Ontologia dell’opera d’arte mah…essere per la salvezza dell’essere significa essere per la salvezza dell’arte?
E l’opera d’arte aiuterà l’essere a salvarsi?
Mah… solo l’opera d’arte ci può salvare?
E solo l’arte salverà l’essere o il mito ontoteologico della salvezza della mondità?
Solo l’arte ci potrà salvare?
Solo il mito dell’opera d’arte può salvare il mito delle muse della poiesis o dell’ontopoiesis?
Ma l’arte è anche la salvezza del musagete, quale essere divinità che si dà all’arte o dà all’arte la fondatezza del mito?
O che disvela con l’arte l’ontologia ontopoietica dell’opera dell’esser-arte-nella mondità come nella mondanità, o esser-arte-per-la-morte dell’arte…
Già nelle origini della ermeneutica poetica la mimesis disvela la fondatezza della physis: aldilà della classicità simulativa, imitativa, clonante, tautologica, la mimesis quale apprensività attraverso lo sguardo, cattura con la vista, con gli occhi l’essere che si disvela nella sua physis. E’ l’esserci che com-prende contemplando l’eventuarsi della physis dell’essere, della natura dell’essere, dell’essere-nella-mondità. E’ la mimesis del disvelarsi dell’essere poetante…o l’ontologia dell’icona della physis quale ontologia dell’ikona dell’essere nel mondo. O l’ontologia della temporalità della physis che si disvela nel mondo quale spazialità immaginaria nella radura immaginaria ove s’eventua quale opera d’arte immaginaria… anzi l’ontologia fluttuante dell’essenza dell’essere poetante dà senso e dà alla luce la physis, non la imita o la modella o la ricorda, la divela quand’era abbandonata nell’oblio dalla fuga precipitosa degli dei epistemici, mitici, tecnici, ontoteologici quali il deus ex machina, la macchina poetica aristotelica. E’ indispensabile intraprendere gli studi e le ricerche dell’ontologia dell’opera d’arte, giacchè nel nuovo millennio tutte le configurazioni del sapere epistemico, ma anche le ontologie ermeneutiche, hanno evidenziato i propri confini aldiqua dell’essere-opera-d’arte, per concentrarsi solo sull’ontica, sulle entità narrate o sulle superentità ontoteologiche. L’epistemica dell’opera d’arte si è confinata nella sua ortogonalità calcolante, l’interpretanza ermeneutica ed intenzionale non si cura di offrire una fondatezza né alla nuova epistemica, né alla matesis virtuale, né alla physis immaginaria, né alla temporalità ontologica, men che mai dà fondamenta stabili alla struttura ontologica dell’opera d’arte. Solo il pensiero della disvelatezza resiste, o persiste nella sua re-esistenza, sostenuto dalla sua struttura ontologica fondata sull’essenza dell’essere-opera-d’arte-nel-mondo-per-la-morte. Ma la sua origine, o originalità o singolarità, non dispiega la sua pregnanza oltre la soglia del pensiero poetante che contempla poeticamente l’opera d’arte o la interpreta infinitamente nella temporalità kairos-logica più tosto che cronologica. Per raggiungere anche i sentieri interrotti della physis poetante dell’opera d’arte e quindi anche la fondatezza non tecnica della teknè, o il fondamento non epistemico dell’epistemica, la physis dell’opera d’arte si dovrà eventuare nella struttura ontologica dell’essere animati, aldilà dall’essere solo opera inanimata, per gettare le fondamenta nella radura, nel vuoto quantico epistemico, della topologia fluttuante dell’essere opera d’arte che si dà alla mondità per inter-essere o inter-esserci opera d’arte dell’essere animato che getta quale icona dell’essere-nel-mondo-della-morte-dell’arte. Può l’ontolgia dell’opera d’arte raccogliere gli eventi gettati nel sentiero dell’essere ed intraprendere la biforcazione dell’oltre che conduce alla radura, alla spazialità topologica sgombra dalle temporalità epistemiche o anche ermeneutiche, per approdare alla libera luce senza fondo, senza fondale, senza fondamenti epistemici, senza grund ma solo ab-grund, abissi ove l’evento dell’ikona poetante dell’essere possa abitare poeticamente quale opera d’arte dell’essere-poetante? E’ inevitabile intraprendere perciò il sentiero interrotto dell’ontologia dell’opera d’arte la quale ci porterà all’ascolto dell’intermittenza dell’essere-poetante-poeticamente-opera-d’arte-nel-corso-della-temporalità-immaginaria, ma anche delle temporalità kairoslogiche o kronoslogiche che si disvelano nella radura illuminante del kaosmos o nel campo morfogenico della physis dell’interessere o dell’interesserci animato dell’opera d’arte. Il sentiero, il meta-odos, il metodo, il seynweg che