� dell'universo. Nell'unico universo infinito i contrari vengono compresi in una sola unit�, senza quella contraddizione che, nel mondo visto come particolare, era solo relativa. Nell'Uno vengono a cadere tutte quelle determinazioni che riguardavano le cose particolari: �non � materia, perch� non � figurato n� figurabile, non � terminato n� terminabile. Non � forma, perch� non informa n� figura altro, atteso che � tutto, � massimo, � uno, � universo�131. Lo stesso discorso vale per il concetto di misura: �non � misurabile n� misura. Non si comprende, perch� non � maggior di s�. Non si � compreso, perch� non � minor di s�132. Il concetto di infinito manda all'aria tutte le determinazioni del mondo: �ne l'universo medesima cosa � larghezza, lunghezza, profondo, perch� medesimamente non hanno termine e sono infinite. Se non hanno mezzo, quadrante, ed altre misure, se non vi � misura, non vi � parte proporzionale, n� assolutamente parte che differisca dal tutto. Perch� se vuoi dir parte de l'infinito bisogna dirla infinito; se � infinito, concorre in uno essere con il tutto: dunque l'universo � uno, infinito, impartibile. E se ne l'infinito non si trova differenza, come di tutto e parte e come di altro e altro, certo l'infinito � uno�133. L'idea dell'unit� porta quindi con s� l'idea dell'infinit� del Tutto e viceversa. Dell'infinito non potrebbero darsi parti se non infinite, il che, per Bruno, � assurdo. Le geniali intuizioni di Cantor verranno solo verso la fine del XIX secolo. In ogni caso quella di Bruno � l'esposizione chiara e precisa della infinit� �attuale� dell'universo. Non poteva certo Bruno formulare una teoria precisa sull'infinito matematico, in cui, come ha dimostrato Cantor, � possibile concepire diversi tipi di infiniti, e dominarli con sistemi insiemistici. In questo senso la sua posizione � precisa: �sotto la comprensione de l'infinito non � parte maggiore e parte minore; perch� alla proporzione de l'infinito non si accosta pi� una parte quanto si voglia maggiore che un'altra quanto si voglia minore�134. Per Bruno l'infinito � uno e non ha parti. In ogni caso si deve mettere in rilievo come di fatto Bruno abbia seguito lo stesso ragionamento cantoriano secondo cui �l'infinito potenziale ha solo una realt� presa a prestito, dato che un concreto di infinito potenziale rimanda sempre a un concetto i infinito attuale che lo precede logicamente e ne garantisce l'esistenza�135. Il processo logico che ha portato alla affermazione dell'esistenza di un infinito attuale sembra identico. Come l'infinito potenziale rimanda ad una realt� precedente che ne fonda la possibilit� (� quindi un infinito che vive per analogia), cos� l'universo, fondandosi su una realt� infinita attualmente, ed essendo analogo ad essa, non pu� che essere infinito. Da qui forse la consapevolezza di Bruno che infinit� dell'Universo e infinit� di Dio sono diverse. Era noto infatti il paradosso medioevale secondo il quale esistono in matematica due infiniti uguali ma differenti allo stesso tempo: si tratta di un famoso paradosso, che col tempo, a causa della curiosa soluzione che ne diede, venne chiamato �paradosso di Galileo�. Il paradosso di Galileo consiste nel fatto che �da un lato l'insieme dei quadrati perfetti � pi� piccolo dell'insieme dei numeri naturali, dato che non tutti i numeri naturali sono quadrati perfetti, dall'altro sembra che ci siano tanti quadrati perfetti quanti numeri naturali, dato che ogni numero naturale � la radice quadrata di un unico quadrato perfetto�136. Si tratta di un paradosso analogo ad un altro, assai famoso, del periodo medievale. Questo doveva aver fatto impazzire diversi monaci, e risultava di difficile soluzione: il paradosso � dato dal fatto che una circonferenza � composta da infiniti punti. Ma �poich� la circonferenza di un cerchio di raggio due � lunga il doppio di quella di raggio uno, la prima dovrebbe comprendere una infinit� di punti pi� grande della seconda�137. Bruno doveva essere consapevole delle difficolt� in cui si erano imbattuti i medievali trattando l'infinito. E il passo che lo porta a sostenere l'infinit� attuale dell'universo � senza dubbio quello dell'analogia: cos� come Dio � infinito, l'universo � infinito. Ma mentre per S.Tommaso in questo c'era contraddizione, perch� Dio � cristianamente sentito come Assoluto, sciolto dal mondo creato, per Bruno invece, trattandosi di due realt� da intendersi secondo la sua teoria monistica, si trattava solo di eliminare le barriere del mondo, l'ultima sphaera mundi. L'eliminazione dei muri celesti � conseguita, � bene sottolinearlo, non con passaggi matematici o fisici, ma per �intuizione�. L'intuizione porta infatti all'analogia, mentre la scienza fisico-matematica serve solo per una conferma ulteriore. Siamo sempre all'interno della trattazione dell'infinito spaziale, quello dell'universo. Ma, chiaramente, la definizione dell'infinit� dell'universo coinvolge anche l'infinito temporale, riallacciandosi alla teoria della metempsicosi. Cos� � confermata l'idea che il tempo si ripete ciclicamente, all'infinito e da sempre: la Verit� stessa � data all'uomo mediante la rivelazione in tempi stabiliti, ciclici. Ovviamente, viene cos� sradicata alla base la dottrina della creazione dal nulla, propria del Cristianesimo. L'infinitamente grande corrisponde all'infinitamente piccolo: Dio � la monade. La celebrazione dell'Uno porta la soluzione degli estremi, dei contrasti, in un solo essere: il principio vitale dell'universo. Notevoli analogie con questi passi si possono rilevare nel De monade, dove Bruno asserisce che �Uno � lo spazio, una la Grandezza, uno il Fondamento, con potenzialit� e possibilit� infinita, esso stesso infinito. [...] Una � la Mente, dovunque tutta, che misura tutte le cose, uno � l'intelletto che ordina tutto, uno � l'amore che tutto concilia con tutto. [...] Uno � l'infinito che tutto delimita. [...] Uno � l'universo infinito che tutto abbraccia [...]. Una � l'intenzione che dispone tutte le cose. Uno � il fine a cui tutte le cose aspirano ed uno � il mezzo con cui tutte le cose lo conseguono. Uno � il Motore che garantisce l'universale vicissitudine. Uno � l'Atto che ogni cosa compie, una � l'Anima che tutto vivifica. Uno � il Nome che ha in s� tutti i significati, una � la Ragione che media ogni cosa [...]. Uno � il Microcosmo, unico � il cuore da cui gli spiriti vitali si diffondono per tutto quanto l'animale, in cui � infisso e radicato l'albero universale della vita e ad esso gli stessi spiriti vitali rifluiscono per conservarsi�138. La teoria infinitista bruniana poggia quindi su di uno slancio mistico verso l'Unit� divina, ed in esso trova il suo significato. Siamo evidentemente all'interno di una concezione �analogica�, che non si preoccupa di definire n� di approfondire le problematiche delle propriet� dell'infinito. L'infinit� �, assieme alla assoluta unit�, la prima caratteristica di Dio: � quindi impossibile cercare una qualsiasi definizione di propriet� in senso positivo. La teologia pu� solo essere negativa. Il campo d'indagine dell'infinito, a livello metafisico, esclude la conoscenza umana: l'infinito corrisponde, a livello metafisico, all'assoluto, e come tale � umbra. Le cose cambiano se si passa alla cosmologia, alla fisica. Certo, il mondo � sempre umbra, ma la sua infinit� non corrisponde, lo abbiamo gi� visto, alla infinit� di Dio. La infinit� del mondo � quindi soggetta a regole comprensibili: qui entra in gioco il carattere pragmatico e conoscitivo della magia. 13. Infinito e antropologia: conoscenza, magia e ascesi per gradi. L'omogeneit� fisica e metafisica dell'universo infinito garantiscono ovviamente una immediata relazione dell'uomo con la Totalit�, con l'Unum. Si tratta evidentemente di una relazione non conoscitiva, ma definibile in termini di partecipazione passiva. L'attivit� di tale partecipazione � condizionata alla conoscenza delle regole magiche di connessione delle cose: il controllo sui vincoli permette l'ascensus della scala mediante il superamento dei gradi gerarchici degli enti. Si tratta ovviamente di una gerarchia che riflette l'ordine impresso dall'Intelletto per garantire il corretto funzionamento della macchina del mondo: non si tratta mai di una gerarchia che � anche separazione dell'umano dal divino. Come ha acutamente osservato Fulvio Papi: �La conoscenza magica si sostituisce alla rassicurazione che deriva dalla fede religiosa dell'essere creatura privilegiata di Dio�139. La dottrina magico-infinitista � evidentemente legata alla volont� di esaltare la dignit� umana. Vivere in un mondo illimitato, infinito, non pi� centro dell'universo (e quindi luogo pi� lontano dalla bont� divina, posizione diabolocentrica, come l'ha definita Lovejoy), cambia radicalmente la posizione dell'uomo di fronte a Dio e di fronte a se stesso. La teoria infinitista � insomma strettamente legata al tema dell'ascesi dell'uomo, e quindi alla magia. Non a caso, nel De immenso Bruno, per definire l'uomo che si innalza all'infinito, cita esplicitamente Ermete Trismegisto �allora l'uomo da Trismegisto sar� definito un grande miracolo, l'uomo che si trasforma in dio, quasi che fosse egli stesso dio, che tenta di divenire tutto, come dio � tutto; si rivolge all'oggetto senza limite (che talvolta tuttavia necessita di un limite), come infinito � dio, immenso dovunque tutto�140. L'ascesi per gradi si realizza anzitutto mediante l'imitatio naturae. Questa � un'azione pratica e conoscitiva al tempo stesso, perch� per imitare la natura occorre conoscere i vincoli che operano in essa e la scala naturae da essi costituita. La realizzazione pi� completa dell'imitatio si trova nella filosofia naturale, che per bruno corrisponde alla magia, alla sapienza antica. Nel De magia Bruno spiegava infatti che �mago va inteso in primo luogo come sapiente: tali erano i Trismegisti in Egitto, i Druidi presso i Galli, i Gimnosofisti in India, i Cabalisti presso gli Ebrei, i Maghi in Persia [...]�141. A livello metafisico l'infinito corrisponde all'Assoluto, a Dio. Come tale non � conoscibile. A livello mundano, cosmologico e fisico, l'infinito corrisponde all'estensione del mondo, alla sua infinita variazione di forme, alle sue leggi, al minimo e al massimo fisico (Monade e Unit� Assoluta), e quindi al concetto di scala naturae. L'infinit� del Mondo � umbra dell'infinit� di Dio. A livello gnoseologico l'idea dell'infinito � relata alla conoscenza dell'oggetto. Essendo l'oggetto infinito, la conoscenza naturale � infinita, ma � presente l'idea di una �illuminazione�, frutto dell'ascesi. L'imitatio naturae � un progresso infinito, ma l'azione del mago prevede il raggiungimento dell'ascesi e quindi del contatto, anche se momentaneo con la divinit�. Questo contatto conferisce al mago conoscenza e quindi straordinari poteri: si tratta dell'elevazione pi� completa della sua dignit�. L'uomo-mago (che non � l'uomo qualunque) parla la lingua degli d�i, l'antica lingua egizia. In questo modo sa usare simboli e numeri che corrispondono alle cose e agli esseri, � padrone del mondo. L'infinito coinvolge quindi anche la dimensione etica. Se dal macrocosmo ci spostiamo al microcosmo vediamo che con la predominanza del concetto di infinito cambia la posizione dell'uomo nel mondo dell'uomo verso il mondo. Il soggetto umano � lo specchio dell'universo, ricostruito mediante l'idea analoga della scala naturae. Nella Lampas triginta statuarum si incontra infatti una �scala di Minerva� che organizza percezione, conoscenza e saggezza, secondo un preciso ordine che prevede alla sommit� (trentesimo grado) la �Sapienza�. La �Sofia� corrisponde alla unit�, sostanziale, dell'universo: �ogni produzione, di qualsivoglia sorte che la sia, � una alterazione, rimanendo la sustanza sempre la medesima; perch� non � che una, uno ente divino, immortale. Questo lo ha possuto intender Pitagora che non teme la morte, ma aspetta la mutazione. [...] Questo lo ha inteso Salomone che dice non esser cosa nova sotto il sole; ma quel che �, gi� fu prima. Avete dunque come tutte le cose sono ne l'universo, e l'universo � in tutte le cose; noi in quello, quello in noi: e coss� tutto concorre in perfetta unit�. [...] Quelli filosofi hanno ritrovata la sua amica Sofia, li quali hanno ritrovata questa unit�. Medesima cosa a fatto � la Sofia, la verit�, la unit�142. La filosofia � quindi contemplazione estatica del Tutto e della sua unit� divina. La filosofia naturale diventa misticismo. Si noti che il tema dell'unit� con il divino � fondamentale anche nella discussione dell'ordinamento civile: questo deve essere costituito in base al rapporto con la divinit� che si comunica direttamente all'uomo per mezzo della Natura. A questo proposito Alfonso Ingegno ha rilevato opportunamente che la saldatura tra momento propriamente civile e momento religioso si realizza �sul piano del culto. In effetti se l'antica religione conteneva anche un rapporto 'vero' [...], con il divino, non potr� non presentare questo rapporto secondo uno stretto parallelismo con ci� che Bruno ha affermato della vita civile e della sua dipendenza in maniera corretta dalla divinit�. Quest'ultima, nella sua accezione suprema, non provvede all'uomo solo attraverso leggi e statuti ma partecipando se stessa alla natura, digradando ancora una volta dalla sua unit� inaccessibile a forme che possano essere colte dall'uomo e volte non diversamente che nel caso della vita civile, alla sua utilit�, pur determinando ancora una volta un livello religioso inveitabilmente imperfetto se posto in relazione con un culto dell'assoluto che ci � d'altra parte precluso nella sua purezza. Anche qui - quasi a sottolineare maggiormente il rilievo di questo parallelisnmo - ci viene ricordato cbhe la divinit� in quanto � absoluta non ha a che fare con noi ma in quanto si partecipa, contraendosi alle varie parti della natura in forme e misure diverse, pu� essere onorata e volta ai suoi fini dall'uomo attraverso il culto magico. (La scala discendente attraverso cui essa si partecipa verr� ancora illustrata nella Cabala ma ormai solo per un fine satirico, per rappresentare l'ideale, puramente immaginaria scala metafisica da cui discende il sapere, anzi, il non sapere dell'asino.) Le pagine riservate alla religione egizia e in genere al paganesimo sono cos� destinate ad illustrare una superiorit� metafisica nei confronti del cristianesimo che � andata smarrita e deve essere recuperata [...]�143. 14. Analogie strutturali tra il De la causa e le opere magiche tarde (De vinculis in genere e De magia). Ora che abbiamo delineato la struttura portante del De la Causa appare pi� chiara l'analogia con altre due opere fondamentali di Bruno, il De magia e il De vinculis in genere. Vedremo che queste due opere di carattere magico seguono in realt� l'impostazione filosofica dei primi anni. Nel De magia la tesi ricorrente � che l'uomo pu� influenzare la natura in virt� della sua animazione, del suo spirito onnipervadente. Come nel De la Causa si era individuata l'Unit� del Mondo, e si era affermato che questa Unit� � viva, e dotata di uno Spirito universale, intelligente, che informa la Natura, cos� nel De magia si ribadisce che �la natura, come dette alle specie l'essere [...], cos� v'impresse anche un certo spirito interno o senso, grazie al quale riconoscono e fuggono i pi� feroci nemici, come per un'iscrizione che li dichiari tali, e questo non lo constatiamo solo nelle specie degli esempi precedenti, ma anche in tutte quelle che sembrano morte o manchevoli, in cui � pur insito uno spirito che brama con tutte le forze di conservare la specie presente...�144. Nel De vinculis, confutando le posizioni aristoteliche, Bruno sosterr�: �coloro che filosofano pi� a fondo capiscono ci� che noi abbiamo chiarito altrove; come la materia contenga nel proprio seno l'avvio di tutte le forme, sicch� da esso tutte le produce e le emette [...]. A chi dunque rifletta sul vincolo [...] deve esser chiaro come in tutta la materia o in una parte della materia, in ognoi individuo o nell'individuo singolo, vivono allo stato latente tutti i semi delle cose e di conseguenza, con accorto artificio, si possono attivare le applicazioni di tutti i vincoli�145. Ecco quindi come, proprio in virt� dell'unit� e dell'animazione universale della materia (sostenuta nel De la Causa), il mago pu� operare sul Mondo: attraverso la conoscenza dei �vincoli�. Chi conosce il linguaggio segreto dei vincoli pu� ottenere tutto da tutto, avendo la materia in se stessa i semi per generare qualsiasi cosa. Il mago deve saper �vincolare�, operazione possibile solo tramite l'apprensione della Totalit� vivente, solo con la consapevolezza della ratio universi: �sa vincolare solo colui che penetra la ragione di tutto�146. C'� un vincolo supremo che regola l'attivit� degli altri: �in tutte le cose risiede una forza divina, l'amore, padre, fonte, Anfitrite dei vincoli�. E subito di seguito anche questa concezione viene legata alla unit� del Mondo, che si realizza concretamente nella �scala naturae�, e alla perfezione dell'Universo Infinito: �E noi conseguiremo il livello pi� alto e primario della dottrina del vincolo quando volgeremo gli occhi all'ordine dell'universo: qui, per mezzo di questo vincolo, le cose superiori provvedono alle inferiori, le inferiori si volgono alle superiori, le parti si associano in mutuo vincolo, e si celebra infine la perfezione dell'universo in conformit� alla ragione della sua forma�147. Ho sostenuto che la magia opera in virt� dell'animazione della materia e della �catena dell'essere�, ossia del legame che unisce gli enti e gli esseri l'un l'altro, dal primo all'ultimo, dal pi� basso al pi� alto, da Dio alla materia: �i maghi hanno per assioma che in ogni opera bisogna tener d'occhio il fatto che Dio influisce sugli dei, gli dei sui corpi celesti o astri, gli astri sui demoni, che sono curatori e abitatori degli astri (uno dei quali � la terra), i demoni sugli elementi, gli elementi sui composti, i composti sui sensi, i sensi sull'animo, l'animo su tutto l'essere vivente: e questa � la discesa della scala. Ma ecco che l'essere vivente ascende ai sensi attraverso l'animo, ai composti attraverso i sensi, agli elementi attraverso i composti e attraverso questi ai demoni, attraverso i demoni agli astri, attraverso questi ultimi agli dei incorporei, o di sostanza e corporeit� eterea, attraverso questi all'anima del mondo o spirito dell'universo, e infine attraverso questo alla contemplazione dell'unico, semplicissimo, massimo incorporeo, assoluto e sufficiente a se stesso. Cos� a partire da Dio c'� discesa all'essere vivente attraverso il mondo, e dall'essere vivente ascesa attraverso il mondo fino a Dio. Questi � la sommit� della scala, puro atto e attiva potenza, luce purissima, mentre alla base della scala vi � la materia e le tenebre, pura potenza passiva, che pu� divenire tutte le cose dal basso, come quegli pu� fare tutte le cose dall'alto. Fra il gradino pi� basso ed il pi� alto vi sono poi specie intermedie, le superiori delle quali partecipano maggiormente della luce, dell'atto e della capacit� attiva, mentre le inferiori pi� delle tenebre, della potenza e della capacit� passiva�.148 Nel De magia Bruno sosteneva che �qualunque mago voglia compiere opere simili alla natura deve conoscere soprattutto il principio ideale, specifico della specie, numerale per il numero o individuale per l'individuo. Di qui discende la fabbricazione delle immagini e la porzione di materia formata in un certo modo e, non senza causa evidente, rafforzando la capacit� e il sapere del mago, molti praticano fatture e guarigioni attraverso alcune figure collegate con parti determinate, in particolare con quelle che hanno qualche comunicazione o partecipazione con l'oggetto della stregoneria o della cura, cosicch� l'opera si concentra e delimita ad un individuo determinato. Dall'esperienza di tutto ci� [...] diventa evidente che ogni anima e ogni spirito ha una certa continuit� con lo spirito dell'universo, sicch� si pu� comprendere che lo spirito non solo � e sta incluso dove sente e produce la vita, ma � diffuso anche nell'immensit�, per sua essenza e sostanza, come supposero molti platonici e pitagorici�149. L'idea della Unit� della Natura vivente � quindi alla base della concezione magica bruniana. Come notava Fulvio Papi �questa concezione � tutt'altro che originale: Marcel Mauss nella sua Teoria generale della magia quando prende in considerazione l'orizzonte mentale degli alchimisti afferma che in esso ritorna sempre l'idea che "il mondo � un organismo unico, le cui parti, per quanto distanti, sono legate tra loro in modo necessario. In esso tutto si somiglia e tutto si tocca. Questa specie di panteismo magico dovrebbe dare la sintesi delle diverse leggi". Se noi consideriamo opere bruniane come le Theses de Magia, il De Magia e il De Vinculis in genere � proprio questa la concezione cui si pu� ricondurre l'analisi dei diversi fenomeni naturali. Quando ad esempio Bruno sostiene che ogni anima � in tutto l'orizzonte della vita naturale e da tutto l'orizzonte subisce un influsso e partecipa il proprio agli altri esseri viventi, ed in questa relazione consiste il presupposto dell'azione magica, non � difficile far rientrare la sua concezione nel macro-modello magico proposto da Mauss�150. Marcel Mauss ha inoltre notato che �Gli alchimisti hanno un principio generale che ad essi sembra la formula perfetta delle loro riflessioni teoriche e che amano anteporre alle loro ricette: "Uno � il tutto e il tutto � in uno"�, e mostra poi un esempio concreto: �Ecco [...] preso a caso, uno dei passaggi in cui il principio si esprime nel modo pi� felice: "Uno � il tutto ed � da lui che il tutto si � formato. Uno � il tutto e se tutto non contenesse il tutto, il tutto non si formerebbe" [...]. Questo tutto che � in tutto, � il mondo. Ora, qualche volta ci si dice, il mondo � concepito come un animale unico le cui parti, quale che sia la loro distanza, sono legate tra loro in maniera necessaria. All'interno di esso tutto si somiglia e tutto si tocca�151. Credo che proprio questa specie di panteismo, caratteristico del pensiero magico di tutti i tempi, sia servito da base concettuale per la formulazione della teoria infinitista, di cui, peraltro, conteneva esso stesso i germi. 