condurrà l’ontologia dell’opera d’arte verso la radura, sgombra, libera dalle scorie della volontà di potenza come opera dell’arte o della tecnè dell’imperativo categorico dell’epistemica tecnica vittima del pensiero calcolante, clonante, simulante, imitante, mimetico, quale mimesis dell’arte; ma anche oltre la classica decostruzione ermeneutica dell’ontologia storica privilegiante l’essere inanimato dell’arte o il superente ontoteologico, per abitare il vuoto ontologico là ove la seinpoiesis, l’ontopoiesis, possa disvelare la sublimità dell’interessere o interesserci opera d’arte dal classico alla temporalità virtuale. La ricerca filosofica della nuova ontologia dell’opera d’arte avrà quale priorità la libertà dell’essere poetante nella mondità e nella physis poetante: in qualità d’essere libertà poetante dell’interessere o dell’interesserci nell’opera d’arte nel corso del tempo. E’ ineludibile nella nuova epoche del nuovo millennio intraprendere il sentiero interrotto, la seinweg che ci conduce all’ascolto dell’intermittenza poetante dell’opera d’arte nel suo eventuarsi quale ikona dell’interessere o interagenza dell’interesserci dell’ontopoiesis o della seinpoiesis. Gli eventi intermittenti dell’ontopoiesis dell’opera d’arte si gettano nel campo morfogenico e nella radura ontologica per sgombrare prioritariamente le scorie e lasciare libertà di campo topologico all’evento dell’ikona dell’essere quale opera dell’arte dell’interessere o dell’interesserci abitante poeticamente la physis, la natura, dell’opera d’arte. Senza la libertà dell’essere opera d’arte quale libertà dell’essere nell’essere in physis poetante l’interessere non può abitare poeticamente la physis dell’opera d’arte, la natura ontologica, la struttura ontologica dell’arte. L’intermittenza dell’interagenza dell’interessere o interesserci assentemente presente o presentemente assente, nell’ontologia classica o poetante, abitò già nell’origine la tecnè o meglio nell’ontologia della tecnè ovvero nell’ontologia dell’opera d’arte. Quale opera d’arte prima dell’evento della tecnica, quale arte prima d’essere opera tecnologica dell’arte sia nella progettuali che nella poetica, sia nella gestell, quale struttura ontologica dell’opera d’arte che nella morfogenesi della configurazione ikonica o immaginante. Ma l’ ontologia dell’opera d’arte si disvelò assentemente presente anche nella matesis trasfigurante l’arte in tecnè, quale topologia dell’essere o interagenza dell’interessere o interesserci nella mondità prima di fossilizzarsi in epistemica del pensiero calcolante inanimato che contempli onticamente solo le entità della mondanità o le superentità delle ontoteologie conflittuali per le egemonie fondamentalistiche o relativistiche, clonanti metafore narrative algebriche, poliedriche, cabalistiche, iconoclastiche innanzi tutto quali artefici di roghi dell’icona dell’essere nel mondo o evento dell’ikona dell’essere nell’opera d’arte. Il luogo ove storicamente quegli eventi si evidenziano è la gestell dell’opera d’arte quale epistemè dell’essere alla mano, saper fare poetico, interagenza poetante che si dà, si getta nell’impianto, nella struttura ontologica abitandole poeticamente…successivamente quella eventualità mondana decade in volontà di potenza attanziale, attraente, attuante, attrattoriale, imperativa categoricamente di una superentità mondana, valorizzante storicamente solo ontoteologie mitiche fondamentali solo epistemicamente ed ermeneuticamente frattali e sferiche. Il ritorno al futuro dell’ontologia dell’opera d’arte disvelerà un altro possibile, virtuale, sentiero ininterrotto attraversante sia la matesis topologica dell’essere-opera-d’arte, sia la tecnè epistemica imperativa della volontà di potenza mondana dionisiaca o apollinea che si desideri, sia l’epistemè abbandonata dall’ontologia classica al naufragio e al nihilismo senza orizzonte, senza fondale, né fine, né senso, né futuro, né salvezza. E’ ineludibile intraprendere sintagmaticamente la ricerca, giacchè l’ontologia classica ha eluso la fondatezza non matematica della matesis, la fondatezza non logica del logos, la fondatezza non mitica del mitos, la fondatezza non epistemica dell’epistemè, la fondatezza non tecnica della tecnè, la fondatezza non artigianale, o seriale, dell’opera d’arte: proprio nell’epoca ove quelle varietà superontiche rischiano di imporre le loro imperanti volontà di potenza ontoteologica fondamentali sta. Purtroppo per gli artefici dell’oblio dell’ontologia dell’opera d’arte quella presenza strisciante si dispiega nelle fondamenta dell’imperativo categorico del pensiero calcolante della tecnè, ma anche nella decostruzione ermeneutica e fin’anche nell’ontologia classica, o là ove il pensiero poetante non sappia disvelare tutta la sua sublime poiesis quale opera d’arte dell’ontopoiesis dell’interagenza dell’essere poetante. Ma perché neanche l’ontologia classica ha disvelato i dispiegamenti, sia pure intermittenti dell’interesssere o dell’interesserci dell’opera d’arte nella physis poetante. Ontologia delle opere d’arte L’opera d’arte eventua la destinanza dell’essere….o meglio il sentiero ininterrotto che non conosce oblio ma solo la risonanza dell’ikona dell’essere che si dà , si eventua quale onto-teleologia, quale sentiero del destino dell’essere:ontoteloslogia più tosto che ontoteologia, o mitopoiesis o mitologia: è l’ontopoiesis quale evento della risonanza dell’ontoteleologia dell’eSSere. Il pensiero dell’origine dell’opera d’arte dispiegò prima una ontoteologia poi un’ontica, ma mai si disvelò la ontoteleologia dell’opera d’arte o della poiesis, o del suo pensiero poetante. Solo alla fine dell’ultimo millennio la qualità di destinanza, o ontoteloslogia, si disvela quale sentiero che l’opera d’arte traccia, o getta nella mondità , quale destino ontologico dell’essere. Lì in quel sentiero ininterrotto l’eSSere si disvela nell’esserci per essere custodito nell’opera d’arte quale ikona della destinanza dell’eSSere, quale immagine del destino ontologico dell’eSSere nella mondità. La nascente ontologia dell’opera d’arte può rispondere all’enigma della destinanza dell’eSSere quale ikona dell’essere nella mondità: il destino dell’eSSere si eventua nella morfogenesi vuota della radura ove l’inter-essere poetante si getta quale ontologia della libertà della destinanza o quale attanza poetante del’essere, prima dell’attanza immaginaria nella physis e dell’attanza virtuale nella mathesis, nella tecnè, nella epistemè. Solo così l’ontologia dell’opera d’arte si eventua quale ascolto della risonanza dell’intermittenza poetante dell’essere in essere, dell’essere in attanza poetante nella physis poetante e nel kaosmos poetante quale essere che si getta nell’abisso quale fondatezza del fondale poetante che si dà quale destinanza dell’eSSere nella radura. La destinanza si getta quale fondatezza dell’essere nell’abisso dell’eSSere poetante ed eventua nella mondità l’ontologia poetante dell’opera d’arte la quale libera il sentiero della trascendenza poetante, nel kaosmos poetante, nella physis poetante, nell’essere in libertà poetante, quale sublimità poetante disvelante l’ontologia dell’opera d’arte, nella destinanza d’essere libertà poetante nel pensare l’eSSere in libertà, giacchè l’ontologia dell’opera d’arte è la libertà del pensiero poetante di pensare l’eSSere in essere libertà poetante o libertà d’essere opera d’arte dell’eSSere. La ricerca filosofica del sentiero ininterrotto dell’ontologia dell’opera d’arte quale ontologia poetante del discoprirsi della physis dell’esseRe, la quale si discopre nell’intermittenza del pensiero poetante o della poesia filosofica o poesia pensante, è ineludibile nella nuova epoche del nuovo millennio. Anzi la nuova epoca sarà caratterizzata dal discoprirsi della radura luminosa ove soggiorna l’esseRe discoperto, libero dall’imperativo categorico della volontà di potenza dell’epistemè, liberato dalle necessità del pensiero calcolante sempre meccanicamente o automaticamente adeguante l’essere alle entità o alla mondanità ontica. Nel suo discoprirsi l’ontologia dell’arte lascia invece l’essere d’essere libero in campo, nella radura, anzi in tutti i campi del sapere , del pensiero poetante e dell’arte pensante poeticamente. La ricerca filosofica degli eventi intermittenti dell’ontologia dell’opera d’arte sarà anche la classica storia dei saperi poetanti, ermeneutica dei poeti sapienti, l’ontologia dell’immagine o dell’immago, l’ontologia dell’immaginario virtuale o virtuoso. Lì soggiornerà l’essere poetante che si dà alla luce nella radura: qual sentiero topologico kaosmiko che eventua l’ontologia della physis poetante che dà fondatezza alla matesis, alla physis epistemica, alla tecnè attraverso la differenza ontologica dell’interessere poetante. La fondatezza ontologica ontopoietica della matesis si dà, si discopre quale disvelatezza dell’ontologia poetante della verità, dell’aletheia che si