15. Una parentesi. Il percorso fin qui proposto era mirato non tanto a mettere in evidenza una continuit� cronologica del concetto di infinito nelle prime opere di Bruno, che pure esiste e meriterebbe un'analisi psicologica approfondita, quanto piuttosto a far emergere quel continuum ideologico che dall'originaria accettazione delle tesi ermetiche porta all'affermazione metafisica dell'unit� universale della vita-materia infinita, ed alla eliminazione, a livello cosmologico, dell'ultima sphaera mundi. Per questo avevo premesso una breve analisi del quadro epistemologico entro cui si muove Bruno. A proposito ho sostenuto che un'opera come Il De umbris idearum si proponeva appunto di rispondere a queste domande: come e che cosa possiamo conoscere. La risposta di Bruno corrispondeva in realt� alla presentazione di una mnemotecnica magica, unico organo adatto alla conoscenza perch� in grado di decifrare i messaggi divini contenuti nell'ordine della natura. Ma nel De umbris avevo individuato anche i primi abbozzi della futura metafisica bruniana, che fonda appunto la struttura della natura e ne garantisce l'unit� sostanziale. Per questo ero subito passato all'analisi del dialogo metafisico per eccellenza: il De la Causa, Principio et Uno. Risultate evidenti le analogie strutturali con le opere magiche tarde (qui abbiamo considerato solo il De magia e il De vinculis in genere), avevo sostenuto che anche la metafisica bruniana � fortemente intrisa di elementi magico-ermetici. Era quindi emerso un nuovo carattere della comprensione bruniana dell'infinito: il profondo misticismo magico. Proprio in questo particolare tipo di misticismo, intriso di caratteri ermetici, ho cercato di individuare la genesi della teoria infinitista di Bruno. Avevo anche sostenuto, e in questo non sono stato ovviamente il solo, che in Bruno metafisica e cosmologia sono strettamente collegate, se non addirittura coincidono. Questa affermazione trova i suoi immediati riscontri se ci si sposta dal piano metafisico a quello cosmologico, e cio� se si passa ad analizzare la concezione dell'universo vivo ed animato nonch�, ovviamente, infinito. In questo senso risulta necessaria la considerazione delle altre opere contemporanee al De la Causa. Lo scopo di questo capitolo � appunto l'analisi del concetto di infinito nella Cena delle Ceneri e nel De l'Infinito, universo et Mondi, opere, come il De la Causa, scritte e pubblicate in Inghilterra nel 1584. Le tesi sostenute nella Cena e nel De infinito sono ovviamente del tutto coerenti con gli sviluppi dell'esperienza inglese, di cui il De la Causa rappresenta il vertice metafisico. A Londra, nel 1584, Bruno scrive e fa pubblicare i dialoghi italiani La cena delle ceneri, il De la Causa, Principio et uno, il De l'infinito, universo et Mondi e lo Spaccio de la bestia trionfante. In parte questi seguono l'impronta metafisica e gnoseologica del De umbris idearum (pubblicato a Parigi due anni prima), ma certamente il lettore dei dialoghi inglesi vede moltiplicarsi e perfezionarsi in modo originale molte delle tesi iniziali della nolana filosofia, soprattutto a livello cosmologico. In realt� il De infinito, il testo della cosmologia compiuta, segue e sviluppa le premesse del De la Causa e ancor prima i motivi copernicani della Cena, e perci� su di questa sar� necessario soffermarsi. Nella Cena de le Ceneri, il primo dei dialoghi italiani pubblicati in Inghilterra, vengono imponendosi gli sviluppi fondamentali della cosmologia bruniana. Si tratta di temi che saranno approfonditi nel De infinito e portati a compimento con la replica del De Immenso, l'ultimo dei poemi francofortesi. Certo, come osserva anche Ciliberto �la Cena � altrettanto importante per lo sforzo teorico che Bruno vi compie sul terreno delicatissimo del rapporto tra religione e filosofia, Sacra Scrittura e filosofia nolana�152. Ma in questa sede sar� necessario rimanere nei limiti di una lettura cosmologica. CAPITOLO IV LA CENA DE LE CENERI �Smitho. Parlavan ben latino? Teofilo. S�. Smitho. Galantuomini? Teofilo. S�. Smitho. Di buona reputazione? Teofilo. S�. Smitho. Dotti? Teofilo. Troppo mediocremente. Smitho. Dottori? Teofilo. Messer s�, padre s�, madonna s�, mades�, credo da Oxonia. Smitho. Qualificati? Teofilo. Come non? uomini da scelta, di robba lunga, vestiti di velluto; un de' quali avea due catene d'oro lucente al collo, e l'altro, per Dio, con quella preziosa mano, che contenea dodeci anella in due dita, sembrava uno ricchissimo gioielliero, che ti cavava gli occhi ed il core, quando la vagheggiava. Smitho. Mostravano saper di greco? Teofilo. E di birra eziandio. Prudenzio. Togli via quell'eziandio, poscia � una obsoleta ed antiquata dictione. Frulla. Tacete, maestro, ch� non parla con voi. Smitho. Come eran fatti? Teofilo. L'uno parea il connestabile della gigantessa e l'orco, l'altro l'amostante della dea de la riputazione. Smitho. S� che eran doi? Teofilo. S� per esser questo un numero misterioso. Prudenzio. Ut essent duo testes? Frulla. Che intendete per quel testes? Prudenzio. Testimoni, essaminatori della nolana sufficienza. At, me hercle, perch� avete detto, Teofilo, che il numero binario � misterioso? Teofilo. Perch� due sono le prime coordinazioni, come dice Pitagora, finito ed infinito, curvo e retto, destro e sinistro, e va discorrendo. Due sono le spezie di numeri pare ed impare, de' quali l'una � maschio, l'altra � femina. Doi sono gli Cupidi, superiore e divino, inferiore e volgare. Doi sono gli atti della vita, cognizione ed affetto. Doi sono gli oggetti di quelli, il vero e il bene. Due sono le specie di moti: retto, con il quale i corpi tendeno alla conservazione, e circulare, col quale si conservano. Doi son gli principi essenziali de le cose, la materia e la forma. Due le specifiche differenze della sustanza: raro e denso, semplice e misto. Doi primi contrarii ed attivi principii, il caldo e il freddo. Doi primi parenti de le cose naturali, il sole e la terra�153. 1. Il due, l'ombra e il limite. Prima di assistere come spettatori silenziosi al teatro della Cena, � necessario fermarsi un attimo proprio sulle prime battute, a mio parere importantissime. Paradossalmente, lo spunto pi� interessante di tutto il dialogo, viene lasciato l�, distrattamente, proprio all'inizio, quasi per caso. Per tutta la Cena, la tematica ermetica del magico numero due non sar� pi� ripresa, almeno esplicitamente. Anzi, Bruno si guarder� bene dall'esporre chiaramente la sua metafisica magica, e quando parler� dei fantastici mondi-animali che popolano l'universo infinito, lo far� solo �per modo di passaggio�154, attento a non portare il discorso su di un terreno assai particolare, ed essendo in terra straniera, forse anche pericoloso. L'insidia velenosa, nascosta in queste prime battute ingannevolmente distratte, corrisponde naturalmente al problema del limite e della gerarchia. Questo era gi� emerso prepotentemente nel De umbris, dove, passando abilmente dalla gnoseologia alla metafisica, Bruno aveva introdotto con malizia il concetto fondamentale di �ombra metafisica�. In realt� credo che il De umbris sia stato anzitutto un grande testo di filosofia dell'inconscio: in questa sede per� � necessario attingere specialmente alla tematica umbratile del testo magico-mnemotecnico. Proprio nella posizione epistemologica che esso esprime sta la particolarit� e l'attualit� della nolana filosofia. Nel De umbris il concetto di umbra sembrava corrispondere perfettamente sia alla situazione conoscitiva che a quella psicologica: si adattava quindi perfettamente sia all'oggetto che al soggetto. Dalla gnoseologia nolana si capisce che l'umbra ha a che fare con il limite, e quindi immediatamente con la teoria dell'infinito. Ma su questo punto � necessario fermarsi un attimo, ritornando alla Cena e alla discussione del numero binario. 2. Il misterioso numero binario. Che cosa significa �per esser questo [il due] un numero misterioso�? Risposta: il due � la conditio sine qua non. E' possibile sostenere che occulto, dietro il �misterioso numero binario�, sta tutto il vero significato della filosofia nolana. Cerco di precisare meglio i termini del discorso. Bruno aveva ben presente il modo di presentarsi della vita, dell'esistente. Aveva ben inteso che tutto � due, che generalmente umana � l'esperienza della bipolarit�, del contrasto. L'uomo pu� pensare solo se c'� una destra e una sinistra (proprio a partire dalla costituzione, funzione e disposizione degli emisferi cerebrali), se c'� un alto e un basso, la notte e il giorno, la vita e la morte, il vero e il falso, il giusto e l'ingiusto, il bene e il male, e cos� via. L'Essere, in quanto coincidentia oppositorum, sembra allora quasi essere relegato all'area dell'astrazione, del pensiero: la realt�, ci� che � dato, � invece per sua natura di essenza binaria. Il modo stesso di sperimentare la realt� che noi ci troviamo ad adottare per natura risponde all'esigenza di mettere odine nel disordine (apparente, direbbe Bruno), di distinguere e di separare. Questo non sarebbe possibile senza l'essenza binaria delle cose. Questo non sarebbe possibile senza la luce e il buio. Ma si noti: il buio e la luce sono in realt� degli estremi assoluti (mai raggiungibili pienamente). L'esistenza si svolge invece per intero nella dimensione umbratile. Metaforicamente: sia nella luce totale, sia nel buio, non � possibile vedere. L'ombra � quindi conditio sine qua non, un medium indispensabile sia all'essere sia al conoscere. Il problema, all'interno della teoria infinitista, non � pi� allora quello di dimostrare l'infinito, ma casomai di qualificarlo, conoscerlo. Al limite, di raggiungerlo. L'infinito, nella teoria della realt� binaria, rappresenta la naturale corrispondenza del finito, del misurabile. Se si assume qusto particolare punto di vista non ha allora pi� senso chiedere di di-mostrare l'infinito: l'infinito � necessario per definire il finito, e viceversa. A livello ontologico l'esistenza dell'uno garantisce la presenza dell'altro. Il problema � allora la determinazione della forma, della conoscibilit� e delle possibilit� di unione con questo infinito divino. Pi� a fondo: se ci si sposta sul piano ontologico, il problema passa dal piano dell'essere a quello del non-essere. Come introdurre il concetto di non-essere all'interno del quadro teoretico infinitista? Sappiamo che per Bruno tutto ci� che esiste ha una forma, occupa uno spazio, non importa se materiale o spirituale. Persino l'infinito ha una sua forma precisa, che corrisponde all'individuo. E il non-essere? Rappresenta forse il limite dell'infinito? Niente affatto: in Bruno il non-essere � semplicemente ridotto al non-essere-pi� o, meglio, al non-essere-ancora. E, ovviamente, si tratta di una situazione che riguarda solo il singolo, mentre � assolutamente estranea al Tutto, che � in se stesso perfettamente immobile e completo (perch� � - simultaneamente - tutto quello che pu� essere). Il problema del non-essere viene quindi risolto all'interno della teoria del divenire, della vita-materia infinita, della vicissitudine universale. Il motto parmenideo che doveva suonare pi� o meno cos�: �l'essere �, il non essere non �, doveva risultare (insolitamente) come del tutto adatto per inserisri nella filosofia dell'infinito. E il tema originale della filosofia parmenidea, il contrasto tra la verit� e l'apparenza, doveva essere assolutamente accettato da Bruno. La Cena � infatti tutta imperniata proprio sulla distruzione del senso comune, basato sull'apparenza. 3. L'umbra. Emerge da questa prospettiva una nuova determinazione del ruolo dell'umbra, all'interno del quadro speculativo del Nolano. L'umbra � esattamente il luogo del movimento, del divenire, della conoscenza, uno verbo: dell'esistenza. Metaforicamente: il passaggio non � mai dalla luce alle tenebre, ma da una specifica gradazione d'ombra ad un'altra. Nell'umbra ci muoviamo, pensiamo, esistiamo noi e tutto il reale che ci circonda, di cui facciamo inspiegabilmente parte: umbra profunda sumus. Si noti: se da una parte l'umbra rappresenta il limite invalicabile (perch� nasconde e ad un tempo disvela la luce della Verit�, che in quanto tale risulterebbe accecante), dall'altra l'umbra � mobile. Di nuovo metaforicamente: �L'ombra segue contemporaneamente il moto del corpo e della luce. Il corpo si muove? L'ombra si muove. La luce si muove? L'ombra si muove. Si muovono l'una e l'altra? L'ombra si muove [...]. Non ti sfugga infine la somiglianza delle ombre con le idee�155. L'idea del limite viene per cos� dire disciolta in quella del movimento: il limite esiste, ma si tratta ora di un limite mobile, sempre e per sempre infrangibile in se stesso, ma allo stesso tempo frangibile nella sua contingenza. Il discorso vale ovviamente a tutti i livelli: dalla cosmologia all'etica. Questa � del resto l'unica direzione che poteva prendere una filosofia che ha scelto la scorciatoia dell'infinito. Ad un tempo un genere di pensiero di questo tipo risolve molti paradossi legati ad una sterile e compromettente prospettiva finitista, e ammette senza mezzi termini la condizione umbratile dell'esistenza e della conoscenza umana. Ma si noti: questa confessione non � per Bruno l'ultima tappa, ma solo il punto di partenza, l'inizio dell'avventura. Ammettere l'umbratilit� dell'Essere significa non concedere tregua all'ignoranza. Di nuovo un salto di livello: dal gnoseologico siamo passati al metafisico e dal metafisico all'etico. L'etica degli Eroici furori si basa appunto su questa nuova intepretazione del limite e delle reali capacit� umane di oltrepassarlo. Eroico furore � appunto l'atteggiamento di fronte a quest'ombra conoscitiva che sempre si sposta, sempre si rischiara, ma in qualche modo sempre vela e nasconde la Verit�, che come tale, nella sua interezza, � inaccessibile all'uomo (comune). Pensare come pensa Bruno significa allora da una parte ammettere pacificamente una sostanziale inconcludenza conoscitiva, dall'altra aggrapparsi alle ombre delle idee con eroico furore, a caccia di nuovi limiti da infrangere. La forma dell'individuo, cui prima avevamo accennato si attua appunto in questo percorso infinito, in questa ricerca amorosa senza termine. 4. Come � possibile spiegare l'umbratilit� epistemologica della ideologia ermetica mediante il linguaggio logico-matematico. Nel 1930 G�del dimostr� uno strano teorema: la matematica � una storia senza fine156. Non pu� esistere una formulazione definitiva e comprensiva di tutta la matematica: comunque si proponga una sistemazione assiomatica della matematica, si potr� sempre trovare qualche semplice problema che sfuggir� a tale sistemazione. Questo � il significato profondo del teorema di incompletezza di G�del: l'uomo non verr� mai a conoscenza del segreto finale dell'universo. Ovviamente tutti possono dire che la scienza non pu� fornire tute le risposte, ma ci� che rende cos� importante il lavoro di G�del � che egli riusc� a dimostrarlo, formulando la sua dimostrazione nel linguaggio estremamente preciso della logica matematica. G�del dimostr� che una macchina della verit� universale non pu� esistere, e non pu� esistere nemmeno un insieme completo di assiomi per la verit� matematica. Ogni sistema di conoscenza del mondo �, e rester�, fondamentalmente incompleto, sempre suscettibile di miglioramento. L'universo rifiuta di essere catturato da una rete finita di assiomi. La realt� � essenzialmente infinita al suo livello pi� profondo. Con questa teoria si dimostra quindi che nessuna teoria finitamente descrivibile pu� codificare tutte le verit� matematiche. Vale a dire che l'insieme di tutte le proposizioni vere riguardanti la matematica � finitamente innominabile e quindi � nella sua sostanza infinito157. Ovviamente, l'idea del progresso non viene affatto negata: casomai essa deve adattarsi alla struttura metafisica della realt�. Se la realt� � al suo livello pi� profondo, allora la conoscenza del reale non pu� che richiedere un tempo infinito. 5. Alcune conseguenze della filosofia binaria. Il misterioso numero binario doveva certo essere particolarmente caro alla fantasia del Nolano, visto che entra a far parte anche della teoria infinitista. A livello metafisico avevamo assistito nel De la Causa alla equiparazione delle due fondamentali componenti dell'essere: materia e forma. Bruno aveva affermato che anche in Dio c'� la materia, e che la sua forma corrisponde all'Universo. Entrambi, sia Dio che l'Universo sono infiniti. Rimane il problema, puramente concettuale della loro distinzione. La soluzione di questo problema viene presentata nei termini di una nuova qualificazione dell'infinito: esiste l'infinito attuale del Tutto (Dio) e della parte (singola porzione dell'Universo). Gli infiniti, quindi, sono ancora una volta, due. La doppiezza, credo sia questo il messaggio nascosto di Bruno, va attribuita anche alla natura stessa dell'infinito. Dalla tematica dell'umbra ci si � quindi spostati alla dualit� (della quale l'umbra � medium). Il circolo si chiude ricordando la cusaniana coincidentia oppositorum, che Bruno sembra accettare con gioia, se pur trasfigurata. La filosofia dell'Unum sembra esigere il passaggio nella dualit�. L'Unum � tale proprio nei confronti della natura binaria del reale. Ma l'Unum in questo modo diventa un'idea alquanto astratta. In fondo, Dio e Universo sono un'unica cosa solo nel loro porsi come realt�. Al livello del pensiero, essi rimangono separati. 6. Il tema della Cena: la discussione delle tesi copernicane. Passiamo ora all'analisi della Cena. Il 7 febbraio 1584 Bruno viene invitato a cena dal nobile inglese Fulke Greville per prendere parte ad un dibattito con due dottori oxoniensi intorno ai temi filosofici ed astronomici del copernicanesimo. Ovviamente il racconto di Bruno, che vuole essere un vero e proprio resoconto dei temi trattati durante la cena, � del tutto unilaterale, ma questo credo francamente sia poco importante. Quel che � notevole � invece l'atteggiamento, chiaro fin dall'inizio, che il Nolano ha avuto nei confronti delle tesi copernicane: �Smitho. Di grazia, fatemi intendere, che opinione avete di Copernico? Teofilo. Lui avea un grave, elaborato, sollecito e maturo ingegno; uomo che non � inferiore a nessuno astronomo che sii stato avanti lui, se non per luogo di successione e tempo; uomo che, quanto al giudizio naturale, � stato molto superiore a Tolomeo, Ipparco, Eudoxo e tutti gli altri, ch'han caminato appo i vestigi di questi. Al che � dovenuto per essersi liberato da alcuni presuppositi falsi de la comone e volgar filosofia, non voglio di cecit�. Ma per� non se n'� molto allontanato; perch� lui, pi� studioso de la matematica che de la natura, non ha possuto profondar e penetrar sin tanto che potesse a fatto toglier via le radici de inconvenienti e vani principii, onde perfettamente sciogliesse tutte le contrarie difficult� e venisse a liberare e s� ed altri da tante vane inquisizioni e fermar la contemplazione ne le cose costante e certe�158. Fin dall'inizio, la discussione delle tesi copernicane nell'ottica della nolana filosofia presenta dunque delle difficolt�. Copernico, per Bruno, ha avuto una buona intuizione, ma in qualche modo � rimasto seriamente legato ad una erronea visione filosofica del mondo. Quella del copernicanesimo � insomma una rivoluzione difettosa di un elemento fondamentale, quello filosofico. Alla formula astronomica manca la relativa interpretazione filosofica del mondo. Subito dopo Bruno precisa infatti che la teoria copernicana � soltanto simile ad una aurora �che doveva precedere l'uscita di questo sole de l'antiqua vera filosofia, per tanti secoli sepolta nelle tenebrose caverne de la cieca, maligna, proterva ed invida ignoranza�. Evidenti sono le analogie con i temi ermetici, gi� individuati e considerati come fondamentali per la comprensione della filosofia bruniana e quindi anche del suo nucleo infinitista. Come Ermete aveva previsto, con Copernico si comincia ad uscire dalle �ignoranze� e dai �travagli�. Come ha acutamente sostenuto la Yates �Il sole copernicano annuncia il risorgere vittorioso dell'antica e verace filosofia dopo il lungo periodo in cui era rimasta sepolta nelle tenebre. Bruno ha qui in mente quell'immagine della veritas filia temporis, del tempo che fa emergere alla luce la verit�159 secondo tempi prestabiliti e per mezzo di �Mercurii e Apollini�. L'immagine � la stessa del De umbris (dove Bruno aveva sostenuto che la �provvidenza degli dei � (lo dissero i sacerdoti egiziani) non smette di mandare agli uomini alcuni Mercurii in certi tempi stabiliti�160. Ma anche se la Yates insiste diffusamente e con una certa insistenza sugli elementi ermetici presenti nella Cena de le ceneri161, personalmente ritengo invece che in un testo come questo debba essere messo in primo piano soprattutto il ragionamento cosmologico. 7. Il tono divulgativo del dialogo. Certo, il sole di cui parla Bruno � un sole religioso, divino. La stessa ragione del movimento terrestre, espressa nella Cena, � di natura filosofico-religiosa, non matematica. Dice il vero la Yates quando sostiene che Bruno saluta entusiasticamente il movimento terrestre �non al livello inferiore del ragionamento matematico�162, ma nei termini di una rivalutazione della dignit� della materia terrestre, sempre nell'ottica della vita infinita e dei corpi che non si dissolvono, come precisavano le dottrine ermetiche163. Ma nella Cena comincia gi� una presa di posizione precisa, su un terreno teologico-filosofico e non pi� solo mistico-religioso. Bruno (e lo dimostrano il tipo di dialogo, i personaggi e i molti disegni tecnici che accompagnano la giustificazione e l'interpretazione delle tesi copernicane) vuole farsi capire, e sa che il metodo non pu� essere quello dell'illuminazione (valido per il filosofo maturo), ma piuttosto quello della comunicazione filosofica. A questo servono in fondo la matematica e la geometria. Certo, la sua cosmologia � comprensibile solo in relazione alle premesse metafisiche del De umbris e alle conclusioni del De la Causa, ma nella Cena credo che il livello di ragionamento sia squisitamente �divulgativo�. Bruno vuole anzitutto farsi capire dai dottori oxionensi, instaurare con loro un dialogo. Teofilo-Bruno sostiene appunto che le tesi copernicane sono �come una aurora che doveva precedere l'uscita di questo sole de l'antiqua vera filosofia, per tanti secoli sepolta nelle tenebrose caverne de la cieca, maligna, proterva ed invida ignoranza�. Quello di Bruno era un vero e proprio programma di riforma, da portare avanti su tutti i livelli: dalla cosmologia, all'etica, alla religione. La prima cosa da fare era ovviamente creare dei canali di comunicazione con le autorit� intellettuali del tempo. Credo che in quest'ottica vada letto sia l'approdo in Inghilterra che le dispute filosofiche tenute con i dottori di Oxford (e le conseguenti �rotture�). 8. Il valore filosofico della teoria copernicana. Il De revolutionibus orbium coelestium era stato pubblicato nel 1543, e Bruno ne aveva assimilato profondamente il significato cosmologico, filosofico e teologico. Lo stesso aveva fatto il teologo Andrea Osiander, e a questi Bruno aveva dato dell'�asino ignorante e presuntuoso�, perch� nella anonima premessa la De revolutionibus aveva inteso limitare a pura ipotesi matematica l'intuizione copernicana, �quella onoratissima cognizione, senza la quale il saper computare e misurare e prospetivare non � altro che un passatempo da pazzi ingegnosi�. Nonostante la difesa della validit� oggettiva delle tesi copernicane, Bruno espone chiaramente anche le sue riserve. Come avevo anticipato, il rapporto tra Bruno e Copernico � tutt'altro che risolvibile nell'idea di un'accettazione entusiasta delle �novit� copernicane da parte del Nolano. In realt�, a parte l'utilizzo e l'inglobamento del copernicanesimo nella nolana filosofia, penso che la critica abbia troppo insistito sugli entusiasmi di Bruno per le "nuove" teorie ed abbia lasciato troppo in ombra le pesanti critiche, rivolte all'astronomo polacco soprattutto sul piano strettamente filosofico. Queste critiche riguardano anzitutto la questione del metodo. Copernico � rimasto in un orizzonte essenzialmente matematico: � rimasto astronomo, non � diventato filosofo. Quando Bruno dice �pi� studioso de la matematica che de la natura� intende ovviamente mettere in evidenza i limiti dell'orizzonte matematico, entro cui questi ha continuato a muoversi, senza mai uscirne, ma anche ribadire una convinzione epistemologica di fondo. Questa era gi� stata delineata nel De umbris, dove Bruno aveva esposto la sua �metafisica della luce�. Il punto centrale del De umbris era appunto l'idea di conoscenza umbratile, di cui abbiamo gi� chiarito il significato. Credo che l'idea della conoscenza umbratile neghi alla base le pretese conoscitive delle scienze esatte e quindi della matematica, della geometria, e della stessa astronomia164. Il concetto di umbratilit� informa sia la struttura della materia sia la situazione gnoseologica umana. L'unica conoscenza certa cui l'uomo pu� aspirare � quella che si ottiene tramite l'ascensus mistico, per mezzo della scala naturae. A questo serve del resto la �filosofia naturale�. Ma i metodi naturali, come ho gi� sottolineato, sono in realt� metodi magici: sono le tecniche segrete di un filosofo che ha fatto della mistica e della magia uno strumento conoscitivo. Fra le righe dei testi magici e mnemotecnici � possibile leggere una profonda convinzione di Bruno, forse riservata agli adepti pi� stretti: solo la magia ricompone la scissione tra Essere, pensiero e parola. A questo proposito abbiamo gi� parlato della funzione del linguaggio e della praxis ad esso connessa. A questo proposito occorre ricordare anche la forte relazione con il tema dell'alterit�, che coinvolge sia la discussione delle tesi infinitistiche che l'interpretazione della praxis magica. 9. La natura esplicativa dell'arte matematica. In questo contesto la matematica appare ridotta a semplice espediente divulgativo-artistico, a strumento per cos� dire di propaganda: un semplice metodo esplicativo. La matematica non pu� offrire certezze naturali, ma solo corrispondenze geometriche e razionali di un ordine metafisico, conoscibile solo grazie all'ascesi per gradi e non tramite il calcolo o addirittura l'esperimento165. In questo senso la distanza tra un filosofo mistico come Giordano Bruno ed un matematico come Isaac Newton � la stessa di quella che separa il mito e la magia dalla scienza sperimentale. La Cena, che � straordinariamente ricca di esempi geometrici e fisici, vede appunto questo utilizzo strumentale, ancillare, della geometria e della matematica: esse servono per supportare una tesi puramente intellettuale, filosofica, valida al di l� e prima di qualsiasi argomentazione scientifica. L'esperimento, alla luce di questa filosofia non � n� utile n� concepibile. Sono certo che se avesse potuto, Bruno avrebbe mantenuto il discorso entro i limiti teologici e metafisici, sul suo terreno. Ma ad Oxford il Nolano aveva a che fare con �pedanti� aristotelici e tolemaici: c'era poco da fare, occorreva abbassarsi alla disputa strettamente fisica e cosmologica. Bruno aveva ovviamente ben capito che le tesi copernicane in se stesse non portavano a nessuna rivoluzione, se si esclude un cambiamento della concezione antropologica. L'universo di Copernico, come ha ben chiarito Alexander Koyr�, �rispetto all'infinito, non � affatto pi� grande di quello dell'astronomia medievale: ma entrambi sono un nulla, poich� inter finitum et infinitum non est proportio. Non ci si approssima all'universo infinito aumentando le dimensioni del nostro mondo: possiamo ampliare quest'ultimo quanto vogliamo, ci� non ci porta affatto pi� vicini a quello�166. L'universo di Copernico insomma � ancora finito, limitato dalla ultima sphaera mundi, che contiene se stessa e tutto il resto (se ipsam et omnia continens). Copernico ha continuato a credere che i corpi celesti si muovano seguendo moti uniformi e regolari, portati da sfere concentriche solide, mentre invece Bruno gi� nel Sigillus Sigillorum, aveva sostenuto che essi si muovono quodam intimo incitamento, alla ricerca dei luoghi ad essi convenienti. In realt� si pu� pensare che Copernico non cercasse altro che una teoria matematica per spiegare il funzionamento dell'universo che fosse solo pi� semplice e quindi formalmente elegante delle precedenti. Nel X capitolo del I� libro, afferma infatti chiaramente che l'argomento decisivo per la verit� dell'eliocentrismo � quello della maggior razionalit�, del maggior ordine, della maggiore armonia che esso propone. L'universo in tal modo risulta retto da una perfetta legge divina, esprimibile matematicamente. In questa sua argomentazione, si fa largo l'esigenza platonico-pitagorica. Infatti la circolarit� perfetta del movimento planetario, la sfericit� perfetta dei corpi celesti, costituiscono tutti elementi a favore della divinit� dell'universo. Dio non poteva esprimersi in una legge universale che non avesse queste caratteristiche di perfezione. Il problema � che questa legge divina � una legge matematica, e mentre Bruno, come � gi� stato notato, ha una concezione magica della matematica e delle leggi naturali, Copernico sembra invece dirigersi verso una concezione moderna della scienza. Qui sta il limite del polacco: si � basato sui calcoli matematici e per di pi� non ha compreso neppure le implicazioni profonde delle sue intuizioni. Per Bruno infatti, se la legge che regola l'universo � espressione della perfezione (ed infinit�) divina, se l'universo stesso � divino, allora non � possibile rimanere all'interno di una concezione finitista. L'universo non pu� che essere infinito: si tratta di pura necessit�. Quello che pi� infastidiva il Nolano era il fatto che Copernico, avendo intuito la divinit� dell'universo (pur se da un altro punto di vista, diremmo noi), non avesse avuto il coraggio o il convincimento di procedere verso una infinitizzazione di questo, del tutto coerente con le sue stesse premesse. E invece l'astronomo polacco sembrava propendere ancora verso una concezione finitista: la sfera delle stelle fisse, l'ultima sphaera mundi, continuava ad essere il limite dell'universo, anche se di proporzioni molto maggiori rispetto alle precedenti. 10. Thomas Digges. Il primo ad interpretare le teorie copernicane in senso infinitistico fu l'inglese Thomas Digges, autore di una Perfit Description of the Caelestial Orbes (Perfetta descrizione delle sfere celesti, Londra, 1576). Per Digges il cielo delle stelle fisse, essendo immobile, era anche infinito e questo cielo era sede della azione di Dio. Cielo astronomico e cielo teologico si confondevano. Questo risulta evidente a partire dalla sostituzione del noto diagramma copernicano con uno nuovo, nel quale le stelle sono disposte sull'intera pagina, sia sopra che sotto la linea con la quale Copernico rappresenta l'ultima sphaera mundi. Giustamente Koyr� aveva scritto: �E' dunque chiaro che Tomas Digges colloca le sue stelle in un firmamento teologico, non in un cielo astronomico�167. In tutti i casi, avesse Digges voluto lasciar intendere o no una identit� strutturale tra cielo teologico e cielo astronomico, un grande passo in avanti verso la infinitizzazione del cosmo era stato compiuto. L'ultimo, decisivo passo sar� ad opera di Bruno, come ha rilevato lo stesso Koyr�168. 11. L'antiqua, vera filosofia. A questo proposito penso che sia rilevante il fatto che Bruno, nel presentare apertamente uno spazio infinito, infinito effetto di una infinita causa, non si sia affatto proposto come inventore di una nuova teoria, ma piuttosto come profeta di una verit� antica, gi� rivelata all'uomo, e per di pi� gi� difesa apertamente da illustri pensatori dell'antichit�. Questo elemento si ricollega alla posizione epistemologica ed etica di Bruno, gi� delineata nel De umbris e successivamente specificata in una costante polemica col sapere pedantesco e sofistico dell'aristotelismo medievale e moderno. Concordiamo quindi con il suggerimento di Nicola Badaloni: �questo concetto di antichit� risorgente, dopo il dominio dei 'sofisti', � tutt'altro che esclusivo; � infatti accompagnato dall'apprezzamento per Plotino, per la teologia negativa, per Lullo, per Cusano, ecc. Esso � tuttavia il fondamentale riferimento storico dell'antiaristotelismo bruniano (anche in relazione allo spazio-materia) ed � forse giusto, dopo i recenti studi di P.R. Blum sul rapporto di Bruno con Aristotele169, prendere in attento esame anche la riflessione del Nolano sugli 'antichi'�170. Ovviamente dobbiamo sottolineare che per Bruno gli antichi sapienti sono solo coloro che in qualche modo si sono avvicinati alle tesi ermetiche, o ne sono stati direttamente illuminati. I dibattiti intorno a Copernico sviluppatisi in Inghilterra col Digges intorno al 1580 influenzarono certamente il pensiero di Bruno. Personalmente, credo per� che il Nolano sia approdato in terra inglese con idee del tutto francesi, maturate a partire dal Sigillus. Queste idee erano uno svolgimento coerente sul piano cosmologico di ci� che gi� la metafisica del De umbris aveva cominciato a delineare: la centralit� del concetto di infinito. Gi� all'apertura del primo dialogo della Cena delle ceneri emerge l'immagine di un universo inteso come unit� infinita e infinito effetto della infinita causa: �Conoscemo che non � ch'un cielo, un'eterea reggione immensa, dove questi magnifici lumi serbano le proprie distanze, per comodit� de la partecipazione de la perpetua vita. Questi fiammegianti corpi son que' ambasciatori, che annunziano l'eccellenza de la gloria e maest� di Dio. Coss� siam promossi a scuoprire l'infinito effetto dell'infinita causa, il vero e vivo vestigio de l'infinito vigore�171. Il discorso prende evidentemente le mosse dal nucleo originario della teoria infinitista: l'universo infinito � �infinito effetto dell'infinita causa�. Il ragionamento � quindi anche in questo luogo di chiara �ascendenza teologica�, come Fulvio Papi aveva fatto notare. Negare l'infinit� dell'universo significa negare la verit� antica, che la tradizione ermetica aveva gi� svelato, ossia che Dio � infinito e vivifica direttamente ogni singola porzione di materia. 12. Cosmologia e metafisica: la perdita del centro e gli effetti di questa operazione. Nella Cena comincia dunque ad emergere con forza il nesso fondamentale della teoria infinitista bruniana, ossia il legame profondo tra cosmologia e metafisica: la vita infinita (effetto necessario dell'infinita potenza divina) non pu� che prodursi in un universo infinito. Questa verit�, continua Teofilo-Bruno, non � n� sopportabile da tutti n� comunicabile a tutti. Si tratta infatti di una verit� �da profeti�, essendo stata rivelata gi� ai Caldei, agli Egizii, ai pitagorici, e presto dimenticata nelle tenebre dell'ignoranza: prima questa verit� �fu quella degli caldei, egizii, maghi, orfici, pitagorici ed altri di prima memoria conforme al nostro capo; da' quali prima si ribellarono questi insensati e vani logici e matematici, nemici non tanto de l'antiquit�, quanto alieni da la verit�172. Ancora una volta siamo insomma di fronte alla congiunzione di cosmologia, metafisica, religione ed epistemologia. Esplicitamente: la vita infinita, eterna ed omogenea, manda all'aria ogni distinzione gerarchica tra mondo terrestre e mondo celeste. L'unit� metafisica si esplica in una unit� cosmologica: l'infinito divino si esplica in quello �mundano�. Implicitamente: l'unit� metafisica colpisce alla base la trascendenza divina e il creazionismo. Viene cos� assolutamente compromessa la verit� fondamentale del Cristianesimo, mentre a livello filosofico viene completata la gi� incerta distinzione tra infinito attuale e potenziale. A livello teologico l'unica teologia possibile diventa quella negativa. Nell'universo infinito, senza centro n� periferia, svaniscono tutte le gerarchie e i tradizionali punti di riferimento. Ma non solo. Perdendo la Terra la sua posizione centrale, nel quadro cosmico, la visione antropologica dell'uomo soggetto, destinatario, della creazione, viene minata alla base. L'uomo perde il suo punto di riferimento originario: la Genesi. Nella prospettiva dell'universo infinito � appunto l'idea genesiaca del riconoscimento all'uomo, e all'uomo solo, di una �preminenza assiologica nell'ordine della creazione�173 che viene distrutta, appunto perch� l'uomo non � pi� al centro del creato, ha perso il rapporto diretto e privilegiato con il Creatore. L'uomo, in un universo infinito, non solo perde ogni punto di riferimento oggettivo, ma cessa lui stesso di essere creatura privilegiata. Se cade il geocentrismo, cade anche l'antropocentrismo: �l'uomo non � pi� centro di niente, esso � un punto disperso nell'universo�174. 13. Il centro dell'universo ed il problema della gerarchia. Il problema del centro nella filosofia di Bruno � fondamentale, ed emerge nettamente gi� nella discussione delle tesi copernicane, l'argomento centrale della Cena. Nel dialogo terzo, Nundinio, l'interlocutore che afferma per fede e nega per novit�, sostiene che �non pu� essere verisimile che la terra si muove, essendo quella il mezzo e centro de l'universo, al quale tocca essere fisso e costante fundamento d'ogni moto�175. Teofilo-Bruno proseguendo il racconto, spiega dettagliatamente i termini della risposta: �rispose il Nolano, che questo medesimo pu� dir colui che tiene il sole essere nel mezzo de l'universo, e per tanto immobile e fisso, come intese Copernico ed altri molti, che hanno donato termine circonferenziale a l'universo; di sorte che questa sua raggione (se pur � raggione) � nulla contra quelli, e suppone i proprii principii. E' nulla anco contra il Nolano, il quale vuole il mondo essere infinito, e per� non esser corpo alcuno in quello, al quale simplicemente convenga essere nel mezzo, o nell'estremo, o tra que' dua termini, ma per certe relazioni ad altri corpi e termini razionalmente appresi�176. Alla solita argometanzione aristotelica Bruno aveva dunque risposto rovesciando il ragionamento: non solo cambiando la prospettiva cadono i falsi problemi della teoria aristotelico-tolemaica (se si assume che il Sole � al centro dell'universo, non � pi� contraddittorio pensare che la Terra si muova), ma di pi�, se si considera l'universo come infinito, cade di colpo anche tutta la problematica del centro e del movimento. Se l'universo � infinito, allora non ha alcun centro assoluto, proprio perch� non ci sono margini o confini per determinarlo. Non solo, perch� �come di corpi naturali nessuno si � verificato semplicemente centro, coss� anco de' moti, che noi veggiamo sensibile e fisicamente ne' corpi naturali, non � alcuno, che di gran lunga non differisca dal semplicemente circulare e regolare circa qualche centro� e si possono sfozare all'infinito coloro �che vogliono sostenere che ogni moto � continuo e regolare circa il centro�177. La prospettiva rimane apertamente cosmologica, ma sono evidenti le ripercussioni a livello teologico e antropologico. A differenza della maggior parte dei critici, credo che siano state proprio queste posizioni di Bruno, rispetto alla problematica del centro e dell'infinit� dell'Universo, a portarlo al rogo. Le tesi magiche potevano al limite essere discusse sempre all'interno della prospettiva cristiana (una prospettiva ovviamente creazionista in cui l'uomo � oggetto della Rivelazione). Ma una prospettiva per cos� dire assolutamente rovesciata, eliminava alla base ogni possibilit� di discussione. Si noti: se nell'universo infinito si perde il centro, allora si perde anche la periferia. Cadono di conseguenza anche quei confini tra cielo teologico e cielo astronomico che pure Digges aveva mantenuto: l'universo e Dio si confondono. Ma se l'universo e Dio si con-fondono, a livello di unit� infinita, allora non ha pi� senso n� l'idea di creazione e nemmeno quella di rivelazione: Dio non pu� creare se stesso, cos� come certo non pu� auto-rivelarsi. 14. Infinitizzazione del Cosmo e sue conseguenze in prospettiva antropologica. Indubbiamente la perdita della posizione centrale della Terra costituisce un passo gravido di conseguenze perfettamente prevedibili. Bruno, pi� che un mago eretico, rappresentava un'idea pericolosissima per l'ordine stabilito: idea da eliminare assolutamente. Essa minava alla base non solo l'ordinamento religioso della societ�, ma anche quello morale e civile, perch� se Dio non si � rivelato, allora si pu� credere che non esiste alcuna verit� consegnata nelle mani della creatura umana. Anzi, propriamente, non esiste pi� nemmeno la creatura. La tesi del �tutto in tutto� capovolge immediatamente e nettamente l'ordine stabilito, non solo metafisico e cosmologico, ma anche antropologico, morale e religioso. E il pericolo maggiore per la Chiesa del Cinquecento � appunto una minaccia informale all'ordine stabilito. In quest'ottica � interessante notare come ultimamente la Chiesa abbia valutato ed attuato un notevole cambio di prospettiva. In un recente articolo, apparso in un quotidiano italiano, Padre George Coyne, direttore della Specola Vaticana dal 1978, ammette che oggi �la Chiesa non esclude l'esistenza di altri esseri nell'universo. Oggi Giordano Bruno, condannato per le sue idee eretiche, e tra queste l'affermazione della pluralit� dei mondi abitati, non darebbe pi� scandalo. Io stesso da anni faccio ricerche su stelle neonate per vedere se hanno sistemi planetari come il nostro, premessa indispensabile perch� altre forme di vita possano svilupparsi�178. Coyne prosegue ricordando che gi� nella seconda met� dell'Ottocento, Padre Angelo Secchi, allora direttore della Specola Vaticana, affermava che la scoperta di extraterrestri non metterebbe affatto in crisi la fede cattolica. Mi permetto naturalmente di dissentire con l'opinione espressa a suo tempo dal Secchi, ma quello che qui interessa non sono opinioni personali, quanto piuttosto le conseguenze teologiche dell'infinit� dell'universo e della possibilit� di infiniti mondi abitati. Anche al giorno d'oggi, di fatto, la Chiesa potrebbe accettare l'idea dell'esistenza di mondi abitati, di un universo attualmente infinito (contro le teorie della relativit� e le ipotesi del Big-Bang), solo a patto di salvare la trascendenza di Dio, la creazione, e quindi l'idea portante del Cristianesimo: Dio che si rivela all'uomo nell'Incarnazione. La concezione bruniana, � fin troppo ovvio sottolinearlo, esce nettamente da questi canoni e non soddisfa nessuna di queste esigenze. Al contrario, le ribalta tutte: �Ma noi,- scrive Bruno - che guardiamo non a le ombre fantastiche, ma a le cose medesime; noi veggiamo un corpo aereo, etereo, spirituale, liquido, capace di loco di moto e di quiete, sino immenso e infinito, - il che dovamo affermare almeno, perch� non veggiamo fine alcuno sensibilmente n� razionalmente, - sappiamo certo che, essendo effetto e principiato da una causa infinita e principio infinito, deve, secondo la capacit� sua corporale e modo suo, essere infinitamente infinito�179. L'universo � dunque uno spazio infinito, �principio infinito�. Parallela all'idea dell'infinit� dell'universo � quella del �corpo spirituale�, ossia dell'anima mundi. Siamo in pieno ermetismo: Dio � nelle cose, e non va cercato al di fuori di esse. Ma allora non ha pi� ragion d'essere la gerarchia universale, che dalla Creazione ha regolato l'esistenza umana, fin nei suoi minimi dettagli. Nella Genesi l'uomo viene presentato come eikon (immagine) e doxa (gloria) di Dio. L'uomo � fin dall'inizio creatura posta fra gli angeli e il Signore. Da qui l'idea di una successione gerarchica, massimamente evidente poi con la creazione di Eva, che manifesta fin dall'inizio la sua insufficienza ontologica (essendo stata creata per l'uomo, e non viceversa)180. Inutile sottolineare come l'idea di gerarchia sia poi stata alla base della struttura della Chiesa e del tipo di societ� che essa ha poi regolato, dall'interno. Importante � invece rilevare che il monumentale edificio sociale costruito e regolato, in gran parte direttamente, dalla Chiesa, ha cominciato ad emettere scricchiolii proprio in concomitanza alle prime discussioni sul valore scientifico dei testi sacri. Quello che era un blocco monolitico, non discutibile proprio perch� totalizzante, � stato colpito a morte nella sua pretesa unitaria sia dall'interno (Lutero, a livello teologico) che dall'esterno (la filosofia naturale, fino a Cartesio). In verit� c'� chi ha sostenuto che questa spaccatura risale a molti anni prima, ed � da addebitarsi nientemeno che a S.Tommaso d'Aquino. Mi riferisco in questo caso alla posizione di mons. Giuseppe Colombo (Preside della Facolt� teologica interregionale di Milano), espressa al convegno tenutosi ad Aosta nel marzo 1988, sul tema: Anselmo d'Aosta, figura europea181. 15. Le conseguenze della divisione tra sapere rivelato e sapere naturale: una interpretazione dell'opera di S.Anselmo d'Aosta e della sua idea di infinito. Colombo, definendo Anselmo come un �maestro solitario�, passa a lamentarsi dei mali di cui soffrirebbe la teologia moderna: mali che provengono certamente (a suo dire) dalla autonomizzazione della filosofia dalla fede. Subito precisa poi che �se la nascita � sempre un venire alla luce, la concezione avviene sempre nella notte [...]. Se la nascita della filosofia moderna nel suo carattere di filosofia separata � correntemente registrata sotto il nome di Cartesio, in realt� la concezione di separare la fede e la ragione [...] va cercata a monte e si sussurra possa trovarsi nella condanna di Tommaso182, che impone l'interruzione brusca della relazione intrecciata da S.Tommaso con Aristotele, denunciata come pericolosa per la fede�. Come teologo Colombo sostiene che tale divisione �riusc� fatale alla teologia�, infatti �nella polarizzazione moderna di fede e filosofia la teologia � pregiudizialmente emarginata�. Insomma la conclusione dell'intervento di Colombo � che la vera figura della teologia si � realizzata non gi� in un S.Tommaso, ma in un S. Anselmo d'Aosta, che nella sua �prova ontologica� riportava di colpo la teologia nella sua indiscutibile area autonoma. Sul tema della divisione tra teologia e filosofia, e dalle successive divisioni all'interno della teologia stessa (che hanno segnato, insieme ad altri notevoli fattori, la fine del periodo medievale e la nacita dell'era moderna) ci sono quindi pareri contrastanti. In questa sede noi non possiamo per� non osservare la rilevanza della posizione ontologica anselmiana nei confronti della metafisica di Giordano Bruno. 16. S.Anselmo e Bruno: un confronto sulle conseguenze della teoria infinitista. S.Anselmo, nel suo famoso Proslogion, cerca di arrivare alla verit� sull'esistenza di Dio mediante una riflessione razionale cui possa accedere anche l'insipiens. Rilevante � che il tentativo della dimostrazione dell'esistenza di Dio passi attraverso una esposizione insiemistica. Dio viene pensato come la corrispondenza di quel pensiero di cui non si pu� pensare alcunch� di pi� grande: � [...] credimus te esse aliquid quo nihil maius cogitari possit�. Credo che in linguaggio logico-matematico il concetto equivalga all'insieme pi� grande, che comprende tutti gli altri. Ma la prova ontologica, per funzionare, deve proseguire oltre. Ammettendo che si pu� pensare la totalit�, non si � di fatto dimostrato nulla: dal livello del pensiero occorre passare a quello della realt�. Ed � qui che il pensiero di Anselmo comincia a farsi complicato: �certamente ci� di cui non si pu� pensare nulla di pi� grande, non pu� trovarsi solo nella mente [...]. Se infatti esiste almeno nell'intelletto, si pu� pensare che esista anche nella realt�; e ci� � qualcosa di pi�. Se dunque ci� di cui non si pu� pensare qualcosa di pi� grande � solamente nell'intelletto: ci� stesso di cui non si pu� pensare qualcosa di maggiore, sarebbe ci� di cui si pu� pensare qualcosa di maggiore. Ma questo certamente non pu� essere�183. Di fronte a questa contraddizione, Anselmo conclude che �esiste dunque e nell'intelletto e nella realt� un qualcosa di cui non si riesce a pensare qualcosa di pi� grande�. Gaunilone, nel Liber pro insipiente, colpir� Anselmo proprio sull'indebito passaggio tra realt� pensata e realt� esistente, ed avr� naturalmente ragione. Ma procediamo oltre. Anselmo, � evidente, rimane intrappolato nel labirinto degli insiemi in-finiti, dei quali non si sa mai qual � quello che raccoglie tutti. Certamente Anselmo, malgrado l'idea di comparazione, pensava ad un salto di qualit�, all'ambito della fede. L'avvicinamento a questo salto viene per� compiuto mediante un passo logico ben preciso, ed � questo quello che ci interessa in questa sede. In termini insiemistici, Bruno non avrebbe difficolt� a rispondere che l'insieme infinito pi� grande � quello di Dio, l'unico ad essere attualmente infinito. Se per� Anselmo avesse dovuto accettare questa posizione, non avrebbe potuto salvaguardare adeguatamente la trascendenza divina. Al contrario, spostando il discorso sulla totalit�, non riesce a mantenere la personait� di Dio. Dio � diventato il Tutto. Ma il Tutto � Persona? Bruno si trova evidentemente in una posizione affatto diversa: Dio � il Tutto, perde quindi la sua personalit� - cristianamente intesa - e non pu� essere oggetto di alcuna dimostrazione. Dio non � alla base della gerarchia, non � possibile risalire alla sua divina essenza tramite un rapporto di causa-effetto. A Dio ci si approssima solo mediante l'ascensus mistico e la magia, e il rapporto col Vero, che si esprime mediante la Natura infinita, sgretola alla base ogni concezione religiosa o morale basata sulla gerarchia finito/infinito. Nicola Badaloni, riferendosi alla concezione nolana, aveva opportunamente osservato: �Un esperto frate, avverso al Bruno, M. Mersenne percepisce la pericolosit� di questa concezione, attraverso la quale il rapporto col vero stimola la distruzione di vecchie gerarchie. L'anima universale, egli dice "spezza i fondamenti della vita umana, della ragione, della vita associata, della morale e di tutto ci� che serve a mantenere gli uomini in buona intelligenza fra loro. Se questa anima universale informa tutto, a che scopo i servitori si assoggetterebbero ai loro padroni?". Tanto pi� che potrebbe accadere che un servitore "fosse pi� lesto e coraggioso del suo padrone"�184. Spero di aver mostrato, solo sfiorando questi temi, come in realt� le pretese metafisiche di Bruno finissero per coinvolgere tutti i piani dell'esistenza: la teoria dell'infinito coinvolge - simultaneamente - sia la vita civile che l'ambito rigorosamente religioso dell'esistenza umana. L'antropologia non pu� che vedere una coordinazione di due elementi a questo punto fondamentali: il rapporto impossibile con l'Infinito - mediato dall'umbra - e la possibilit� di superare questo limite assoluto solo mediante un progresso infinito - mediante, cio� la vicissitudine universale. L'agire magico interessa appunto il momento pratico e conoscitivo di questo ascensus. E' naturale quindi che la vita civile deve essere riformata a partire dalla religione e dall'etica degli eroici furori: l'amore spregiudicato per la verit� � l'unica strada che l'uomo pu� percorrere nella direzione di una completa divinizzazione (ovvero: per raggiungere un vero adeguamento all'infinito). 17. Il vero tema della nolana filosofia viene tenuto nascosto ed accennato solo per modo di passaggio. La nolana filosofia, e Bruno se ne rendeva perfettamente conto, non era dottrina facile n� da capire n� da accettare nella sua interezza. Nella Cena infatti vengono presentati molti intermezzi, quasi a concedere fiato al lettore, in cui si riconosce la difficolt� della �proposta� e delle sue conseguenze: �Perch� il Nolano, per modo di passaggio, disse essere terre innumerabili simile a questa, or il dottor Nundinio, come bon disputante, non avendo che cosa aggiongere al proposito, comincia a rimandar fuor di proposito; e da quel che diceamo della mobilit� o immobilit� di questo globo, interroga della qualit� degli altri globi, e vuol sapere di che materia fusser quelli corpi, che son stimati di quinta essenzia, d'una materia inalterabile e incorrottibile, di cui le parti pi� dense son le stelle�185. Siamo nel mezzo di una scena dalle tinte comiche, tant'� vero che interviene addirittura Frulla: �Questa interrogazione mi par fuor di proposizio bench� io non m'intendo di logica�186. Continua Teofilo: �Il Nolano, per cortesia, non gli volse improperar questo; ma, dopo avergli detto che arebbe piaciuto che Nundinio seguitasse la materia principale, o che interogasse circa quella, gli rispose che li altri globi, che son terre, non sono in punto alcuno differenti da questo in specie; solo in esser pi� grandi e piccoli, come ne le altre specie d'animali per le differenze individuali accade inequalit�187. Bruno insomma capisce durante la cena che non pu� presentare ai dottori di Oxford la nolana filosofia nella sua completezza, tanto che punti fondamentali vengono citati solo per modo di passaggio. Ho gi� notato che in Inghilterra Bruno vuole solo farsi notare, per poter divulgare con milgior agilit� le proprie idee: deve quindi evitare di essere �indigesto�. Cosa che naturalmente, a dispetto delle sue intenzioni e a causa del suo temperamento tutt'altro che adatto alla comunicazione �tranquilla�, non gli riusc� affatto. Qui mi preme comunque rilevare che molti aspetti della nolana filosofia, sicuramente gi� presenti nella mente di Bruno e nelle sue intenzioni, vengono nascosti o citati solo en passant. Teofilo, proseguendo il racconto, ricorda l'intervento del Nolano: �se ben consideriamo, trovarremo che la terra e tanti altri corpi, che son chiamati astri, membri principali de l'universo, come danno vita e nutrimento alle cose che da quelli toglieno la materia, ed a' medesimi la restituiscano, coss� e molto maggiormente, hanno la vita in s�; per la quale, con una ordinata e natural volont�, da intrinseco principio se muoveno alle cose e per gli spacii convenienti ad essi. E non sono altri motori estrinseci, che col muovere fantastiche sfere vengano a trasportar questi corpi come inchiodati in quelle [...]. Tutto avviene dal sufficiente principio interiore per il quale naturalmente viene ad esagitarse, e non da principio esteriore, come veggiamo sempre accadere a quelle cose, che son mosse o contra o extra la propria natura. Muovensi dunque la terra e gli altri astri secondo le proprie differenze locali dal principio intrinseco, che � l'anima propria. - Credete, disse Nundinio, che sii sensitiva quest'anima? - Non solo sensitiva, rispose il Nolano; non solo intellettiva, come la nostra, ma forse anco pi�. - Qua tacque Nundinio, e non rise�188. Il momento � quasi drammatico: affiora con prepotenza l'immagine dell'anima mundi, di cui abbiamo notato le profonde implicazioni a livello etco ed antropologico. Di colpo compare anche quello che io considero l'elemento equilibratore di tutto l'impianto filosofico del Nolano: l'armonia, di matrice evidente pitagorica. 18. Anima mundi e ordine meraviglioso: il concetto di armonia universale. L' anima mundi si esplica in una azione che � anzitutto �armonica�. Questo era stato chiarito gi� nel De Umbris, dove Bruno aveva parlato di un ordine meravilglioso, pitagoricamente inteso: �Proprio cos� come nella variet� stessa delle cose distinguiamo un ordine meraviglioso, che, instaurando una connessione degli elementi sommi con gl'infimi e degl'infimi con i sommi, fa concorrere tutte le parti insieme a costituire il bellissimo aspetto di un solo grande essere animato (qual � il mondo), poich� tanta diversit� richiede tanto ordine e un cos� grande ordine tanta diversit�189. Ma l'ordine meraviglioso non � ancora sublimato in armonia divina, come sar� invece nel De la Causa, dove Bruno in una pagina veramente poetica descriver� la vita universale che si produce in una serie infinita di forme. Nel Dialogo secondo del De la Causa, dove Bruno giunge alla fondazione metafisica della realt� animata, avevamo infatti letto che: �l'intelletto universale � l'intima, pi� reale e propria facult� e parte potenziale de l'anima del mondo. Questo � unomedesimo che empie il tutto, illumina l'universo ed indirizza la natura a produre le sue specie come si conviene [...]. E' detto da' Maghi fecondissimo de semi o pur seminatore; perch� lui � quello che impregna la materia di tutte forme e, secondo la raggione e condizion di quelle, la viene a figurare, formare, intessere con tanti ordini mirabili, li quali non possono attribuirsi al caso [...]. Da noi si chiama artefice interno, perch� forma la materia e la figura da dentro: come da dentro del seme o radice manda ed esplica il stipe; da dentro il stipe caccia i rami, da dentro i rami le formate brance; da dentro queste ispiega le gemme; da dentro forma, figura intesse, come di nervi, le frondi, gli fiori, gli frutti�190. Per Bruno, lo avevo ricordato, l'artefice interno, �opra continuamente tutto in tutto�191, conferendo all'universo una inesauribile armonia di forme e movimenti. Il �tutto in tutto� � insomma perdita di ogni punto di riferimento, ma tutt'altro che confusione e caos. Nell'universo infinito, lo smarrimento � solo momentaneo. Alla luce delle considerazioni sull'ordine della scala naturae e del percorso prestabilito che segue la natura nel suo prodursi infinito, nella alternanza delle forme e nell'incessante divenire, credo si possa considerare l'armonia come una delle possibili categorie per interpretare il pensiero del Nolano. Anche l'idea di dissoluzione del centro e periferia, e quindi dell'ordine stabile dell'universo, a mio parere, pu� e anzi deve essere letta alla luce del concetto di armonia. La distruzione dei limiti e degli ordini prestabiliti non comporta mai in Bruno una sorta di anarchia. Al contrario: l� dove era un ordine stabile, ora splende un ordine mutevole, una armonia divina che � percettibile solo al filosofo, sempre mediante l'ascesi mistica. Credo che anche qui Bruno non voglia intendere una sorta di illuminazione diretta, quanto di incontro mistico, riflessivo, contemplativo. Una sorta di estasi plotiniana. Solo il filosofo che ha a lungo praticato la filosofia della natura (ossia la vera teologia) pu� cominciare a percepire quell'armonia divina che regola da dentro tutto l'universo. E' ovviamente ben difficile distinguere a questo punto l'armonia divina da Dio stesso, visto che il Dio di Bruno � affatto impersonale. Nei dialoghi metafisici Dio � inteso infatti come una forza cosmica, semplicemente definibile con l'idea della Vita-materia-infinita (secondo una felice espressione di Michele Ciliberto). La problematica della distinzione tra Dio e universo viene risolta sul terreno della doppia infinit�, come preannunciava il De la Causa e come si vedr� esplicitamente nel De l'infinito. Parallelamente credo che il problema della personalit� di Dio venga risolta proprio in termini infinitistici: Dio � Persona in quanto trascende l'infinito dell'universo. L'infinito di Dio, per cos� dire comprendendo l'infinito dell'universo, ed essendo qualitativamente superiore (l'universo infatti non � mai attualmente infinito, almeno che non lo si intenda come totalit�: ma in questo caso non � pi� universo, ma Dio, che � appunto tutto in tutto, ossia attualmente infinito, proprio perch� Uno) determina la differenza tra Dio e l'universo, e cos� mette il luce la personalit� di Dio. Credo che questo sia l'unico modo per salvare sia la trascendenza che la personalit� divina, all'interno del quadro teologico bruniano. Nel processo sopra riportato possiamo distinguere due momenti: una pars construens ed una denstruens. L'infinitizzazione del cosmo porta alla cancellazione degli ordini precedenti, e questo � il momento negativo. Ma i vecchi ordini vengono sostituiti da un nuovo ordine divino, che � anzitutto armonia: e questa � la parte positiva. Alle fredde leggi matematiche di Copernico possiamo ora affiancare la pi� intima convinzione di Bruno: le intuizioni del polacco non sono altro che l'esposizione matematica di una verit� precedente, antecedente, fondativa: Dio regola il mondo dall'interno, mediante leggi magiche che seguono una loro armonia intrinseca. Riemergono a questo punto anche i motivi ermetici tenuti finora sapientemente in ombra: �Come � pi� che verisimile, essendo che ogni cosa partecipa de vita, molti ed innumerabili individui vivono non solamente in noi, ma in tutte le cose composte; e quando veggiamo alcuna cosa che se dice morire, non doviamo tanto credere quella morire, quanto che la si muta, e cessa quella accidentale composizione e concordia�192. Dove concordia sta ad esprimere appunto l'idea dell'armonia, i molti ed innumerabili individui che vivono non solo in noi ma anche nei composti rendono estremamente concreta l'idea della vita-materia infinita e divina, propria della tradizione ermetica. Si tratta (� questo lo stile caratterstico della Cena) solo di una toccata e fuga, perch� subito il discorso ritorna all'astronomia. 19. Un classico argomento contro l'infinito. Per confutare le tesi copernicane viene addotto anche l'argomento delle nuvole dell'aria: �se fusse vero la terra muoversi verso il lato che chiamiamo oriente, necessario sarebbe che le nuvole d'aria sempre apparissero discorrere verso l'occidente, per raggione del velocissimo e rapidissimo moto di questo globo, che in spacio di ventiquattro ore deve aver compito s� gran giro. - A questo rispose il Nolano, che questo aere, per il quale discorrono le nuvole e gli venti, � parte della terra; perch� sotto il nome di terra vuol lui (e deve essere coss� al proposito) che se intenda tutta la macchina e tutto l'animale intero, che costa di sue parti dissimilari [...]. Le nuvole dunque da gli accidenti, che son nel corpo de la terra, si muoveno e son come nelle viscere di quella, coss� come le acqui�193. La risposta di Bruno � chiara e del tutto coerente: non vale l'argomentazione delle nuvole perch� queste sono parte della terra, e la terra � un grande animale animato che si autoregola dall'interno, con tutto ci� che contiene. La teoria dell'infinito poggia insomma su una sua logica coerenza interna, e le argomentazioni che si possono addurre contro di essa non valgono in partenza, perch� sono solo parte di altri ragionamenti, rimangono cio� all'interno di un'ottica finitista. Una volta che si sono accettati i presupposti della teoria copernicana, non si possono non trarre le dovute consuguenze, sia astronomiche che filosofiche che teologiche. 20. Di nuovo sul rapporto tra filosofia e teologia. A proposito del rapporto tra teologia e filosofia, il Dialogo quarto vede porsi in primo piano proprio questo discorso: �Smitho. Volete ch'io vi dica la causa? Teofilo. Ditela pure. Smitho. Perch� la divina Scrittura (il senso della quale ne deve essere molto raccomandato, come cosa che preocede da intelligenze superiori che non errano) in molti luoghi accenna e suppone il contrario. Teofilo. Or, quanto a questo, credetemi che, se gli Dei si fussero degnati d'insegnarci la teorica delle cose della natura, come ne ha fatto favore di proporci la prattica di cose morali, io pi� tosto mi accosterei alla fede de le loro rivelazioni, che muovernmi punto della certezza de mie raggioni e proprii sentimenti. Ma, come chiarissimamente ognuno pu� vedere, nelli divini libri in servizio del nostro intelletto non si trattano le demostrazioni e speculazioni circa le cose naturali, come se fusse filosofia; ma, in grazia de la nostra mente ed affetto, per le leggi si ordina la prattica circa le azioni morali. Avendo dunque il divino legislatore questo scopo avanti gli occhii, nel resto non si cura di parlar secondo quella verit�, per la quale non profittarebbono i volgari per ritrarse dal male e appigliarse al bene; ma di questo pensiero lascia a gli uomini contemplativi, e parla al volgo in maniera che, secondo il suo modo de intendere e di parlare, venghi a capire quel ch'� principale. Smitho. Certo � cosa conveniente, quando uno cerca di far istoria e donar leggi, parlar secondo la comone intelligenza, e non esser sollecito in cose indifferenti. Pazzo sarebbe l'istorico, che, trattando la sua materia, volesse ordinar vocaboli stimati novi e riformar i vecchi, e far di modo che il lettore sii pi� trattenuto a osservarlo e interpretarlo come gramatico, che intenderlo come istorico�194. Emerge quindi con forza il ruolo pedagogico della teologia: ad essa non spetta un compito speculativo, ma pratico. Mentre lo studio delle cose naturali � affidato all'intelletto che ragiona, alla teologia spetterebbe invece il compito di legiferare e regolare sulla fede le azioni morali dei volgari. La Bibbia non cerca la verit� delle cose fisiche, ma la bont� dei costumi, e non va quindi presa alla lettera. 21. Soluzione definitiva della problematica del centro. Col dialogo Quinto viene ripresa e conclusa definitivamente la problematica del centro dell'Universo e della sua supposta sfericit�: �Perch� non son pi� n� altramente fisse le altre stelle al cielo, che questa stella, che � la terra, � fissa nel medesimo firmamento, che � l'aria; e non � pi� degno d'esser chiamato ottava sfera, dove � la coda de l'Orsa, che dove � la terra, nella quale siamo noi; perch� in una medesima eterea reggione, come in un medesimo gran spacio e campo, son questi corpi distinti e con certi convenienti intervalli allontanati gli uni da gli altri; considerate la caggione, per la quale son stati giudicati sette cieli degli erranti, ed uno solo di tutti gli altri�195. E' ovvio rilevare che il discorso sulla dignit� coinvolge direttamente ancora una volta il piano antropologico, secondo le linee che abbiamo gi� individuato: la scomparsa della gerarchia non significa affatto confusione e dispersione, assenza di leggi, perdita di valore della Terra e dell'uomo. Al contrario: l'uomo viene in qualche modo divinizzato al pari degli altri astri (che prima in funzione della gerarchia si credevano pi� vicini a Dio) e al pari della nuova legge universale: la legge dell'armonia divina che regola il tutto dall'interno. A ripetere che l'idea di uno spazio infinito � tutt'altro che nuova, Bruno ricorda che �Questa distinzion di corpi ne la eterea reggione l'ha conosciuta Eraclito, Democrito, Epicuro, Pitagora, Parmenide, Melisso, come ne fan manifesto quei stracci che n'abbiamo: onde si vede, che conobbero uno spazio infinito, regione infinita, selva infinita, capait� infinita di mondi innumerabili simili a questo, i quali coss� compiscono i loro circoli, come la terra il suo; e per� anticamente si chiamavano ethera, cio� corridoi, corrieri, nuncii della manificenza de l'unico altissimo, che con musicale armonia contemprano l'ordine della constituzion della natura, vivo specchio dell'infinita deit�. Bruno interpreta quindi l'etere degli antichi a suo modo: �il qual nome di ethera dalla cieca ignoranza � stato tolto a questi, ed attribuito a certe quinte essenze, nelle quali, come tanti chiodi, siino inchiodate queste lucciole e lanterne. Questi corridoi hanno il principio di moti intrinseco, la propria natura, la propria anima, la propria intelligenza�196. Nell'infinito, Bruno insiste parecchio su questo punto, si perdono tutte le determinazioni relative, a partire dalle tradizionali distinzioni tra corpi gravi e lievi: �Teofilo. Sappi, che n� la terra, n� altro corpo � assolutamente grave o lieve. Nessuno corpo nel suo loco � grave n� legiero; ma queste differenze � qualit� accadeno non a' corpi principali e particolari individui perfetti dell'universo, ma convengono alle parti, che son diverse dal tutto, e che se ritrovano fuor del proprio continete, e come peregrine�197. La questione della gravit� viene allora risolta in questi termini: n� la terra n� altro corpo � in senso assoluto pesante o leggero, questa differenza si prouce solo se in generale i corpi o meglio le loro parti si allontano dal loro luogo naturale: �Perci� si potrebbe concedere, che il sole si muova circa il proprio centro, ma non gi� circa altro mezzo; atteso che basta, che tutti gli altri corpi si muovano circa lui, per tanto che di esso quelli han bisogno�198. Ma qual � la causa del moto locale della terra? �Teofilo. La caggione di cotal moto � la rinovazione e rinacenza di questo corpo; il quale, secondo la medesima disposizione, non pu� esser perpetuo [...]. Perch�, essendo la materia e sustanza delle cose incorrottibile, e dovendo quella secondo tutte le parti esser soggetto di tutte le forme, a fin che secondo tutte le parti, per quanto � capace, si fia tutto, sia tutto, se non in un medesimo tempo ed istante d'eternit�, al meno in diversi tempi, in varii istanti d'eternit� successiva e vicissitudinalmente; perch�, quantumque tutta la materia sia capace di tutte le forme insieme, non per� de tutte quelle insieme pu� esser capace ogni parte della materia; per� a questa massa intera, della qual consta questo globo, questo astro, non essendo conveniente la morte e la dissoluzione, ed essendo a tutta natura impossibile l'annichilazione, a tempi a tempi, con certo ordine, viene rinovarsi, alterando, cangiando, le sue parti tutte�199. E' evidente la ripresa del motivo ermetico della materia e sustanza delle cose incorruttibile, proprio come Tat aveva rivelato ad Ermete Trismegisto: �gli esseri viventi non muoiono, ma, essendo corpi composti, si dissolvono: e questa dissoluzione non � morte ma dissoluzione di una commistione. E se si dissolvono, non si distruggono, ma si rinnovano. Che cos'� infatti l'energia della vita? Non � forse movimento? O cosa c'� nel mondo che sia immobile? Niente, figlio mio. Ma almeno la terra, padre, non sembra immobile? No, figlio, al contrario, sola fra tutti gli esseri, essa � soggetta ad una moltitudine di movimenti, ed � insieme stabile. Non sarebbe forse ridicolo supporre che questa nutrice di tutti gli esseri fosse immobile, essa che d� la nascita a tutte le cose? Senza movimento, in realt�, � impossibile generare. E' del tutto assurdo chiedere, come fai tu, se la quarta parte del mondo non sia per caso inerte: essere immobile, per un corpo, non pu� infatti aver altro significato che quello di essere inerte. Sappi dunque, figlio, che tutto ci� che � al mondo, senza eccezione, si muove, o per diminuire o per accrescersi; e che ci� che si muove � nello stesso tempo vivo, senza per� alcuna necessit� che ogni essere vivente debba conservare la propria identit�200. Nella Cena insomma, Bruno ripete meno, e meno apertamente, la provenienza delle sue idee. L'idea di una riforma religiosa esige ovviamente una serie ragionata di cautele. Il discorso della Cena non � apertamente magico n� mistico. Non emergono direttamente le critiche e le polemiche anti-cristiane, n� l'immagine della crisi universale. La Cena � in realt� il resoconto di una disputa cosmologica e filosofica, in cui gli elementi ermetici sono o del tutto mascherati o costituiscono una sorta di substratum ideologico tenuto sempre, con grande abilit�, in secondo piano. Certamente la filosofia cosmologica che propone Bruno � ben lontana da quella dei dottori di Oxford, e questo � evidente anzitutto a partire dal giudizio del Nolano su Copernico. Per Bruno, � bene non dimenticarlo, �altro � giocare con la geometria, altro � verificare con la natura�201: questa sua convinzione si far� sentire soprattutto nelle ultime opere, quelle dedicate sintomaticamente alla magia naturalis. CAPITOLO V IL DE L'INFINITO, UNIVERSO E MONDI Or ecco, vi porgo la mia contemplazione circa l'infinito, universo e mondi innumerabili.202 1. Per una corretta valutazione dell'opera. Il De l'infinito � sicuramente, insieme al De la Causa, il Dialogo bruniano pi� studiato, pi� citato, e, naturalmente, pi� frainteso. Generalmente la posizione che � prevalsa, almeno negli ultimi anni, � stata infatti quella propensa a considerare il dialogo inglese come l'esposizione pi� completa della filosofia nolana. Augusto Guzzo, per esempio, aveva addirittura scritto: �Il De l'infinito era, per il Bruno, la sua filosofia, di cui gli altri scritti volevano essere una semplice preparazione�203. Personalmente, credo che non sia possibile sostenere queste posizioni. In realt� il De infinito, insieme al De immenso, costituisce una esplicazione completa a livello cosmologico di risultati teorici raggiunti altrove, a partire dalle opere magico-mnemotecniche, nelle quali, come abbiamo visto, Bruno aveva gi� cominciato a delineare in modo abbastanza preciso la sua metafisica. Credo che insomma che il De infinito sia ancora un punto intermedio della nolana filosofia, certo fondamentale, ma assolutamente non conclusivo. La conclusione della filosofia di Bruno � infatti la magia, ovvero la proposta di una nuova (ma ad un tempo antica) religione, una tecnica teurgica, tutta impostata al fine di realizzare l'unione umana con la divinit�. Il pensiero di Bruno non si � dunque fermato al "nuovo" panteismo cosmologico e infinitistico. La conclusione naturale (ed esplicita, anche se per lo pi� trascurata o addirittura ignorata dalla critica), della filosofia di Bruno � infatti il misticismo magico, ossia quel particolare atteggiamento spirituale che tende all'unione col divino mediante il superamento dei limiti naturali. Bruno si sente il profeta di una dottrina ben precisa: non solo annuncia che Dio � presente come fons vitae, come principio animatore, nell'universo infinito (secondo i canoni della rivelazione ermetica), ma rivela all'uomo la vera religione, lo rende finalmente consapevole della sua possibilit� di raggiungere l'Assoluto. Scriver� infatti nella Proemiale Epistola: �questa � quella filosofia che apre gli sensi, contenta il spirito, magnifica l'intelletto e riduce l'uomo alla vera beatitudine che pu� avere come uomo; perch� lo libera dalla sollecita cura di piaceri e cieco sentimento di dolori, lo fa godere dell'esser presente, e non pi� temere che sperare del futuro; perch� la providenza o fato o sorte, che dispone della vicissitudine del nostro essere particolare, non vuole n� permette che pi� sappiamo dell'uno che ignoriamo dell'altro, alla prima vista e primo rancontro rendendoci dubii e perplessi. Ma mentre consideramo pi� profondamente l'essere e sustanza di quello in cui siamo inmutabili, trovaremo non esser morte, non solo per noi, ma n� per veruna sustanza; mentre nulla sostanzialmente si sminuisce, ma tutto, per infinito spacio ricorrendo, cangia il volto. E perch� tutti soggiacemo ad ottimo efficiente, non doviamo credere, stimare e sperare altro, eccetto che come tutto � da buono; coss� tutto � buono, per buono e a buono; da bene, per bene, a bene�204. L'unica beatitudine che l'uomo pu� avere come uomo si attua insomma nel corso infinito della vicissitudine universale, nella quale non c'� morte, ma solo bene, essendo il male assorbito in una dinamica del tutto positiva, razionale, divina. Essendoci coincidenza tra Dio e Universo, non � infatti possibile che in questi ci sia il male, a meno che non si voglia cadere in contraddizione attribuendolo anche a Dio. La dottrina della infinit� dei mondi ha in serbo una antica novit�: la divinit� ontologica dell'uomo non pi� creatura ma parte dell'infinito. La vera religione � naturalmente quella egizia, quella mitica, autentica religione dell'et� dell'oro. Mito, magia, misticismo, filosofia si fondono in un intreccio fantastico. Il De l'infinito insomma � solo un capitolo del nuovo vangelo bruniano, e per di pi� viene completato da un ulteriore opera latina, il De immenso. Possiamo quindi condividere quello che gi� Alexander Koyr�, in uno studio ormai classico, aveva notato: �la pi� chiara e potente presentazione del nuovo evangelo dell'unit� ed infinit� del mondo si trova nel dialogo italiano De l'infinito, universo e mondi e nel poema latino De immenso et innumerabilibus�205. Il dialogo inglese � notevole soprattutto a causa dell'utilizzo, estremamente radicale, di due princ�pi che risultano fondamentali per la comprensione della teoria infinitista a livello cosmo-teologico: il famoso principium plenitudis (per cui � bene che uno spazio infinito contenga infiniti mondi come il nostro), e l'argomento teologico, secondo il quale l'infinita potenza divina, nella sua esplicazione, non pu� che manifestarsi in un universo infinito. Bruno distingue nettamente i due momenti, e conferisce ad essi un particolare rilievo. 2. L'infinito all'interno della filosofia binaria. Nel De infinito vengono portate a compimento tutte le premesse metafisiche e cosmologiche della Cena e del De la Causa. L'universo che Bruno presenta nei cinque dialoghi che compongono l'opera � apertamente infinito, e lo stesso concetto di infinito viene qui completamente purificato dalle sue interpretazioni ambigue, sia da un punto di vista formale, sia da un punto di vista ontologico. Viene infatti totalmente eliminato l'aspetto negativo dell'infinito, evidente a partire dalla denominazione greca (�peiron significava appunto mancanza di limite, per cui infinito era anche l'equivalente di indeterminato). Parallelamente viene messo in primo piano l'aspetto positivo, che corrisponde ad una delle caratteristiche pi� evidenti dell'infinito, ovvero quella di essere l'essenza di Dio, la somma delle perfezioni possibili (e quindi la perfezione assoluta), la forza che fonda il finito e ne garantisce la sussistenza ontologica. Teoreticamente, l'infinito viene presentato come uno dei due aspetti della realt� binaria: finito e infinito, costituiscono apertamente, con pari diritto, l'essenza della realt�. Al finito corrisponde l'idea del minimo, all'infinito quella del massimo. In questa visione, profondamente panteistica, il problema del male e della morte sembra essere assorbito all'interno della dialettica degli opposti, del movimento: il male e la morte sono solo apparenti, perch� in Dio c'� solo il bene e in Lui non si pu� pensare che ci sia corrozione. La filosofia nolana, con l'adozione del magico numero binario all'interno del quadro speculativo panteista-vitalistico � diventata formalmente matura, e il De l'infinito sembra avere proprio lo scopo di provarlo. Viene qui abbandonata senza mezzi termini (per la prima volta in un modo cos� radicale) la tradizione aristotelica di un universo limitato: sono maturati, ed ora emergono con forza, sul piano cosmologico, i risultati ottenuti nel De la Causa ad un livello metafisico. Non si tratta pi� di un resoconto di una disputa dialettica, come nel caso della Cena delle Ceneri, ma dell'esposizione chiara e precisa della nuova teoria cosmologica. Si pu� dire allora che il De l'infinito risponda alla semplice domanda: quali sono le conseguenze - cosmologiche - di un'opera come il De la Causa? Ovviamente, e ormai siamo abituati ad una lettura per cos� dire �stratificata� del pensiero di Bruno, emergono anche importanti considerazioni ed implicaziobni di carattere gnoseologico e morale. Dal punto di vista della teoria della conoscenza i limiti dell'esperienza umana, del senso comune, vengono infatti definitivamente superati dall'intelletto, unico affidabile organo gnoseologico e teurgico. Ma la rivoluzione cosmologica si mostra gravida di conseguenze anche sul piano dell'etica civile. Ancora una volta, gi� nella Proemiale Epistola, affiora per esempio la critica del sapere pedantesco, nella formula che ormai ben conosciamo: la verit� � gi� stata data all'uomo, e poi sepolta nelle tenebre dell'ignoranza. Il sapere del logico e del matematico (dell'aristotelico) � vuoto e astratto: forma senza sostanza. Bruno vuole confermare invece l'antica sapienza egizia, e, conformemente ai canoni della filosofia ermetica, ripetere che la rinascenza dell'antico passa per la confutazione, puntum contra puntum, delle tesi aristotelico tolemaiche e delle loro implicazioni onto-teologiche. La pars construens della teoria nolana, a livello metafisico esposta nel De la Causa, era stata preceduta da una corrispondente pars denstruens - cosmologica - della Cena. Ora, con il De l'infinito, universo e mondi, il circolo ideologico si chiude con argomentazioni sia di carattere negativo sia positivo. Affrontiamo quindi l'analisi del concetto infinito nell'ultimo dei �dialoghi metafisici� che ho preso in considerazione: il De l'infinito, universo e mondi. 3. L'universo infinito. Gi� all'apertura del dialogo, viene messo apertamente a fuoco il continuum ideologico con l'antica, vera sapienza: quella egizia. Ma non solo. Nella Proemiale Epistola, ad esempio, viene riportato anche il noto argomento lucreziano206: pu� la freccia oltrepassare i limiti del mondo? Ma con l'esposizione di questo primo paradosso siamo solo alle indicazioni programmatiche. Lucrezio vuole essere solo un richiamo all'antico dimenticato, secondo la solita immagine che ha di mira le presunzioni accademiche dei pedanti aristotelici e l'idea della crisi universale. In realt� il De rerum natura serve al Nolano solo come punto di partenza per un nuovo percorso epistemologico e cosmologico insieme. Il programma epistemologico - positivo e negativo - passa anzitutto attraverso la distruzione del senso esterno: �Filoteo. Non � senso che vegga l'infinito, non � senso da cui si richieda questa conchiusione; perch� l'infinito non pu� essere oggetto del senso; � per� chi dimanda di conoscere questo per via di senso, � simile a colui che volesse veder con gli occhi la sustanza e l'essenza; e chi negasse per questo la cosa, perch� non � sensibile o visibile, verebe a negar la propria sustanza ed essere. Per� deve esser modo circa il dimandar testimonio del senso; a cui non doniamo luogo in altro che in cose sensibili, anco non senza suspizione, se non entra in giudizio gionto alla raggione. A l'intelletto conviene giudicare e render raggione de le cose absenti e divise per distanza di tempo ed intervallo di luoghi. Ed in questo assai ne basta ed assai sufficiente testimonio abbiamo dal senso per quel, che non � potente a contradirne e che oltre fa evidente e confessa la sua imbecillit� ed insufficienza per l'apparenza de la finitudine che caggiona per il suo orizonte, in formar della quale ancora si vede quanto sia incostante. Or, come abbiamo per esperienza, che ne inganna nella superficie di questo globo in cui ne ritroviamo, molto maggiormente doviamo averlo suspetto quanto a quel termine che nella stellifera concavit� ne fa comprendere. Elpino. A che dunque ne serveno gli sensi? Dite. Filoteo. Ad eccitar la raggione solamente, ad accusare, ad indicare e testificare in parte, non a testificare in tutto, n� meno a giudicare, n� a condannare. Perch� giamai, quantunque perfetti, son senza qualche perturbazione. Onde la verit�,come da un debile principio, � dagli sensi in picciola parte, ma non � nelli sensi. Elpino. Dove dunque? Filoteo. Ne l'oggetto sensibile come in un specchio, nella raggione per modo di argumentazione e discorso, nell'intelletto per modo di principio o di conclusione, nella mente in propria e viva forma�207. Bruno sta spiegando che mentre per la percezione sensibile (ed il conseguente calcolo matematico o rappresentazione geometrica) l'infinit� � inaccessibile ed irrappresentabile, al contrario per l'intelletto essa � concetto primario e certissimo, soprattutto alla luce di quella che ho chiamato �filosofia binaria� (espressa sottilmente proprio all'inizio del primo dialogo metafisico, la Cena de le Ceneri). Cos� come esistono due aspetti del reale cos� diversi fra loro (finito e infinito), allo stesso modo l'uomo � dotato di due organi conoscitivi: i sensi per il finito e l'intelletto per l'infinito. Ma occorre su questo punto tentare una ulteriore riflessione. Se Bruno nega l'accesso all'infinito tramite i sensi, come mai ha tenuto in cos� grande considerazione la teoria di Copernico (che da buon astronomo non poteva certo rinunciare alla vista dei cieli stellati, e quindi all'uso diretto dei sensi, pur nella consapevolezza della loro relativa affidabilit�): come mai ha insomma apertamente lodato una teoria basata anzitutto sull'osservazione? 4. Una distinzione di metodo. Interpretare il giudizio di Bruno su Copernico alla luce delle tesi esposte nel De infinito significa allora spingersi ad approfondire ancor di pi� il livello speculativo della teoria infinitista nolana. Dalla lettura di alcuni dei passaggi fondamentali del testo emerge con chiarezza un dato fondamentale: Bruno sembra voler porre una sottile distinzione di metodo. Un conto � �prospetivare�, giocare con la geometria o la matematica, cercare spiegazioni e dimostrazioni fisicho-matematiche (di verit� precedentemente acquisite); altro � invece vedere con gli occhi della mente, magicamente, per intuizione diretta, al di l� dei sensi. Riemerge insomma il problema della conoscenza. Come l'uomo conosce? Nel De la Causa, l'oggetto della conoscenza era stato definito in termini di �vestigia�, �simulacro�, �specchio�. Gi� nel De umbris Bruno aveva del resto ampiamente chiarito, mediante la metafora dell'ombra, i limiti invalicabili della conoscenza umana ordinaria, quella che si effettua attraverso l'uso dei sensi: non si pu� andare al di l� dell'umbra. Tra finito e infinito l'umbra costituisce un filtro indispensabile alla conoscenza e all'esistenza dell'uno e dell'altro. In ogni caso, in quanto costante ontologica, l'umbra � un limite che non si pu� oltrepassare. Ma le cose cambiano se passiamo ad analizzare la conoscenza del mago. 5. La conoscenza del filosofo-mago. Il mago, proprio perch� dotato di poteri superiori a quelli dell'uomo comune, sa andare al di l� dell'ombra, in quanto ne comprende a fondo il significato metafisico. Certo, la sua non � (e non potrebbe essere) una visione perfetta, nitida, ma senza dubbio riesce a penetrare il velo dell'oscurit� molto pi� a fondo di quanto non possano i sensi �comuni�. Si noti: il mago possiede gi� un certo bagaglio di conoscenze, a volte ben precise, specialmente a livello tecnico-metodologico. Al di l� delle varie tecniche magiche o mnemotecniche (a volte assai vaghe o stravaganti, a volte invece di una originalit� imbarazzante, come nel caso della mnemotecnica, che presenta impressionanti analogie con i moderni metodi di memorizzazione veloce e in generale sembra essere ampiamente confermata dai pi� recenti studi sulla memoria), il mago pu� appellarsi ad una serie di verit� ermetiche capitali. Esse riguardano la struttura del mondo e della materia, il problema della trascendenza divina, una serie precisa di dottrine soteriologiche, etc. etc. La tradizione ermetica si innesta ancora una volta nel magico misticismo di Bruno, con il risultato evidente di una profonda commistione tra scienza (magico-ermetica) e verit� filosofica, logica fantastica e mnemotecnica, religione e cosmologia. In questo quadro le possibilit� della conoscenza umana vengono valutate seguendo i valori della scala naturae, in termini di ascensus e decensus mistico-conoscitivo. Si noti: la struttura umbratile del mondo e quindi della conoscenza umana garantisce anche l'insondabilit�, in termini di di-mostrazione dell'infinito. L'infinito, all'interno della magica filosofia binaria rappresenta immediatamente un termine necessario per garantire l'esistenza del finito. Per Bruno, chi domanda le possibilit� di una di-mostrazione umana dell'infinito, in termini razionali, chiede in realt� di di-mostrare l'esistente, la realt�. Ovviamente, dimostrare l'esistenza del reale significa dimostrare l'esistenza di Dio. Copernico allora viene accettato non nelle sue conclusioni (al centro dell'universo non sta il mondo, ma il sole), ma nelle sue premesse: esiste una gerarchia assoluta? Una domanda di questo tipo doveva portare inevitabilmente, secondo Bruno, alla revisione della struttura dell'universo e alla accettazione della verit� sepolta: il mondo � infinito, perch� � esplicazione infinita della potenza di Dio. Copernico insomma sembra a Bruno essersi mosso all'interno di una embrionale filosofia dell'infinito. Il primo passo verso la teoria infinitista � infatti la messa in crisi delle tradizionali gerarchie. Inoltre, il rapoporto Terra-Sole, parallelo a quello Uomo-Dio, doveva certamente sembrare a Bruno un ottimo elemento da inserire nella sua concezione della realt� binaria, che, come spero di aver dimostrato, � alla base della filosofia del Nolano (inserendosi perfettamente nella teoria dell'umbra). 6. L'irrazionale. La filosofia dell'ermetico numero binario conduce direttamente ad un inglobamento, che sar� ripetuto da Hegel, dell'irrazionale all'interno del misterioso spettacolo della Natura: uno spettacolo tutto divino e perci� razionale. Il concetto superiore di armonia divina elimina quindi alla base ogni possibilit� di esistenza dell'irrazionale e del negativo. L'irrazionale esiste solo a livello epistemologico, e sta ad indicare il limite posto dall'umbra: l'uomo non pu� - e non potr� mai - conoscere la sostanza del divino. In un mondo in cui tutto ci� che esiste corrisponde ad una esplicazione della infinita potenza divina, rimane posto solo per l'incomprensibile, il non-conoscibile. Il male � in realt� un prodotto esclusivo dell'agire umano: l'etica degli heroici furori � appunto tutta centrata su questa convinzione. 7. Necessit� del concetto di infinito. L'infinito � per Bruno semplicemente necessario, serve a fondare il finito: �se � raggione che sia un buono finito, un perfetto terminato; improporzionalmente � raggione che sia un buono infinito; perch�, dove il finito bene � per convenienza e raggione, l'infinito � per absoluta necessit�208. In questo senso viene eliminata in un solo colpo tutta la problematica dialettica della correttezza formale in fase di di-mostrazioni: �Elpinio. come � possibile che l'universo sia infinito? Filoteo. Come � possibile che l'universo sia finito? Elpinio. Volete voi che si possa dimostrar questa infinitudine? Filoteo. Volete voi che si possa dimostrar questa finitudine?�209. Dalla dialettica delle due posizioni opposte non sembrano dunque emergere soluzioni possibili. Sul piano delle prove, nessun punto di svolta. L'aporia viene per� di colpo superata se si rinnova un cambiamento di prospettiva: l'unica �prova� possibile diventa quella ontologica, quella che sembra chiarire la necessit� dell'infinito (della Totalit�). Dell'infinito, soprattutto se considerato come assoluto (Dio) non � possiile dare alcuna dimostrazione. Il problema � casomai quello di esemplificare, render chiaro ci� che � ombra, precisare le possibili analogie concettuali del divino col modo di pensare dell'umano. Ma allora il discorso, ancora una volta, cambia prospettiva: qualsiasi parte dell'universo, presa in se stessa � finita. Se invece consideriamo l'universo inteso come totalit�, nella vicissitudine universale dei singoli mondi, ecco che possiamo avvicinarci adeguatamente all'idea di infinito: ricordiamoci che la conoscenza � possibile solo sotto il codice dell'umbra. Paradossalmente, si pu� quindi dire che non si pu� pensare (comprendere) l'infinito. Nondimeno, questo costituisce il necessario opposto del finito. All'infinito non si giunge razionalmente, ma per mezzo di metodi magici. Non si tratta insomma di mettere in campo induzioni o paradossi, con conseguenti argomentazioni. Gi� l'overture ironica che abbiamo sopra riportato ci rende chiara l'impostazione epistemologica, del resto perfettamente coerente con le tesi sostenute nel De umbris e nel De la Causa, dove Bruno aveva sostenuto che �della divina sustanza, s� per essere infinita, s� per essere lontanissima da quelli effetti che sono l'ultimo termine del corso della nostra discorsiva facultade, non possiamo conoscer nulla se non per modo di vestigio�210. Ecco perch� le critiche a Copernico erano rivolte su un piano metodologico: in fondo era la gnoseologia di Copernico che Bruno non poteva accettare. E le mancate conclusioni alle sue stesse premesse erano appunto il segno evidente di una errata impostazione metodologica. La teoria cosmologica deve servire solo ad illustrare una verit� gi� raggiunta, mediante l'incontro magico con una realt� tutta intellettuale, tutta interiore. Copernico ha seguito quindi una strada giusta, ma l'ha percorsa all'incontrario. Non a caso Bruno aveva sostenuto che �nell'universo infinito medesima cosa � larghezza, lunghezza e profondo, perch� medesimamente non hanno termine e sono infinite�211. Se i sensi insomma ci ingannano nell'immediato, sono altrettanto inaffidabili rispetto alla conoscenza delle cose lontane: �A l'intelletto conviene giudicare e render raggione de le cose absenti e divise per distanza di tempo ed intervallo di luoghi. Ed in questo assai ne basta ed assai sufficiente testimonio abbiamo del senso per quel, che non � potente a contradirne e che oltre fa evidente e confessa la sua imbecillit� ed insufficienza per l'apparenza de la finitudine che caggiona per il suo orizzonte, in formar della quale ancora si vede quanto sia incostante. Or, come abbiamo per esperienza, che ne inganna nella superficie di questo globo in cui ne ritroviamo, molto maggiormente doviamo averlo suspetto quanto a quel termine che nella stellifera concavit� ne fa comprendere. Elpinio. A che dunque ne servono gli sensi? Dite. Filoteo. Ad eccitar la raggione solamente, ad accusare, ad indicare e testificare in parte, non a testificare in tutto, n� meno a giudicare, n� a condannare. Perch� giamai, quantunque perfetti, son senza qualche perturbazione. Onde la verit�, come da un debile principio, � da gli sensi in piccola parte, ma non � nelli sensi. Elpinio. Dove dunque? Filoteo. Ne l'oggetto sensibile come in uno specchio, nella raggione per modo di argumentazione e discorso, nell'intelletto per modo di principio e conclusione, nella mente, in propria e viva forma�212. La metodologia conoscitiva del Nolano si fa dunque sempre pi� precisa, e prepara con attenzione il terreno per le future tesi magiche esposte compiutamente nel De magia e nel De vinculis in genere. I sensi servono solo a eccitare la ragione: la verit� per Bruno resta nascosta �ne l'oggetto sensibile come in uno specchio�. Riemerge insomma, parallelamente alla gnoseologia, il problema dell'oggetto infinito, ovvero il problema della forma. 8. La forma dell'infinito. Se nel De la Causa era stata operata una vertiginosa rivalutazione della materia, a cui veniva congiunta l'idea di forma esteriore intesa come accidente momentaneo ma universale; ora la forma coinvolge anche la dimensione dell'infinito in se stesso. "Verit�" sembra essere a questo punto una nuova determinazione dell'infinito. Cerco di spiegarmi: se la verit� deve essere cercata nell'oggetto sensibile, come in uno specchio, allora essa risiede nell'infinito, perch� l'oggetto sensibile �, nella sua totalit�, infinito. In questo senso si pone il problema della forma dell'infinito. Alla domanda �qual � la forma dell'infinito� ha gi� risposto in modo esauriente Biagio De Giovanni: �l'infinito in Bruno ha una forma: � l'individuo. L'infinito di Bruno ha un'esistenza: � la vita infinita. L'infinito esiste, non si d� come un'ipotesi nel tremolio incerto di confini lontani. Ogni cosa, ogni oggetto, ogni realt� ha presso di s� il proprio infinito�213. Personalmente, credo non si debba dimenticare che la discussione della forma dell'infinito, in Bruno, comprende anche e soprattutto il problema della verit�. Se l'infinito prende forma - concretamente - negli oggetti sensibili (ovvero negli individui), la verit� rischia allora di essere dispersa nel molteplice. Sembrerebbe una caduta senza rimedio in un nihilismo assoluto. Qual � la soluzione di Bruno a questo nuovo problema che la sua stessa tematica infinitista mette ora in primo piano? La risposta di Bruno coinvolge naturalmente la dimensione del tempo. Citando il De umbris, avevamo gi� toccato il tema della veritas filia temporis: il tempo vede un ritorno ciclico di inviati degli d�i, �mercurii ed apollini�, dei quali certamente lo stesso Bruno doveva essere un rappresentante, e ai quali spettava l'arduo compito di ricordare agli uomini la verit� perduta, l'et� dell'oro. Siamo quindi lontani, come gi� notava Fulvio Papi, dalla verit� storicista: �La verit� dei filosofi � figlia del tempo: non nel senso un po' ingenuo inteso dagli storicisti, e cio� che essa abbia uno svolgimento coincidente con il divenire temporale. Ma nel senso che prima o poi, con il tempo, essa � destinata a mostrarsi. Il suo obnubilamento non pu� che essere provvisiorio�214. La verit� � insomma un oggetto che non viene mai dato nell'esistenza, almeno in modo completo, assoluto. Trattare il problema della Verit� all'interno dell'ottica infinitista e a-gerarchica, significa rivoluzionare i tradizionali termini di discussione e porsi, automaticamente, al di fuori dei canoni cattolici e riformati. La nuova verit�, che Bruno annuncia col fervore del profeta, non � una verit� soltanto intellettuale (metafisico-cosmologica), ma soprattutto teologica: l'alito divino � presente nell'individuo, perch� l'individuo � anello ineliminabile della catena infinita dell'essere, e l'esistenza dell'individuo si attua nella sua completezza solo nell'arco di una vicissitudine infinita. Siamo di fronte alla pi� completa forma di divinizzazione umana che l'intero Rinasciemnto abbia potuto vedere: l'uomo, in quanto individuo, � figlio e parte della vita infinita. Non esiste la morte, non esiste una gerarchia, non esiste una verit� data una volta per sempre. In breve: l'uomo diventa protagonista delle proprie scelte e del proprio cammino: non c'� nessun Dio che guida con amore i figli di Adamo. In realt� la �caduta� coincide con il passaggio dalla religione magica di Ermete Trismegisto, dal linguaggio magico, dal sapere, al non sapere, alla pedanteria. L'unica verit� consegnata nelle mani dell'uomo � quella ermetica, e riguarda la metodologia soteriologica e la struttura del mondo. L'universo � infinito e in esso c'� Dio. L'uomo, in quanto parte dell'universo, respira della stessa vita di Dio: �, appunto, un �magnum miraculum�, come l'aveva definito Ermete Trismegisto. La sua esistenza si attua nella vicissitudine universale, che coinvolge tutti i piani dell'essere, in quanto nell'universo non esiste nulla di immobile e nemmeno il vuoto (che in quanto tale � anche privo di movimento). All'interno del quadro speculativo della teoria infinitista, il concetto di vicissitudine universale coinvolge tutti gli individui, e riunisce in questo modo la verit� dispersa. La verit� dimostra in questo senso uno sviluppo parallelo al rapporto Dio-universo: segue lo stesso processo di esplicazione dall'unit�, nelle cose particolari e di implicazione nell'unit�. Gli individui particolari - in cui pure � possibile scoprire come in uno specchio una verit� - concorrono tutti insieme alla formazione del Vero, in un tempo ciclico infinito. Riemerge allora anche la centralit� dell'azione magica: nella dimensione dell'esistenza, solo la magia sa ricomporre questa scissione - istantanea - tra Essere, pensiero e linguaggio. La magia porta alla Verit�, perch� garantisce l'unione con l'Unum, mediante l'ascesi per gradi. Ovviamente il termine ascesi, che preferisco per configurare l'iniziativa del misticismo bruniano, ha in questo ambito un'accezione opposta a quella classica. Ascesi significa qui non distacco dal mondo, ma fusione con esso, e tramite il raggiungimento di questa identit�, unione col divino. Il Dio che � nelle cose ha fatto un mondo infinito, e non poteva fare altrimenti. Gradualmente, il lettore del dialogo viene condotto nell'area del principio di pienezza, asse portante della teoria infinitisctica a livello teo-cosmologico. Il principuim plenitudis merita dunque una citazione completa. 9. Il principium plenitudis. Alla discussione della tesi aristotelica dello spazio chiuso, momento centrale del De infinito, si accompagna un uso estremamente radicale del principium plenitudis. Gi� nella Proemiale epistola leggiamo: �Coss� si magnifica l'eccellenza de Dio, si manifesta la grandezza de l'imperio suo: non si glorifica in uno, ma in soli innumerabili: non in una terra, un mondo, ma in diececento mila, dico in infiniti. Di sorte che non � vana questa potenza d'intelletto, che sempre vuole e puote aggiungere spacio a spacio, mole a mole, unitade ad unitade, numero a numero, per quella scienza che ne discioglie da le catene di uno angustissimo, e ne promove alla libert� d'un agustissimo imperio, che ne toglie dall'opinata povert� ed angustia alle innumerevoli ricchezze di tanto spacio, di s� dignissimo campo, di tanti coltissimi mondi; e non fa che circolo d'orizonte, mentito da l'occhio in terra e finto da la fantasia nell'etere spacioso, ne possa impriggionare il spirto sotto la custodia d'un Plutone e la merc� d'un Giove�215. Nel Dialogo primo, determinando la definitiva rottura con la tradizione aristotelica, Filoteo-Bruno aveva gi� spiegato: �Se il mondo � finito ed estra il mondo � nulla, vi dimando: ove � il mondo? ove � l'universo? Risponde Aristotele: � in se stesso. Il convesso del primo cielo � loco universale; e quello, come primo continente, non � in altro continente, perch� il loco non � altro che superficie ed estremit� di corpo continente; onde chi non ha corpo continente, non ha loco. - Or che vuoi dir tu, Aristotele, per questo, che "il luogo � in se stesso"?, che mi conchiuderai per "cosa estra il mondo"? Se tu dici che non v'� nulla; il cielo, il mondo, certo non sar� in parte alcuna [...]. Se dici (come certo mi par che vogli dir qualche cosa, per fuggir il vacuo ed il niente) che estra il mondo � uno ente intellettuale e divino, di sorte che Dio venga ad esser luogo di tutte le cose, tu medesimo sarai molto impacciato per farne intendere come una cosa in corporea, intellegibile e senza dimensione possa esser luogo di cosa dimensionata. Che se dici quello comprendere come una forma ed al modo con cui l'anima comprende il corpo, non rispondi alla questione dell'estra ed alla dimanda di ci� che si trova oltre e fuor de l'universo. E se tu vuoi escusare con dire, che dove � nulla e dove non � cosa alcuna, non � anco luogo, non � oltre, n� extra, per questo non mi contenterai; perch� queste sono paroli ed iscuse che non possono entrare in pensiero. Perch� � a fatto impossibile che con qualche senso o fantasia [...] possi farmi affirmare, con vera intenzione, che si trove tal superficie, tal margine, tal estremit�, extra la quale non sia o corpo o vacuo: anco essendovi Dio, perch� la divinit� non � per empire il vacuo, e per conseguenza non � in raggione di quella, in modo alcuno, di terminare il corpo; perch� tutto lo che se dice terminare, o � forma esteriore, o � corpo continente. Ed in tutti i modi che lo volessi dire, sareste stimato pregiudicatore alla dignit� della natura divina e universale�216. Ma ecco l'esposizione pi� completa del principium plenitudis217: �Filoteo. In somma, per venir direttamente al proposito, mi par cosa ridicola il dire che estra il cielo sia il nulla, e che il cielo sia in se stesso, e locato per accidente, idest per le sue parti. Ed intendasi quel che si voglia per accidente; che non pu� fuggir che non faccia de uno doi; perch� sempre � altro ed altro quel che � continente e quel che � contenuto; e talmente altro ed altro che, secondo lui medesimo, il continente � incorporeo ed il contenuto � corpo; il continente � immobile, il contenuto � mobile; il continente matematico, il contenuto fisico. Or sia che si volgia di quella superficie, constantemente dimandar�: che cos'� oltre quella? Se si risponde che � nulla, questo dir� esser vacuo, essere inane; e tal vacuo e tal inane che non ha mondo, n� termine alcuno olteriore; terminato per� citeriormente. E questo � pi� difficile ad imaginare, che il pensar l'universo essere infinito ed immenso. Perch� non possiamo fuggire il vacuo, se vogliamo ponere l'universo finito. Veggiamo adesso, se conviene che sia tal spcio in cui sia nulla. In questo spacio infinito si trova questo universo (o sia per caso o per necessit� o providenza, per ora non me ne impaccio). Dimando se questo spacio che contiene il mondo, ha maggiore aptitudine di contenere un mondo, che altro spacio che sia oltre. Fracastorio. Certo mi par che non; perch� dove � nulla, non � differenza alcuna; dove non � differenza, non altra ed altra aptitudine: e forse manco � attitudine alcuna dove non � cosa alcuna�218. Lo spazio del nostro mondo e quello esterno sono quindi identici: ma allora, come ha osservato acutamente Alexander Koyr�, �se sono tali � impossibile che lo spazio "al di fuori" sia trattato da Dio in maniera diversa da quello che � "all'interno". Siamo cos� costretti ad ammettere che non solo lo spazio, ma anche l'essere nello spazio � ovunque costituito allo stesso modo, e che, se nella nostra parte dello spazio infinito vi � un mondo, una stella - il sole circondato dai pianeti - allora ve ne sono in tutto l'universo�219. Si noti come nel ragionamento Bruno passi ripetutamente dal piano cosmologico a quello metafisico, dalla questione dell'universo a quella dell'essere. Questi passaggi e accostamenti gli sono permessi proprio in virt� della vitalizzazione della materia compiuta nel De la Causa, dove, nel III Dialogo, aveva attribuito la materia anche a Dio: parlare dell'universo significa parlare di Dio, ma solo in quanto �esplicato�. In quanto �complicato�, invece, Egli � Unum, e quindi rimane plotinianamente al di fuori della conoscenza umana positiva (mentre resta possibile una oculata teologia negativa). Continua dunque il discorso Elpinio: �Elpinio. N� tampoco inepzia alcuna. E delle due pi� tosto quella che questa. Filoteo. Voi dite bene. Coss� dico io che, come il vacuo ed inane (che si pone necessariamente con questo peripatetico dire) non ha aptitudine alcuna a ricevere, assai meno la deve avere a ributtare il mondo. Ma di queste due attitudini noi ne veggiamo una in atto, e l'altra non la possiamo vedere affatto, se non con l'occhio della raggione. Come dunque in questo spacio, equale alla grandezza del mondo (il quale dai platonici � detto materia), � questo mondo, coss� un altro pu� essere in quel spacio ed in innumerabili spacii oltre questo equali a questo. Fracastorio. Certo, pi� sicuramente possiamo giudicar in similitudine di quel che veggiamo e conoscemo, che in modo contrario di quel che veggiamo e conoscemo. Onde, perch� per il nostro vedere ed esperimentare l'universo non si finisce, n� termina a vacuo ed inane e di quello non � nuova alcuna, raggionevolmente doviamo conchiuder coss�; perch�, quando tutte l'altre raggioni fussero equali, noi veggiamo che l'esperimento � contrario al vacuo e non al pieno. Con dir questo, saremo sempre iscusati; ma con dir altrimente, non facilmente fugiremo mille accusazioni ed inconvenienti. Seguitate, Filoteo. Filoteo. Dunque, dal canto del spacio infinito, conosciamo certo che � attitudine alla recepzione di corpo, e non sappiamo altrimente. Tutta volta mi baster� avere che non ripugna a quella; almeno per questa caggione, che dove � nulla, nulla oltraggia. Resta ora vedere se � cosa conveniente che tutto il spacio sia pieno o non. E qua, se noi consideriamo tanto in quello che pu� essere quanto in quello che pu� fare, trovaremo sempre non sol raggionevole, ma ancora necessario, che sia. Questo acci� sia manifesto, vi dimando se � bene che questo mondo sia. Elpinio. Molto bene. Filoteo. Dunque � bene che questo spacio, che � equale alla dimension del mondo (il quale voglio chiamar vacuo, simile ed indifferente al spacio, che tu direste esser niente oltre che la convessitudine del primo cielo), sia talmente ripieno. Elpinio. Coss� �. Filoteo. Oltre, te dimando: credi tu che sicome in questo spacio si trova questa machina, detta mondo, che la medesima arebe possuto o potrebbe essere in altro spacio di questo inane? Elpinio. Dir� s�, bench� non veggio come nel niente e vacuo possiamo dire differenza di altro ed altro. Fracastorio. Io son certo che vedi, ma non ardisci di affirmare, perch� ti accorgi dove ti vuol menare. Elpinio. Affirmatelo pur sicuramente; perch� � necessario dire ed intendere che questo mondo � in uno spacio; il quale, se il mondo non fusse, sarebe indifferente da quello che � oltre il primo vostro mobile. Fracastorio. Seguitate. Filoteo. Dunque, sicome pu� ed ha possuto ed � necessariamente perfetto questo spacio per la continenza di questo corpo universale, come dici; niente meno pu� ed ha possuto esser perfetto tutto l'altro spacio. Elpinio. Il concedo; che per questo? Pu� essere, pu� avere: dunque � dunque ha? Filoteo. Io far� che, se vuoi ingenuamente confessare, che tu dica che pu� essere e che deve essere e che �. Perch� come sarebe male che questo spacio non fusse pieno, cio� che questo mondo non fusse; non meno, per la indifferenza, � male che tutto il spacio non sia pieno; e per consequenza l'universo sar� di dimensione infinita e gli mondi saranno innumerabili. Elpino. La causa perch� denno essere tanti, e non basta uno? Filoteo. Perch�, se � male che questo mondo non sia o che questo pieno non si ritrove, � al riguardo di questo spacio o di altro spacio equale a questo? Elpino. Io dico che � male al riguardo di quel che � in questo spacio, che indifferentemente si potrebbe ritrovare in altro spacio equale a questo. Filoteo. Questo, se ben consideri, viene tutto ad uno; perch� la bont� di questo essere corporeo che � in questo spacio o potrebe essere in altro equale a questo, rende raggione e riguarda a quella bont� conveniente e perfezione che pu� essere in tale e tanto spacio, quanto � questo, o altro equale a questo, e non ad quella che pu� essere in innumerabili altri spacii, simili a questo. Tanto pi� che, se � raggione che sia un buono finito, un perfetto terminato; improporzionalmente � raggione che sia un buono infinito; perch�, dove il finito bene � per convenienza e raggione, l'infinito � per absoluta necessit�220. Si noti la valenza analogica del ragionamento: se per Dio era possibile creare un mondo in questo spazio (e lo � stato), allora era altrettanto possibile crearlo in un altro spazio. Ma dato che lo spazio � uniforme, omogeneo, non si vede perch� Dio avrebbe dovuto creare un mondo qui piuttosto che l�, ovvero perch� mai ne avrebbe dovuto crearne uno solo. Ma qui il ragionamento vuole ancora �convincere�. Se passiamo dal livello dialettico a quello pi� puro, del ragionamento metafisico, deve senz'altro essere abbandonata l'idea di creazione. Occorre rifletterci un attimo per convincersene: non si tratta pi� di trovare le motivazioni di una creazione infinita, ma piuttosto i modi di un infinito dispiegamento, di una infinita esplicazione. Nel De la Causa avevamo visto che Dio e Universo coincidono: l'idea della creazione deve quindi essere del tutto abbandonata, per essere sotituita da quella di esplicazione. Ci troviamo cos� di fronte al secondo principio fondamentale per l'affermazione dell'infinito: l'argomento teologico della infinita potenza divina, che si attua mediante una infinita esplicazione. 10. Esplicazione infinita della infinita potenza divina. Abbiamo notato che il principio di pienezza non � sufficiente, o meglio pu� essere frainteso, nel garantire l'infinit� dell'universo. Il suo complemento naturale � dunque la tesi della infinita esplicazione divina, la cui esposizione si collega direttamente al passo sopra citato. Prosegue dunque Filoteo-Bruno: �Filoteo. In questo siamo concordanti, quanto a l'infinito incorporeo. Ma che cosa fa che non sia convenientissimo il buono, ente, corporeo infinito? O che repugna che l'infinito, implicato nel semplicissimo ed individuo primo principio, non venga esplicato pi� tosto che in questo suo simulacro infinito ed interminato, capacissimo de innumerabili mondi, che venga esplicato in s� anguste margini, di sorte che par vituperio il non pensare che questo corpo, che a noi par vasto e grandissimo, al riguardo della divina presenza non sia che un punto, anzi un nulla? Elpino. Come la grandezza de Dio non consiste nella dimensione corporale in modo alcuno (lascio che non li aggionge nulla il mondo), coss� la grandezza del suo simulacro non doviamo pensare che consista nella maggiore e minore mole di dimensioni. Filoteo. Assai bene dite, ma non rispondete al nervo della raggione; perch� io non richiedo il spacio infinito, e la natura non ha spacio infinito, per la dignit� della dimensione o della mole corporea, ma per la dignit� delle nature e specie corporee; perch� incomparabilmente meglio in innumerevoli individui si presenta l'eccellenza infinita, che in quelli che sono numerabili e finiti. Per�, bisogna che di un inaccesso volto divino sia un infinito simulacro, nel quale, come infiniti membri, poi si trovino mondi innumerabili, quali sono gli altri. Per� per la raggione de innumerabili gradi di perfezione, che denno esplicare la eccellenza divina incorporea per modo corporeo, danno essere innnumerabili individui, che son questi grandi animali (de quali uno � questa terra, diva madre che ne ha parturiti ed alimenta e che oltre non ne riprender�), per la continenza di questi innumerabili si richiede un spacio infinito. Nientemeno dunque � bene che siano, come possono essere, innumerebili mondi simili a questo, come ha possuto e pu� essere ed � bene che sia questo. Elpino. Diremo che questo mondo finito, con questi finiti astri, comprende la perfezione de tutte cose. Filoteo. Possete dirlo, ma non gi� provarlo; perch� il mondo che � in questo spacio finito, comprende la perfezione di tutte quelle cose finite che son in questo spacio; ma non gi� dell'infinite che possono essere in altri spacii innumerabili�221. Precedentemente, l'infinit� dell'universo sembrava perfettamente stabilita, grazie all'adozione del principio di pienezza. Ma che fare dell'antica obiezione medievale, secondo la quale il concetto di infinito si pu� applicare soltanto a Dio, e a causa della quale Nicola Cusano aveva preferito adottare per l'universo una definizione imprecisa come quella di interminatum? Ovviamente Bruno non sta negando qui quello che ha affermato in precedenza, e diffusamente, ovvero che - assolutamente parlando - esiste una differenza ontologica tra Dio e Universo, in quanto l'infinit� di Dio � intensiva e perfettamente semplice, mentre quella dell'universo � estensiva e quindi soggetta al dominio del molteplice. 11. L'infinit� della Natura. �La natura [...] ha spacio infinito [...] perch� incomparabilmente meglio in innumerabili individui si presenta l'eccellenza infinita, che in quelli che sono numerabili e finiti�222. Ancora una volta, il ragionamento coinvolge il piano dell'etica: in Dio � impensabile sia l'ozio che l'invidia. Potenza e operazione solo un solo processo: �perch� vogliamo o possiamo noi pensare che la divina efficacia sia ociosa? perch� vogliamo dire che la divina bont� la quale si pu� communicare alle cose infinite e si pu� infinitamente diffondere, voglia essere scarsa ed astrengersi in niente, atteso che ogni cosa finita al riguardo de l'infinito � niente? perch� volete quel centro della divinit�, che pu� infinitamente amplificarse, come invidioso, rimaner pi� tosto sterile che farsi comunicabile, padre fecono, ornato e bello? voler pi� tosto comunicarsi diminutamente e, per dir meglio, non comunicarsi, che secondo la raggione della gloriosa potenza esser suo? perch� deve esser frustrata la capacit� infinita, defraudata la possibilit� di infiniti mondi che possono essere, pregiudicata la eccellenza della diina imagine che deverebe pi� risplendere in uno specchio incontratto secondo il suo modo di essere infinito, immenso?�223. Tornano in primo piano le distinzioni metafisiche del De la Causa, che qui emergono sul piano della differente infinit� di Dio e dell'universo esplicato: �Come vuoi tu che Dio, e quanto alla potenza e quanto all'operazione e quanto all'effetto (che in lui son la medesima cosa), sia determinato, e come terminio della convessitudine di una sfera, pi� tosto che, come dir si pu�, terminio interminato di cosa interminata? Terminio, dico, senza termine, per esser differente la infinit� dell'uno da l'infinit� dell'altro: perch� lui � tutto l'infinito complicatamente e totalmente, ma l'universo � tutto in tutto (se pur in modo alcuno si pu� dir totalit�, dove non � parte n� fine) explicatamente, e nontotalmente; per il che l'uno ha raggion di trmine, l'altro ha raggion terminato, non per differenza di finito ed infinito, ma perch� l'uno � infinito e l'altro � finiente secondo la ragione del totale e totalmente essere tutto in tutto quello che, bench� sia tutto infinito, non � per� totalmente infinito: perch� questo ripugna alla infinit� dimensionale�224. Alle insistenze di chiarimenti di Elpinio, Filoteo-Bruno risponde: �io dico l'universo tutto infinito, pech� non ha immagine, terminio, n� superficie; dico l'universo non essere totalmente infinito, perch� ciascuna parte che di quello possiamo prendere, � finita, e de mondi innumerabili che contiene, ciascuno � finito. Io dico Dio tutto infinito, perch� da s� esclude ogni termine ed ogni suo atributo � uno ed infinto; e dico Dio totalmente infinito, perch� tutto lui � in tutto il mondo, ed in ciscuna sua parte infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinit� dell'universo, la quale � totalmente tutto in tutto, e non in queste parti (se pur, referendosi all'infinito, possono esser chiamate parti) che noi possiamo comprender in quello�225. Paradossalmente, l'infinit� di Dio � superiore a quella dell'universo proprio perch� si risolve in una unit� semplicissima, al contrario dell'universo esplicato. Non convince quindi Koyr� quando sostiene che �all'antica e famosa quaestio disputata: perch� Dio non ha creato un mondo infinito - questione cui gli scolastici medievali davano una buona risposta, negando la possibilit� stessa di una natura infinita - Bruno risponde semplicemente, ed � il primo a farlo: Dio lo ha creato, ed anche: Dio non poteva fare altrimenti. Infatti il Dio di Bruno non pu� che esplicarsi ed esprimersi in un mondo infinito, infinitamente ricco ed infinitamente esteso�226. Non emerge infatti da un'affermazione come questa l'assoluta mancanza in Bruno dell'idea di creazione ex nihilo. A proposito si dovr� ricordare quanto sosteneva Michelangelo Ghio. 12. Espressione e creazione. Osservando giustamente che per Bruno non si pu� mai parlare di creazione in senso assoluto, ma casomai di espressione, Ghio sostiene che �In Bruno la presenza del linguaggio e della tradizione speculativa, delle metafore e delle immmagini del neoplatonismo cristiano vengono usati per costruire quelle categorie dell'immanenza che per Deleuze costituiscono gli elementi strutturali del concetto di espressione, come rapporto di complicatio-explicatio tra Dio e il mondo. [...] Bruno esprime un'interpretazione del rapporto tra Dio e mondo completamente incompatibile con una concezione creativistica: non pi� gerarchia degli esseri, come serie di emanazioni successive e subordinate le une alle altre, ma compresenza di due movimenti correlativi di inerzia e di implicazione. E' questo infatti il senso conferito da Bruno alla coppia di concetti complicatio-explicatio, risovendoli appunto in categorie dell'immanenza. Al movimento di inerenza, come presenza delle cose in Dio, corrisponde quello di implicazione, come presenza di Dio nelle cose. Le cose restano inerenti a Dio, che le complica, come Dio resta implicato nelle cose che lo esplicano. Cos� il rapporto di espressione tra Dio e mondo si configura in modo nuovo rispetto alla tradizione del platonismo cristiano: Dio � identico alla natura - complicative -, la natura � identica a Dio -esplicative - [...]. Non solo l'eminenza della causa e il concetto di gerarchia, familiari alla tradizione del platonismo cristiano qui non hanno pi� luogo, ma fra Dio e natura non ci pu� essere che uguaglianza come identit� nella distinzione. E' in sostanza una posizione monista e immanentistica, per cui non solo cade il concetto di predicazione analogica, sostituito da una nozione sostanzialmente univoca dell'essere, ma la stessa concezione dell'infinit� dell'universo dipende dalla risoluzione in senso nettamente immanentistico del pensiero del Cusano "deve essere infinito, cio� illimitato, l'universo, cusinianamente, l'esplicazione dell'unit�, attualmente infinita, di Dio" (Augusto Guzzo227)�228. Non esiste tra Dio e l'universo una differnza come tra finito e infinito. L'infinito, se inteso nella totalit� dei suoi attributi, allora � Dio (totalmente infinito): se invece si considera semplicemente l'assenza di margini o confini - e qui sembra meglio valere il concetto di interminatum - e la mancanza di una infinit� assoluta (perch� ogni mondo � finito in se stesso), allora si ha a che fare con l'universo. Riemerge insomma il significato del principuim plenitudis: l'onnipotenza di Dio non sarebbe pienamente tale se non producesse gli innumerabili mondi nell'universo lasciandolo invece vuoto �per cui non solamente verrebbe suttratta infinita perfezionedello ente, ma anco infinita maest� attuale allo efficiente nelle cose fatte se son fatte, o dependenti se sono eterne. Quale raggione vuole che vogliamo credere, che l'agente che pu� fare un buono infinito, lo fa finito?�229. Nel secondo Dialogo la confutazione delle tesi aristoteliche contro l'infinito passa per l'enunciazione e la giusitificazione del principio ex nihilo nihil fit e dalla rinnovata discussione delle tesi copernicane. Anzitutto Filoteo-Bruno chiarisce che il vuoto, nell'universo infinito non esiste: �Noi non diciamo vacuo alcuno, come quello che sia semplicemente nulla; ma secondo quella raggione, con la quale ci� che non � corpo resista sensibilmente, tutto suole esser chiamato, se ha dimensione, vacuo: atteso che comunemente non apprendeno l'esser corpo, se non con la propriet� di resistenza; onde dicono che, sicome non � carne quello che non � vunerabile, coss� non � corpo quello che non resiste. In questo modo diciamo esser un infinito, cio� una eterea regione immensa, nella quale sono innumerevoli ed infiniti corpi, come la terra, la luna ed il sole; li quali da noi son chiamati mondi composti di pieno e di vacuo: perch� questo spirito, questo aria, questo etere non solamente � circa questi corpi, ma ancora penetra dentro tutti, e viene insito in ogni cosa�230. Poi viene la confutazione del De coelo, che verr� a suo tempo ripresa nel libro II del De immenso. In breve: Elpinio, che riporta nella discussione le tesi di Aristotele, spiega come lo Stagirita dimostri che non esiste un corpo infinito: �Bisogna dunque, che veggiamo, se � possibile, che sia un corpo semplice di grandezza infinita; il che primeramente deve esser mostrato impossibile in quel primo corpo, che si muove circularmente; appresso, negli altri corpi; perch�, essendo ogni corpo o semplice o composto, questo, che � composto, siegue la disposizion di quello che � semplice. Se, dunque, gli corpi semplici non sono infiniti n� di numero n� di grandezza, necessariamente non potr� esser tale corpo composto. Filoteo. Promette molto bene; perch�, se lui provar�, che il corpo il quale � chiamato continente e primo, sia continente, primo e finito, sar� anco soverchio e vano provarlo appresso di corpi contenuti. Elpinio. Or prova che il corpo rotondo non � infinito. "Se il corpo rotondo � infinito, le linee, che si partono dal mezzo, saranno infinite, e la differenza d'un semidiametro dall'altro (gli quali, quanto pi� si discostano dal centro, tanto maggior distanza acquistano) sar� infinita; perch� dalla addizione delle linee secondo la longitudine � necessario che siegua maggior distanza; e per�, se le linee sono infinite, la distanza ancora sar� infinita. Or � cosa impossibile, che il mobile possa trascorrere distanza infinita: e nel moto circolare � bisogno, che da una linea semidiametrale del mobile venga al luogo dell'altro ed altro semidiametro". Filoteo. Questa raggione � buona, ma non � a proposito contra l'intenzion de gli aversarii. Perch� giammai s'� ritrovato s� rozzo e d'ingegno s� grosso, che abbia posto il mondo infinito e magnitudine infinita, e quella mobile. E mostra lui medesimo essersi dimenticato di quel che riferisce nella sua Fisica: che quei che hanno posto uno ente ed uno principio infinito, hanno posto similmente immobile; e n� lui ancora, n� altro per lui, potr� nominar mai alcun filosofo o pur uomo ordinario che abbia detto magnitudine infinita mobile. Ma costui, come sofista, prende una parte della sua argumentazione dalla conclusione dell'avversario, supponendo il proprio principio, che l'universo � mobile, e che � di figura sferica. Or vedete, se de quante raggioni produce questo mendico, se ne ritrove pur una che argumente contra l'intenzion di quei, che dicono uno infinito, inmobile, infigurato, spaciosissimo continente de innumerabili mobili, che son gli mondi, che son chiamati astri da altri, e da altri sfere; vedete un poco in questa ed altre raggioni, se mena presuppositi conceduti da alcuno. Elpinio. Certo, tutte le sei raggioni sono fondate sopra quel presupposito, cio� che l'avversario dica, che l'universo sia infinito, e che gli admetta, che quello infinito sia mobile: il che certo � una sciocchezza [...]�231. Per Bruno quindi Aristotele ha fatto un po' il sofista: in realt� basterebbe considerare l'universo infinito non mobile per far cedere in un sol colpo tutte le sue raggioni e argumenti. L'universo non si pu� muovere per il semplice motivo che se si muovesse avrebbe bisogno di uno spazio per farlo: ma l'universo stesso � lo spazio, quindi non ha un luogo in cui potersi muovere. Diverso � il discorso dei singoli mondi: essi sono immersi in una immensa eterea reggione, l'universo, ed hanno quindi un luogo, uno spazio per muoversi: dir� infatti Filoteo-Bruno pi� avanti che �altro � dir parti nell'infinito, altro dell'infinito� e �nell'infinito parti finite innumerabili hanno azione e passione�232. L'infinito � quindi immobile, mentre al suo �interno� � possibile il movimento dei grandi animali animati, quali sono i mondi, le stelle, e la vita che si genera in essi: �Concedesi dunque, non che l'infinito sia mobile ed alterabile, ma che in esso sieno infiniti mobili ed alterabili; non che il finito patisca da infinito, secondo fisica e naturale infinit�, ma secondo quella che procede da una logica e razionale aggregazione che tutti gravi computa in un grave, bench� tutti gravi non siano un grave. Stante dunque l'infinito e tutto innmobile, inalterabile, incorrottibile, in quello possono essere, e vi son moti ed alterazioni innumerabili e infiniti, perfetti e compiti�233. Il discorso del secondo dialogo si avvia alla conclusione - significativamente - tutta astronomica: �Elpinio. Mi avete molto soddisfatto, di sorte che mi par cosa soverchia d'apportar quell'altre ragioni salvaticine con le quali [Aristotele] vuol dimostrar che estra il cielo non sia corpo infinito [...]. Filoteo. Io credo ed intendo che oltre ed oltre quella margine imaginata del cielo sempre sia eterea regione, e corpi mondani, astri, terre, soli; e tutti sensibili absolutamente secondo s� ed a quelli che vi sono dentro o da presso, bench� non sieno sensibili a noi per la lor lontanaza e distanza�234. Programmaticamente, il Dialogo terzo mette in scena le conseguenze dell'abbattimento dell'ultima sphaera mundi: �Uno dunque � il cielo, il spacio immenso, il seno, il continente universale, l'eterea regione per la quale il tutto discorre e si muove. Ivi innumerabili stelle, astri, globi, soli e terre sensibilmente si veggono, ed infiniti raggionevolmente si argumentano. L'universo immenso ed infinito � il composto che risulta da tal spacio e tanti compresi corpi�235. L'omogeneit� dell'universo porta dunque a due conclusioni: anzitutto l'universo � raggionevolmente infinito (poco importa se con i sensi si possono vedere solo un numero limitato di stelle, perch� il filosofo, come si � spiegato, deve fare affidamento sul senso interiore e non su quello esterno); in secondo luogo, proprio in quanto omogeneo, l'universo � infinitamente popolato di mondi abitati: �sono dunque soli innumerabili, sono terre infinite, che simultaneamente circuiscono quei soli; come veggiamo questi sette circuire questo sole a noi vicino�236. �onde possiamo stimare che de stelle innumerabili sono altre tante lune, altre tanti globi terrestri, altre tanti mondi simili a questo; circa gli quali par che questa terra si volte, come quelli appaiono rivolgersi ed aggirarsi circa questa terra�237. Si noti la radicalit� del metodo analogico: il ragionamento � tutto composto di momenti che si fondano sul principio dell'analogia. Come Dio � infinito, cos� � infinita la sua explicatio, ossia l'universo. Cos� come � abitato questo mondo, cos� sono abitati i mondi infiniti che popolano l'universo. Il tutto sorretto naturalmente dal principio teologico (di assai sospetta teologia ereticale) di ragion sufficiente. 13. Alcune buone intuizioni riguardo alle leggi fisiche e cosmologiche. Convincente, come � stato notato238, � la spiegazione razionale del motivo per cui il luogo dove stiamo non possa non apparirci il centro del mondo, sia esso la Terra, la Luna o il Sole: �non possiamo apprendere il moto se non per certa comparazione e relazione a qualche cosa fissa: perch�, tolto uno che non sappia che l'acqua corre e che non vegga le ripe, trovandosi in mezzo l'acqui entro una corrente nave, non arrebbe senso del moto di quella�239. Si tratta di un embrionale principio di relativit� del moto? La conclusione del dialogo vede porsi in primo piano la sistematizzazione del principio binario della realt� (seguendo qui la coincidentia oppositorum di Cusano). La tematica dell'Unum, se posta ambiguamente, pone infatti dei seri interrogativi: �Fracastorio. [...] Son quenque infiniti gl'innumerabili e principali membri de l'universo, di medesimo volto, faccia, prerogativa, virt� ed effetto. Burchio. Non volete che tra altri e altri vi sia differenza alcuna? Fracastorio. Avete pi� volte udito che quelli son per s� lucidi e caldi, nella composizion di quali predomina il fuoco; gli altri risplendeno per altrui partecipazione, che son per s� freddi ed oscuri; nella composizion de quali l'acqua predomina. Dalla qual diversit� e contrariet� depende l'ordine, la simmetria, la complessione, la pace, la concordia, la composizione, la vita. Di sorte che gli mondi son comspoti di contrarii [...]. Il che, credo, intese quel sapiente che disse Dio far pace ne gli contrari sublimi, e quell'altro che intese il tutto esser consistente per lite di concordi ed amor litiganti�240. La filosofia binaria presuppone insomma un uso radicale della coincidentia oppositorum: l'universo esiste solo in quanto � possibile l'incontro degli opposti. Estremamente affascinante � l'immagine di questo incontro, descritta da Bruno in termini di oridne, simmetria, pace, concordia, ovvero armonia. L'anima mundi, dicevamo, si esplica in una azione che � anzitutto armonica, direi artistica. Anche da questa prospettiva � dunque possibile cogliere il divino che c'� nel mondo. I singoli atomi della vita, le monadi, vengono regolati nei loro movimenti dall'intelletto superiore, che conferisce a loro un percorso ed un movimento ben preciso. Nell'universo infinito, dicevamo, il caos anassagoreo � del tutto assente. Nel dialogo Quarto infatti, Bruno mette in scena un abbozzo di teoria materialistico-atomistica e vitalistica insieme, spiegando che alla base della costituzione materiale delle cose ci sono dei corpi indissolubili, delle specie di atomi della vita (nel De minimo parler� apertamente di monade e atomo, l'una minimo metafisico e l'altro fisico), che presiedono alla formazione di nuovi composti, nella scia della vicissitudine universale: �quanto appartiene alli primi corpi indivisibili, de quali originalmente � composto il tutto, � da credere che per l'immenso spacio hanno certa vicissitudine, con cui altrove influiscano ed affluiscano altronde. E questi, se pur per providenza divina, secondo l'atto, non costituiscano nuovi corpi e dissolvano gli antichi, almeno hanno tal facult�. Perch� veramente gli corpi mondani sono dissolubili; ma pu� essere che o da virt� intrinseca o estrinseca sieno eternamente persistenti medesimi, per aver tale e tanto influsso, quale e quanto hanno efflusso gli atomi, e coss� perserverino medesimi in numero�241. Ovviamente l'idea della dissoluzione dei corpi � ripresa, quasi identica, dai trattati ermetici tradotti da Ficino. Notevole � poi una specie di anticipazione di quella che sar� la legge di Galielo sulla caduta dei gravi: �E' certo e assai esperimentato nelle parti de la terra, che, da certo termine del loro recesso e lontananza, ritornar sogliono al suo continente; a cui tanto pi� s'affrettano quanto pi� s'avvicinano�242. Interessante sarebbe a questo proposito uno studio approfondito sul rapporto tra teorie magiche e teorie pseudo-scientifiche in Giordano Bruno: che cosa � magico e che cosa scientifico, in senso moderno, nel pensiero del Nolano? A molti di questi interrogativi hanno gi� risposto Frances Yates e Alexander Koyr�, ma da due posizioni opposte e abbastanmza radicali. Mentre per la Yates Bruno � un rappresentante del magismo rinascimentale, ed anche uno dei pi� radicali (sono queste le conslusioni del suo Giordano Bruno e la tradizione ermetica), e va quindi studiato esclusivamente secondo un quadro interpretativo magico-ermetico, per Koyr� addirittura �Giordano Bruno [...] non � un filosofo molto buono. L'unione di Lucrezio e del Cusano non produce un miscuglio molto coerente; e bench� [...] il suo esame delle obiezioni tradizionali al moto della terra sia piuttosto buono, il migliore di cui siano state oggetto prima di Galileo, come scienziato egli � mediocre, non capisce la matematica ed ha una concezione dei moti celesti molto bizzarra [...]: in realt� la sua concezione del mondo � vitalistica e magica; i suoi pianeti sono esseri animati che si muovono liberamente ed armonicamente nello spazio�243. Personalmente credo che sia tempo di mettere da parte soluzioni interpretative del tutto univoche, per tentare invece di studiare i singoli aspetti del pensiero bruniano nelle loro reciproche valenze di volta in volta magiche, teologiche, schiettamente logico-razionali o addirittura, come nel caso che abbiamo visto, quasi scientifiche. Il sincretismo del nolano non si lascia insomma definire e catturare da un solo punto di vista. Prima di concludere l'opera, dopo aver messo in campo teorie pseudo-scientifiche, Bruno non pu� infatti far riemergere l'elemento ermetico: le cose dette �son cose antique che rivegnono, son veritadi occolte che si scuoprono: � un nuovo lume che, dopo lunga notte, spunta all'orizzonte ed emisfero della nostra cognizione ed a poco a poco s'avvicina al meridiano della nostra intelligenza�244. Al solito, l'immagine � quella della verit� occulta che viene di nuovo portata alla luce del sole: ritorna l'antiqua, vera filosofia, preannunciata dall'aurora copernicana. Riemerge quindi il tema della verit�: �Chi vuol perfettamente giudicare [...] deve saper spogliarsi della consuetudine di credere; deve l'una e l'altra contraddittoria estimare equalmente possibile, e dismettere a fatto quella affezione di cui � imbimbito da nativit�: tanto quella che ne presenta alla conversazion generale, quanto l'altra per cui mediante la filosofia rinascemo, morendo al volgo, tra gli studiosi stimati sapienti dalla moltitudine ed in un tempo. Voglio dire, quando accade controversia tra qusti ed altri stimati savii da altre moltitudini ed altri tempi, se vogliamo rettamente giudicare, doviamo richiamare a mente quel che dice il medesimo Aristotele, che, per aver riguardo a poche cose, talvolta facilmente gittamo sentenze; ed oltre, che l'opinione talvolta per forza di consuetudine s� fattamente s'impadronisce del nostro consentimento che tal cosa ne par necessaria, ch'� impossibile; tal cosa scorgemo ed apprendemo per impossibile, ch'� verissima e necessaria�245. La nova filosofia esige dunque una radicale conversione metodologica: il mago-filosofo deve immediatamente lasciar da parte pregiudizi e convincimenti personali, per far posto ad una nuova etica, tutta razional-filosofica. 14. Conclusione del Dialogo. Al di l� delle singole risposte alle argomentazioni aristoteliche contro l'infinito (risposte che coinvolgono tutte la dottrina dell'anima mundi), � necessario notare la sottolineatura bruniana della dialetticit� dell'esistente. Riaffiora infatti la problematica, fondamentale, della filosofia binaria, ovvero il problema della coincidentia oppositorum: �[...] � falsissimo, che li contrarii massime sieno discosti; perch� in tutte le cose questi vengono naturalmente congionti ed uniti; e l'universo, tanto secondo le parti principali, quanto secondo le altri conseguenti, non consiste se non per tal congionzione ed unione�246. E' falsa dunque la filosofia dei contrari che vuole (seguendo il principio di non contraddizione aristotelico) gli opposti assolutamente distanti tra loro, perch� di fatto in tutte le cose essi vengono naturalmente congiunti ed uniti nel singolo esistente: �non � contra raggione la nostra filosofia, che reduce ad un principio e referisce ad un fine e fa coincidere insieme gli contrari, di sorte che � un soggetto primo dell'uno e dell'altro; dalla qual coincidenza stimiamo ch'al fine � divinamente detto e considerato che li contraii son ne gli contrarii, onde non sia difficile di pervenire a tanto che si sappia come ogni cosa � di ogni cosa�247. La conclusione del Dialogo � che �Non bisogna dunque cercare, se estra il cielo sia il loco, vacuo o tempo; perch� uno � il loco generale, uno il spacio immenso che chiamar possiamo liberamente vacuo; in cui sono innumerabili ed infiniti globi, come vi � questo che vivemo e vegetamo noi. Cotal spacio lo diciamo infinito, perch� non � raggione, convenienza, possibilit�, senso o natura che debba finirlo: in esso sono infiniti mondi simili a questo, e non differenti in geno da questo; perch� non � raggione n� difetto di facult� naturale, dico tanto potenza passiva quanto attiva, per la quale, come in questo spacio circa noi ne sono, medesimamente non ne sieno in tutto l'altro spacio che di natura non � differente ed altro da questo�248. L'infinito che viene presentato nell'ultimo dei dialoghi metafisici pubblicati in Inghilterra � dunque, costantemente, di tipo analogico: l'analogia sta infatti alla base del metodo epistemologico, essendo l'ars memoriae fondata proprio sull'idea di similitudine, di cui l'umbra � velo e medium conoscitivo al tempo stesso. CAPITOLO VI BRUNO E IL NEOPLATONISMO �[...] nemmeno l'universo � una vera essenza, ma un'immagine della vera Essenza, la quale possiede l'essere senza alcun rapporto con le altre cose che sono in essa. Quaggi�, invece, anche il substrato � infecondo e non � capace di essere ente - anche le altre cose, infatti, non derivano da esso, poich� � un'ombra e su questa ombra scorre via ogni immagine come cosa dipinta�249. 1. Motivi paralleli e analogie concettuali. La presenza di schemi neoplatonici nel pensiero di Bruno � stata pi� volte messa in rilievo dalla critica, ma non senza qualche ambiguit�. In effetti, soprattutto a livello terminologico, le analogie con la metafisica neoplatonica sembrerebbero essere evidenti: per Bruno - come per Plotino - l'Uno � causa metafisica del molteplice e assolutamente non-conoscibile nella sua essenza (le sole determinazioni che si possono dare sono appunto Uno, Causa prima, Bene assoluto, Infinito), sorgente e fine ultimo di ogni essere. Plotino parla poi di due ipostasi dell'Uno - l'Intelletto e l'Anima, mentre l'ultimo grado del processo generativo � costituito dal mondo materiale. Perci� i due gradi estremi del processo sono da una parte l'Uno (identificato per analogia con la Luce infinita), dall'altra il mondo (identificato a sua volta con le tenebre, il punto pi� distante dalla luce). Tra i due gradi estremi vi sono quelli intermedi che nel loro allontanamento dalla perfezione dell'Uno manifestano uno svolgimento sempre maggiore verso la molteplicit�. La stessa concezione della materia appare in un primo momento analoga a quella neoplatonica: per Plotino la materia � necessaria per il porsi di un essere altro rispetto all'Unum (perch� altrimenti ci sarebbe solitudine assoluta): l'idea nolana della scala naturae � inoltre simmetrica a quella continuit� che per Plotino unisce il mondo mediante un continuo perfezionarsi-semplificarsi, fino all'assolutamente semplice, all'Uno. Anche la concezione del male � in effetti risolta dal Bruno nell'idea del non-essere, della privazione: il male non esiste come realt� opposta al bene, ma solo come privazione del bene assoluto. Plotino inoltre aveva pensato ad un processo di elevazione dell'anima, che per molti aspetti richiama quell'idea dell'ascensus mistico che ho tentato di mostrare come fondamentale nel quadro antropologico del Bruno. L'estasi, che rappresenta anche per il Nolano un momento di sublime elevazione dell'anima e di contemplazione dell'Uno, � per Plotino l'espressione pi� perfetta del desiderio di trascendere ogni orizzonte finito. 2. L'arch� e il molteplice. Esistono tuttavia delle differenze. Malgrado siano evidenti queste analogie - soprattutto terminologiche - con il pensiero di Plotino, sono convinto che il Nolano si distacchi dagli schemi neoplatonici proprio sul terreno della concezione dell'Uno e della sua trascendenza. Per mettere in rilievo questa differente visione � necessario analizzare anzitutto il passaggio dall'arch� al molteplice. Aldo Magris aveva osservato: �L'acuto sguardo di Plotino penetra nel cuore di quel problema dell'arch� da cui la filosofia greca aveva avuto origine quasi otto secoli prima. Anche per lui il principio dev'essere da un lato assolutamente semplice, dall'altro capace di dar ragione di tutta la molteplicit� dell'universo�250. Leggiamo infatti nelle Enneadi: �Se c'� qualcosa dopo il Primo, � necessario o che esso derivi direttamente da Lui, o si riporti a Lui attraverso intermediari: c'� dunque un ordine di esseri di secondo grado e un ordine di esseri di terzo grado; l'ordine di secondo grado risale al Primo, il terzo risale al secondo. E' necessario infatti che il primo sia semplice, anteriore a tutte le cose e diverso da tutto ci� che � dopo di Lui, esistente in s�, non mescolato con gli esseri che derivano da Lui e capace nondimeno di essere presente, in un suo modo, nelle altre cose�251. Il problema dell'arch� � comune, evidentemente, sia a Plotino che a Bruno; ma le rispettive soluzioni differiscono sottilmente. Per Plotino il mondo � emanazione (nel senso di generazione) dell'Uno: l'Uno, pur �capace di essere presente, in un suo modo, nelle altre cose� tuttavia � assolutamente trascendente: �non [� infatti] mescolato con gli esseri che derivano da Lui�. Il molteplice del mondo mantiene dell'Unum solo una traccia, un segno dell'arch� a cui � destinato a far ritorno. Nell'atto generativo avviene il distacco dall'arch� al molteplice: la distanza ontologica tra Generante e generato verr� mantenuta tramite un ordine ben preciso - gerarchico - in cui vengono a trovare posto tutti gli esseri. L'ordine degli esseri � quindi scandito da un depotenziamento a livello ontologico: l'Uno riflette la propria perfezione negli enti solo indirettamente, e sempre pi� debolmente, tramite la mediazione delle ipostasi. Il mondo materiale risulta quindi al di fuori della vera realt� - quella per cos� dire divina, dell'Unum - che si esaurisce nel mondo ipostatico. La concezione plotiniana dell'immagine - che si risolve a livello metafisico in una assenza - risente di questa impostazione: il mondo materiale � solo apparenza, privazione della vera realt�. Il passaggio dall'arch� al molteplice si verifica solo per mezzo di un decadimento ontologico: il molteplice � dispersione di luce, privazione di unit�. L'arch� non sar� mai equivalente a tutto il molteplice. Nel caso del Nolano, invece, l'esigenza unitaria non conduce affatto ad un depotenziamento dell'essere dall'alto al basso, in una discesa dall'Uno verso la realt� materiale. Per Bruno infatti l'Uno � anche concepibile come totalit�: l'Uno � (tutta) la realt� materiale (l'universo, se inteso come totalit�, � Unum e coincide con Dio). L'Unum non � mai - ontologicamente - n� superiore, n� trascendente, n� separato dal molteplice. Ma per mettere meglio in rilievo queste diverse prospettive � necessario analizzare in particolare le differenti concezioni del mondo e della materia. 3. La concezione del mondo e della materia: neoplatonismo e nolana filosofia a confronto. Ha notato con acutezza Arrigo Pacchi: �Alla base della dottrina bruniana della natura sta una materia - prima - concepita come una delle due sostanze - l'altra � la forma - immediatamente riconducibili all'Uno: ma si noti che la forma non allontana, mediandola, la materia dall'Uno, come nel neoplatonismo, ma si colloca al medesimo suo livello; anzi, materia e forma costituiscono due aspetti di una stessa sostanza, posto che la materia non viene a ricevere le dimensioni come di fuora, ma a mandarle e cacciarle dal seno, e ci� vale anche per le altre forme della corporeit�, l'aristotelica materia seconda. Ma in quanto prima, la materia � di per s� informe e inalterabile: sorge quindi il problema del modo in cui essa d� luogo alle forme e cio� alle variazioni qualitative corporee della materia seconda. Bruno risponde alla questione ricorrendo alli primi corpi indivisibili, de' quali originalmente � composto il tutto, gli atomi, corpuscoli insensibili, come del resto � insensibile la materia prima, ma solidi e sferici, le cui aggregazioni e disaggregazioni danno ragione di tutte le variazioni, chimiche e qualitative, del corporeo�252. Leen Spruit ha invece sostenuto che �La teoria della materia di Bruno � oggetto di cambiamenti notevoli�253: nel De umbris la materia sarebbe equiparata alle tenebrae e solo successivamente, nel quadro metafisico del De la Causa, vedrebbe una certa rivalutazione. In effetti all'interno della struttura metafisica del De umbris la materia � molto vicina al prope nihil plotiniano: la materia viene ancora associata all'immagine delle tenebrare, poich� nell'ordo & connexio rerum dell'universo la materia � effettivamente il punto pi� distante dalla lux divina254. Ma quando Bruno parla di materia intesa come tenebrae - � bene non dimenticarlo - sta ancora delineando la struttura della conoscenza, l'ordine epistemologico, non quello ontologico. Nella Cena il Nolano aveva seriamente condannato un utilizzo indomito del senso esterno: chi fa affidamento solo sui sensi - aveva sostenuto - coglie solo l'aspetto esteriore della realt� (cio� quello materiale, che pu� trarre facilmente in inganno). Per questo nel De umbris la materia era stata accostata all'immagine delle tenebrae: non per la sua distanza ontologica dall'Unum (come avviene invece in Plotino), ma per la sua incapacit� di evidenziare pienamente il divino, a livello gnoseologico. L'Unum di per s� � tutt'altro che trascendente il mondo e la materia, ma � piuttosto concepito come una forza suprema che comprende il tutto. Ecco perch� della divina essenza l'intelletto umano non pu� conoscere nulla se non per modo di vestigio, di riflesso, di immagine. La svalutazione della materia operata nel De umbris � quindi solo apparente: prevede insomma la negazione che si possa conoscere qualcosa solo tramite la materia (solo cio� tramite l'uso dei sensi). La materia � quindi considerata un prope nihil solo da un punto di vista epistemologico. Plotino sembra invece attribuire alla materia una valenza negativa (la materia � solo immagine, priva di una consistenza ontologica pari a quella dell'Unum; il mondo materiale - essendo il luogo del molteplice - � quanto di pi� distante ci possa essere dalla assoluta semplicit� dell'Unum). L'idea che il mondo materiale sia immagine dell'Unum ribadisce ancora una volta il fatto che l'universo � lontanissimo dalla sua Causa Prima, e ne costituisce un'immagine che viene in questo modo ad essere anche il limite estremo del reale: il mondo materiale � il punto pi� lontano - in fatto di distanza ontologica - dall'Unum. L'umbra, il riflesso, viene dunque ad identificarsi con l'idea del male, dell'assenza. La realt�, derivando tutta da una contemplazione dell'Uno, pu� essere equiparata ad uno specchio: �Tutto [...] deriva dalla contemplazione ed � contemplazione, tanto le verit�, quanto ci� che deriva dalla loro contemplazione [...]; la generazione, che parte da una contemplazione, si chiude in una forma e in un oggetto da contemplare. In generale tutte le cose che producono, in quanto sono delle immagini , producono forme ed oggetti di contemplazione�255. La materia insomma � immagine, totalmente priva di una sua autonomia ontologica. La materia sensibile, proprio in virt� del cangiamento, � sempre possibile e mai reale: � sempre in potenza, � vuota �attesa d'essere. [...] Come uno specchio, la materia � il nulla sul cui fondo appare l'essere�256. Si chiedeva infatti Plotino: �Ma come possiamo dire che anche la materia, che vien detta esistente e della quale diciamo che � in potenza tutte le cose, sia un essere in atto? Se fosse cos�, essa non sarebbe tutti gli esseri in potenza. E se essa non � alcuno di questi esseri, necessariamente � un non-essere. E come sarebbe in atto, se essa non � alcun essere? [...] Se essa dunque non � alcuno degli esseri generati in lei e se questi sono esseri, essa sar� un non-essere. E poi, essendo immaginata informe, non pu� essere una forma, n� essere considerata fra gli enti superiori: anche in questo senso essa � un non-essere�257. La materia � insomma solo potenza, attesa e desiderio d'atto. Il mondo materiale si riduce quindi - paradossalmente - ad una assenza della vera realt�. Detto questo, � inevitabile che le differenze con la nolana filosofia emergano anche a proposito del valore e del ruolo che vengono attribuiti all'umbra. 4. L'umbra e il problema del male. Mentre per Plotino l'ombra � difetto - assenza di luce - e quindi male, Bruno sistema positivamente il concetto di umbratilit� all'interno della sua magica filosofia binaria. L'ombra, essendo prima di tutto un indispensabile medium extraemorum, ha una doppia natura: costituisce sia un limite metafisico e gnoseologico, sia il luogo dell'esistenza. Per Bruno - dovrebbero essere queste le inevitabili conclusioni della sua impostazione metafisica binaria - c'� quindi dell'ombra anche nell'Unum. Si ricordi infatti che l'Unum godeva di una doppia natura: era stato definito come Mens insita omnibus ma anche come Mens super omnia. Dal punto di vista cosmologico e metafisico l'Uno coincideva infatti con l'esplicato, con l'universo infinito (con la Vita-materia infinita, per usare una classica espressione di Michele Ciliberto); e dal punto di vista epistemologico l'Unum era stato definito come assolutamente trascendente. Pi� a fondo: anche dal punto di vista metafisico l'Unum mostrava una doppia natura: poteva infatti essere considerato come l'assolutamente semplice (estrema complicatio) o come l'assolutamente molteplice (estrema explicatio). In entrambi i casi manifestava per� una natura umbratile: in quanto complicato veniva infatti a costituire il minimo assoluto - al di sotto di ogni umana possibilit� conoscitiva; mentre in quanto esplicato rappresentava la totalit� - al di sopra della sfera gnoseologica. In ogni caso, visto che non esiste nulla al di fuori dell'Unum, sia la luce che le tenebre - e quindi l'ombra che ne costituisce il medium - dovrebbero considerarsi parte dell'Assoluto. Per Plotino invece l'Unum - assolutamente trascendente - � al di fuori della realt� materiale, ed � luce assoluta (le tenebre vengono relegate all'ambito del mondo materiale, che gode della luce dell'Uno solo in virt� di un lontanissimo riflesso). Plotino aveva sostenuto che �La natura del corpo, poich� partecipa della materia, � cattiva, ma non � il primo male; la forma che essa possiede non � vera forma, ed � priva di vita�258. Il non essere doveva per lui consistere nel momento della progressiva separazione dall'Uno: �Il non-essere � non il non-essere assoluto, ma solamente ci� che � altro dall'essere: non intendo, per�, il non-essere , come sono altri dall'essere il movimento e la quiete che sono nell'essere, ma come l'immagine dell'essere <� altra dall'essere> o come un non-essere ancora inferiore. Sono tali tutte le cose sensibili e le relative affezioni e, in grado ancor pi� basso, gli accidenti di quelle�259. Il tema dello specchio, dell'ombra, che in Plotino assume delle connotazioni fortemente negative (lo specchio � assenza, l'ombra � lontananza dalla luce), garantisce invece in Bruno - come ho cercato di mostrare - non solo le infinite possibilit� conoscitive umane, ma anche la possibilit� stessa dell'essere. Se l'alterit� � sentita da Plotino come separazione, allontanamento progressivo dal vero Bene, per Bruno si verifica invece una situazione diametralemente opposta: l'alterit� - che � possibile solo in funzione dell'ombra metafisica - � garanzia dell'Essere, terreno dell'esistenza. L'ombra - avevo sostenuto - rappresenta infatti per Bruno la possibilit� metafisica di ogni alterit�. Paradossalmente, si deve riconoscere che queste conclusioni opposte nascono dal medesimo problema, quello della solitudine assoluta. Sia per Plotino che per Bruno, se non ci fosse il mondo materiale l'Unum, il primo principio, esisterebbe in una condizione di assoluta identit� con se stesso, di assoluto isolamento. Entrambi, posti di fronte a questo problema, tentano una soluzione radicale, ma per vie opposte: per Plotino l'Unum � assolutamente identico a se stesso e genera il mondo restandone per� separato nella sua perfezione solitaria, per Bruno invece l'Unum si dispiega nel mondo materiale e coincide alla fine con esso. L'umbra ha quindi per il Nolano anche una forte accezione positiva: non solo vela l'Uno, ma serve anche a proteggere la vista dell'uomo: � [...] non dico dunque l'ombra che allontana dalla luce, ma che conduce alla luce, la quale, per quanto non sia verit�, tuttavia deriva dalla verit� e porta alla verit�; e perci� non devi credere che in essa ci sia l'errore, ma il nascondiglio del vero. [...] Parecchi hanno perso la naturale capacit� della vista, avanzando repentinamente dalle tenebre alla luce: fino a tal punto essi sono lontano dal raggiungere l'obiettivo ricercato. Perci� l'ombra prepara la vista alla luce, l'ombra tempera la luce, per mezzo dell'ombra la divinit� tempera e propina le apparenze che anticipano le cose all'occhio, avvolto da caligine, dell'anima che � affamata e assetata�260. L'umbra che separa il mondo materiale da quello divino � tutt'altro che un elemento solo negativo, tutt'altro che il riflesso di un'assenza. Nel De umbris Bruno aveva evidenziato la profonda relazione esistente tra l'ordine della natura e le possibilit� di ascensus mistico-conoscitivo. In questo ambito l'ars memoriae era stata considerata appunto come uno strumento conoscitivo efficace (l'unico, insieme alla magia e alla filosofia della natura). L'efficacia della mnemotecnica trae la sua origine proprio dall'ordine della catena infinita con cui sono legati tra loro gli elementi del Cosmo: ordine che � possibile memorizzare e ripercorrere fino a toccarne - intellettualmente e spiritualmente, ma anche materialmente, nel corso della vicissitudine infinita - gli opposti estremi (che sono nel quadro concettuale binario, di ispirazione cusaniana, il minimo, ovvero la monade, e il massimo, ovvero l'infinito). In Bruno esiste una determinazione spirituale del pensiero, anche dialettico, che � desiderio. Magia e mnemotecnica sono allora strumenti per padroneggiare l'ordine delle cose, facilitare l'ascensus della scala naturae e raggiungere cos� il congiungimento mistico con l'Uno. L'Uno � indubbiamente l'oggetto del desiderio, perch� l'Uno � Dio. Si ricordi a questo proposito quanto Bruno scriver� nel De magia: �[...] i maghi hanno per assioma che in ogni opera bisogna tener d'occhio il fatto che Dio influisce sugli dei, gli dei suoi corpi celesti o astri, che sono divinit� corporee, gli astri sui demoni, che sono curatori e abitatori degli astri (uno dei quali � la terra), i demoni sugli elementi, gli elementi sui composti, i composti sui sensi, i sensi sull'animo, l'animo su tutto l'essere vivente: e questa � la discesa della scala. Ma ecco che l'essere vivente ascende ai sensi attraverso l'animo, ai composti attraverso i sensi, agli elementi attraverso i composti e attraverso questi ai demoni, attraverso i demoni agli astri, attraverso questi ultimi agli dei incorporei, o di sostanza e corporeit� eterea, attraverso questi all'anima del mondo o spirito dell'universo, e infine attraverso questo alla contemplazione dell'unico, semplicissimo, massimo incorporeo, assoluto e sufficiente a se stesso. Cos� a partire da Dio c'� la discesa all'essere vivente attraverso il mondo, e dall'essere vivente attraverso il mondo, fino a Dio. Questi � la sommit� della scala, puro atto ed attiva potenza, luce purissima, mentre alla base della scala vi � la materia e le tenebre, pura potenza passiva, che pu� divenire tutte le cose dal basso, come quegli pu� fare tutte le cose dall'alto. Fra il gradino pi� basso ed il pi� alto vi sono poi le specie intermedie, le superiori delle quali partecipano maggiormente della luce [...], mentre le inferiori pi� delle tenebre [...]�261. La differenza sostanziale nei confronti della metafisica neoplatonica � data quindi dal fatto che per Bruno Dio vivifica dall'interno ogni singola porzione di materia, mentre per Plotino l'Uno rimane assolutamente trascendente rispetto al mondo generato (il mondo materiale non � la vera realt�). Si noti che Bruno preferisce seguire anche in questo caso la metafisica magico-alchemica dell'ermetismo: per il pensiero magico, come ha mostrato Mauss262, il tutto � uno, non per� nel senso che il mondo materiale deriva dall'Assoluto - e ne rappresenta in qualche modo una diminuzione di perfezione - ma nel senso che il Mondo � l'Assoluto, e non c'� ovviamente nulla al di fuori di questo. La comunicazione universale e l'idea di simpatia esigono in fondo questa posizione radicale: l'Unum - il divino - non pu� che essere nel mondo. 5. L'Intelletto e l'Anima del mondo. Al di l� delle somiglianze a livello terminologico, anche per il caso dell'Intelletto e dell'Anima del mondo esistono delle notevoli differenze tra la concezione di Plotino e quella del Nolano. Plotino, quando aveva individuato un Intelletto inteso come causa del mondo, non lo aveva affatto identificato con Dio. Alla domanda fondamentale: perch� � necessario presupporre un assolutamente primo? Perch� non ci si pu� fermare al dato di fatto della molteplicit�? Plotino ha risposto sostenendo che senza un principio non potrebbe spiegarsi il fatto stesso che la molteplicit� appare sempre collegata in un insieme, che l'universo sia un cosmo e non un marasma di frammenti dispersi dal caso263. Proprio l'unicit� e la semplicit� assoluta del primo principio rendono impossibile una sua identificazione con l'Intelletto. Questo non avviene invece in Bruno, dove l'Intelletto � allo stesso tempo Dio, Anima Mundi, e Unum (si tratta in questo caso di tre determinazioni diverse per significare la stessa cosa). In Plotino invece, l'Assoluto, o il �Primo�, o l'�Uno�, � al di l� dell'Intelletto. Per Plotino l'Intelletto deriva dall'Uno, l'Anima deriva a sua volta dall'Intelletto, e la Natura deriva a sua volta dall'Anima. La natura quindi riceve le forme intellegibili dell'intelletto solo attraverso l'Anima. Per Bruno invece, l'Intelletto � una facolt� stessa dell'Anima, o, meglio sono entrambi dei nomi di Dio (che � Intelletto a livello gnoseologico e Anima a livello �mundano�). L'Intelletto stabilisce l'ordine intellegibile del reale, la scala naturae, l'Anima vivifica la materia dall'interno e le dona un movimento e una natura armonica, nel suo procedere attraverso una serie infinita di forme e movimenti. La Natura, il Mondo, � a contatto diretto con l'Intelletto, quindi con Dio. Non esistono ipostasi n� mediazioni, ma solo una singola, infinita, esplicazione. E' proprio questa singolare organizzazione che, avvicinando al massimo Natura e Intelletto/Anima Mundi, porter� il Bruno a chiedersi se sono davvero due i principi in immediato contatto fra loro: il principio agente, l'Intelletto, e il principio "materia", che accoglie l'informazione dell'Intelletto; o se invece i due principi non possono meglio identificarsi nel concetto di Natura, intesa come materia che da s� si indirizza in forme intellegibili. Alla fine del De la Causa infatti, Bruno parler� di un Intelletto cos� intrinseco alla Natura, da potersi considerare una sua propria attivit�. Causa, Principio e Uno sono per il Nolano un essere solo in tre concetti, non in tre ipostasi differenti (come in Plotino): siamo insomma sempre all'interno di una concezione rigidamente monistica. L'Essere, non nei suoi accidenti, ma nella sua Essenza - dir� Bruno nel De Monade (ripetendo il concetto del De la Causa, ma con una diversa sfumatura) - vivifica il Tutto dall'interno, e l'intellegibilit� del reale manifesta questa sorta di comunicazione diretta: �L'Essenza, rivolgendosi a tutte le cose, mirando a tutte le cose, e a tutte comunicandosi, genera la Vita, il cui eccellentissimo effetto, quasi prima specie di essa, � appunto l'Intelligenza�264. Naturalmente la conoscenza di questa struttura metafisica � frutto di un impegno tutto interiore, del senso interno, perch� ai sensi - come al solito - viene negata ogni possibilit� conoscitiva (adeguata ad un oggetto infinito): �[...] quando l'intelletto vuol comprendere l'essenzia di una cosa, va simplificando quanto pu�: voglio dire, della composizione e moltitudine se ritira, rigittando gli accidenti corrottibili, le dimensioni, i segni, le figure a quello che sottogiace a queste cose. Coss� la lunga scrittura e prolissa orazione non intendemo, se non per contrazione ad una semplice intenzione. L'intelletto in questo dimostra apertamente come ne l'unit� consista la sustanza de le cose, la quale va cercando o in verit� o in similitudine. Credi che sarebbe consumatissimo e perfettissimo geometra quello che potesse contraere ad una intenzione sola tutte le intenzioni disperse ne' principi di Euclide; perfettissimo logico chi tutte le intenzioni contraesse ad una. Quindi � il grado delle intelligenze: perch� le inferiori non possono intendere molte cose, se non con molte specie, similitudini e forme; le superiori le intendeno megliormente con poche; le altissime con pochissime, perfettamente. La prima intelligenza in una idea perfettissimamente comprende il tutto; la divina mente e la unit� assoluta, senza specie alcuna � ella medesima che intende e lo che � inteso. Coss�, dunque, montando noi alla perfetta cognizione, andiamo complicando la moltitudine; come, descendendosi alla produzione delle cose, si va esplicando la unit�. Il descenso � da uno ente ad infiniti individui e specie innumerabili; lo ascenso � da questi a quello�265. Bruno pensava all'Uno seguendo quindi una visione radicalmente monistica dell'universo, del Tutto, piuttosto che ipostatizzandolo come causa assolutamente trascendente della realt�. Per Plotino invece l'esigenza monistica ha portato a distinguere in modo netto il Generante dal generato, e a sostenere che la ver� realt� � quella del Primo. Nel De Immenso il Nolano aveva sostenuto che: �Dio � infinito, nell'infinito, dovunque in tutte le cose, non al di sopra, n� fuori di esse, ma ad esse assolutamente intimo; cos� l'essenza non � nulla al di l� e al di fuori degli esseri, la natura non � nulla al di l� delle cose naturali, la bont� non � nulla al di l� delle cose buone. L'essenza si pu� distinguere dall'essere soltanto in senso logico, come la ragione da ci� di cui � ragione. Su via, guarda dove siano la natura e Dio: qui sono le cause delle cose, la potenza dei principi, la sorte degli elementi, i semi delle cose che saranno generate, le forme archetipe [...]. Qui � anche la materia, potenza passiva sussistente, esistente, presente e che quasi sempre si manifesta nell'unit�. Non esiste un artefice che presieda dall'alto e che dall'esterno predisponga e configuri [...]. La materia fa scaturire ogni cosa dal proprio grembo, la sua intima natura � abile artefice, arte vivente, mirabile potenza dotata di mente, che esplica un atto relativo alla propria materia non ad un'altra, senza indugiare [...]. Cos� lo spirito artefice del seme, che muove dal profondo centro, la natura efficiente, l'artefice della materia presente, il trascinatore, il modellatore, l'ordinatore non sono altro che l'intimo motore. A che servono, dunque, quelle fantasiose tecniche di Platone, quegli artifici, quegli archetipi, idee, immagini, quelle statue, quei carri della fantasia, quelle navi ricolme di quisquiglie, tutti posti fuori del mondo corporeo? [...] Non solo la natura � presente nelle cose, ma � in esse insita, da nulla � lontana poich� nulla � lontano dall'essere in nessun luogo, mai, per nulla � lontano dall'essere in nessun luogo [...]�266. Non esiste insomma per Bruno un mondo delle idee trascendente il mondo corporeo, e non esiste neppure un Unum concepito al di fuori del Mondo, nel senso di una prospettiva creazionista (tipica per esempio della patristica cristiana). Si noti che relativizzare la trascendenza di Dio - e limitarla al solo ambito gnoseologico - comporta anche una revisione della morale e dei suoi fondamenti. E questa sar� appunto l'operazione dei Dialoghi morali, a partire dallo Spaccio de la bestia trionfante, dove, in perfetta coerenza con l'abbattimento delle gerarchie, Bruno tenta di rifondare l'etica su basi esclusivamente naturali e razionali, a prescindere dalla religione cristiana (che anzi viene ridotta ad una stretta funzione pedagogica), mentre la vera religione diventa (o meglio ritorna ad essere) quella dei maghi egiziani, l'ermetismo e la magia. Sar� proprio l'azione magica a garantire una efficace azione trasformatrice sia del microcosmo che del macrocosmo. In base alla filosofia dei vincoli, delle occulte simpatie, Bruno costruir� un'etica tutta centrata sulla praxis e sul sapere. A questo proposito si deve notare che l'immagine neoplatonica dell'eros, inteso come struttura originaria della conoscenza, verr� innestata nel quadro della problematica gnoseologica del De umbris e dell'oggetto infinito del De la causa e del De l'infinito: �E' cos� che la neoplatonica frattura tra amore sensibile e amore intellegibile perde il significato morale che essa ha tradizionalmente, e viene ripensata nel quadro del rapporto tra senso e intelletto, l'uno organo della conoscenza finita, l'altro organo della conoscenza volta all'infinito. L'ascesi amorosa acquista quindi il significato di un metodo del sapere, e, contemporaneamente, di un'esperienza unica e irripetibile del filosofo illuminato�267, osservava giustamente Fulvio Papi. Sar� infatti questa la tematica de Gli eroici furori, in cui per la verit� non viene mai abbandonato il substratum ideologico dei vincoli magici che innervano il Mondo, e viene indirettamente ribadita la superiorit� della conoscenza e dell'azione del filosofo-mago. A proposito della trascendenza dell'Uno - anche nei confronti dell'Intelletto - aveva osservato Aldo Magris: �[...] l'Assoluto, essendo superiore all'intelletto, trascende entrambi gli aspetti della dualit� pensante-pensato: esso quindi non � n� una Mente raziocinante n� qualcosa di intellettualmente conoscibile da parte della mente umana [...]. L'Uno [...] � al di l� anche della vita, in quanto d� la vita�268. In Bruno questa trascendenza assoluta dell'Uno � ovviamente negata proprio in virt� della sua identit� con l'Anima mundi, che, come abbiamo visto nel De la Causa, vivifica il mondo dall'interno. La trascendenza dell'Uno, lo ribadisco, � totale solo a livello gnoseologico: l'uomo non pu� conoscerne la sostanza; tra Dio e mente umana c'� e ci sar� sempre un velo d'ombra (il che non nega ovviamente le perfettibilit� della conoscenza umana, ma richiede uno sforzo infinito). Per Plotino l'Uno, l'Assoluto, non pu� essere concepito neppure come la totalit� degli esseri, perch� altrimenti avrebbe un'esistenza, e invece, propriamente, non ce l'ha269. In Bruno invece l'Uno costituisce anche, all'interno della filosofia binaria, l'opposto del molteplice: nel molteplice non c'� quindi degradazione dell'essere, ma moltiplicazione di vita, alterit� rispetto all'Unum. Il discrimen � insomma tutto nella concezione dell'Assoluto: mentre per Plotino l'Assoluto non si identifica con Dio, per Bruno si tratta invece di termini equivalenti, che risultano del tutto appropriati nei rispettivi ambiti di indagine. A Dio, Plotino sembrava aver premesso l'Uno pitagorico: la fonte sovraintellegibile, anche dell'Intelletto. Anche Bruno in effetti mantiene l'idea della filiazione dell'Intelletto dall'Uno, ma si tratta di un concetto per cos� dire contratto: la trascendenza, come ho gi� detto, � fortemente limitata e ridimensionata: �L'intelletto universale � l'intima, pi� reale e propria facult� e parte potenziale de l'anima del mondo. Questo � unomedesimo che empie il tutto, illumina l'universo ed indirizza la natura a produre le sue specie come si conviene [...]. Questo � nomato da' Platonici fabro del mondo. Questo fabro, dicono, procede dal mondo superiore, il quale � a fatto uno, a questo mondo sensibile, che � diviso in molti; ove non solamente la amicizia, ma anco la discordia, per la distanza de le parti, vi regna. Questo intelletto, infondendo e porgendo qualche cosa del suo nella materia, mantenendosi lui quieto ed inmobile, produce il tutto. E' detto da' Maghi fecondissimo di semi o pur seminatore, perch� lui � quello che impregna la materia di tutte le forme [...]�270. L'intelletto procede insomma dall'Uno, ed infonde a sua volta l'ordine intellegibile nella materia. Ma tra mondo e Uno non c'� mai una distanza infinita, come in Plotino. Aveva quindi ragione Augusto Guzzo quando sosteneva che nel De la Causa, �� l'Uno stesso concepito come Mente, l'Intelletto divino che dice il Bruno; ed � tutto come l'unit� �, in un atto solo, l'intera molteplicit� che da essa si svolge. Da tale Uno, Mente rigorosamente una, Intelligenza unitaria primitiva, procede quello che gi� Plotino chiamava Intelletto: ed � il fabbro del mondo, la causa dell'universo, l'Intelletto non sopramondano che dall'intimo del mondo forma e vivifica il mondo, e dall'interno fa tutte le cose�271. Bruno svolge insomma una delicata operazione all'interno del quadro metafisico di ispirazione plotiniana: questa operazione consiste in un aggiustamento dei rapporti tra Uno e Mondo, e alla fine la trascendenza dell'Uno ne risulter� fortemente limitata. L'intelletto (lo stesso discorso vale per l'Anima) sembra ora configurarsi non pi� come una ipostasi dell'Uno, ma come un modo di essere, di esplicarsi, dell'Uno. 6. Integrazione di Anima e Intelletto nell'Unum. In Bruno l'operazione dell'intelletto umano ricalca la struttura e le modalit� d'espressione della Natura. A proposito ho gi� ricordato la vera funzione della magia: permettere l'ascensus e il descensus. Come ha opportunamente notato Hel�ne Vedrine �il De magia nasce proprio da una tensione tra il fare e il sapere�272: il fare � possibile solo in base al sapere, e consiste nell'utilizzo magico dei vincoli. A proposito dell'ascensus & descensus, Leen Spruit ha rilevato opportunamente: �Bruno descrive la comunicazione tra i diversi gradi del reale in termini di ascensus & descensus, concetti che determinano altres� la direzione ed il valore di ogni conoscenza possibile�273. In effetti, nel De umbris leggiamo: �Tutto ci� che � dopo l'uno � inevitabilmente molteplice e numeroso. Perci�, tranne l'uno e primo, tutte le cose sono numero. Donde sotto l'infimo gradino della scala della natura c'� il numero infinito o teoria plotiniana dell'ens primum o ens unum quali indicazioni del mondo intellegibile. Bruno integra nel suo concetto di ens & unum le prime due ipostasi di Plotino�275. E, aggiungerei, ne limita fortemente la trascendenza. I passi che giustificano questa interpretazione sono numerosi, e, naturalmente, presenti anche nell'altro grande capitolo della filosofia binaria, quello che segue l'esposizione dell'infinito e che delinea la struttura del finito, del minimo: leggiamo infatti nel De monade che �Uno � lo spazio, una la Grandezza, uno il Fondamento, con potenzialit� infinita, esso stesso infinito. Una � la prima Essenza, la prima bont�, una la prima Verit�, per cui tutte le cose sono Enti, Beni, Veri. Una � la Mente, dovunque tutta, che misura tutte le cose, uno � l'Intelletto che ordina tutto, uno � l'amore che tutto concilia con tutto. Uno � l'Alveo che concepisce tutte le cose, una l'Eternit� che possiede ogni perfezione, uno il tempo, misura di ogni movimento e quiete. Una � l'Idea di tutte le specie e di ta Monade, sostanza di ogni numero, una � la Diade prima, o opposizione, che distingue tutte le cose. Uno � il primo soggetto comune a tutti gli opposti. Una � l'intenzione che dispone tutte le cose. Uno � il primo soggetto comune a tutti gli opposti. Una � l'intenzione che dispone tutte le cose. Uno � il fine a cui tutte le cose aspirano ed uno � il mezzo con cui tutte le cose lo conseguono. Uno � il Motore che garantisce l'universale vicissitudine. Uno l'Atto che ogni cosa compie, una � l'Anima che tutto vivifica. Uno � il nome che ha in s� tutti i significati, una � la Ragione che medita ,ogni cosa, uno l'Appetito che desidera ogni cosa�276. L'Uno che nel De la Causa era l'Universo esplicato, l'infinito molteplice, nelle opere che trattano del Minimo diventa sintomaticamente l'infinitamente semplice, il minimo metafisico, il Primo, molto vicino al plotiniano Unum, inteso come presupposto dell'esser-ci: l neoplatonismo, o della tradizione del platonismo neoplatonismo Plotino neoplatonismo. Una adesione completa alla metafisica neoplatonica � in se stessa l'infinito, dentro di s� l'essere infinito absoluta l neoplatonismo all'atomismo democriteo, dal lucrezianesimo ermetica, misteiorsamente coordinata a quella pitagorica: l'ascesi mistica doveva certamente essere favorita da un utilizzo magico-simbolico dei numeri e delle idee. arco e la minima corda? 'infinito doveva prevedere anche la svalutazione della scienza matematica (che si occupa del misurabile e quindi del finito): matematica e geometria plenitudis metempsicosi che pone Bruno al di fuori della concezione cristiana del mondo. Per Bruno la potenza assoluta si � espressa interamente sin dall' origine nella natura. il neoplatonismo � caratterizzato da una evidente somiglianza a livello terminologico ma anche da una netta divergenza per quanto riguarda il livello metafisico: per Plotino l'infinit� dell'Uno � superiore a quella del mondo perch� rispecchia la differenza ontologica tra Generante e generato. In Bruno invece l'Uno si esplica nel Mondo e alla fine coincide con esso. L'infinito che viene presentato nei Dialoghi che abbiamo preso in considerazione non � affatto l'unico centro della metafisica nolana. L'infinito � il nome di Dio quando viene considerato come massimo esplicato, ovvero come Tutto. Ma Dio � anche il minimo: nell'Uno infatti si verifica la coincidenza di tutti i contrari. L'applicazione magica del principio anassagoreo tutto in tutto prevede che ogni singola cosa possa diventare ogni cosa, all'infinito. L'infinito � stato presentato sempre all'interno di un quadro speculativo di tipo analogico: l'infinito ha come suo presupposto l'esistenza di un Assoluto e di un assolutamente Minimo: l'Uno. L'universo � infinito perch� esplicazione di Dio. Dio � infinito perch� in Lui si verifica una assoluta coincidentia oppositorum: nell'Uno si trovano tutte le determinazioni possibili che si ritrovano poi nell'Universo esplicato. Anche per questo � possibile sostenere che il discorso sull'infinito � sempre rimasto nei limiti teologici (l'infinito � una delle determinazioni di Dio). �transnaturalis seu metaphysica� e dir� che si deve chiamare �proprio nomine [...] Jeourgia�291, nel De la Causa aveva scritto che �Quelli filosofi hanno ritrovata la sua amica Sofia, li quali hanno ritrovata questa unit�. Medesima cosa a fatto � la Sofia, la verit�, la unit�292. La filosofia della natura mira alla contemplazione estatica del Tutto:
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