eventua nell’opera d’arte libera e poetante fondale ed abisso, grund e abgrund, della epistemè e della tecnè, oltre l’eterno ritorno del nihilismo della tecnica, ma anche oltre l’ontologia classica, forse però ancora necessaria solo per disvelare alla mondità a alla mondanità la nuova ontologia dell’opera d’arte quale verità ontologica che discopra l’esseRe nell’epistemè come nella matesis della physis. Ma quel che dovrà disvelarsi è l’ontologia della gegenstand sia quale essere dell’ente, sia quale esserci o essere nella physis o svelatezza dell’essere nell’opera d’arte. O meglio l’ontologia dell’opera d’arte discopre la fondatezza della differenza ontologica sempre presente sia nell’essere che nell’esserci delle entità nel corso del tempo prima che comprese dalle epistemiche della mondità. L’opera d’arte disvela innanzi tutto l’essere-nella-verità o l’essere-nell’aletheia o essere-la-verità-dell’immagine o essere la verità-dell’ikona-dell’essere. Le epistemiche mondane gettano l’oblio solo per comprendere la verità dell’ente, ma l’opera d’arte non sarà mai solo l’entità-epistemica finitamente interpretabile secondo l’ermeneutica narrativa, ma discopre sempre presente la differenza ontologica dell’essere la verità, l’aletheia dell’esserRe. L’opera d’arte non sostiene in sé la presenza della-non-verità o la non-aletheia quale oblio dell’essere, per tale pregnanza non sarà mai semplice epistemè della gegenstant delle entità del mondo che si eventuino quali intenzionalità del kosmo o della temporalità cronologica. In quella differenza l’opera d’arte disvela sempre l’ontologia della physis quale verità della natura dell’essere o aletheia dell’essere-nella-physis. Non si può più permanere nell’oblio della verità della physis, giacchè l’opera d’arte ci dispiega l’icona dell’essere nella physis anche nell’ikona epistemica della physis, quale temporalità immaginaria , quale radura nella spazialità del kaosmos. Anzi l’ontologia dell’opera d’arte non dimentica neanche il vuoto ontologico dell’essere dell’entità, giacchè lì soggiorna anche il vuoto della radura ove la verità dell’essere si discopre per gettarsi vuota-aletheia-dell’essere, vuota-disvelatezza-dell’essere. Solo così, solo quale verità ell’essere-nell’opera-d’arte l’aletheia non può più essere preda o vittima del nulla, giacchè il nulla annichilisce la verità ontica ed epistemica dell’entità, ma mai la verità dell’essere. Semmai l’aletheia dell’essere si può sottrarre o abitare assentemente l’immagine o l’icona, ma giammai annichilirsi nel nulla, nella non-entità, o nella mondanità temporale cronologica. La verità dell’essere soggiorna nel corso del tempo nell’immagine dell’opera d’arte con cura, per disvelarsi al mondo o all’esserci solo nella kairoslogia, quale singolarità ontologica che si dà, si discopre dall’abisso, si disvela dal nulla, dal suo essere sempre il non-ente, senza essere mai il niente. L’essere opera d’arte significherà così l’esser-vuota dell’ente e del nulla, libera dalle entità e dal niente, per essere solo opera, gettanza dell’essere-arte, senza tecnica né epistemica, ma solo immagine dell’essere-arte del non-ente, icona della verità della non-entità, aletheia della radura abissale ove l’essere possa abitare per sempre poeticamente quale ontologia dell’opera d’arte: giacchè l’essere è l’opera d’arte, l’essere è arte e l’arte d’essere opera d’arte quale opera d’arte dell’essere o dell’esserci. Solo così l’essere si cura, si custodisce, si libera dal nulla e dal niente oltre a mai adeguarsi alle entità della mondità fonologica, quale essere che si discopre dall’abisso per eventuare il fondale e la radura ove si possa disvelare l’opera d’arte. L’opera d’arte si dà quale esseRe che re-esiste nella radura libera e vuota e abissale per re-esistere quale opera d’arte non necessariamente epistemica o ermeneutica o ontica ma autenticamente ontologica o ontopoietica. Ontologia dell’esser-arte…0ntologia dell’esser-arte ontology-art ontologia-art ontologia della physis dell’arte…il venir-fuori-dalla-velatezza è l’essere dell’opera, il disvelarsi di una nuova morfia della physis, di una sagomatura della natura animata dell’essere, di una templarità dell’ikona della physis dell’essere. L’ontologia dell’opera d’arte è la templarità dell’immagine dell’essere nella physis, o morfia templare quale supersimmetria dell’ikona della physis dell’essere. Il disvelarsi dell’aletheia ontologica è il venire alla luce, il darsi alla luce, la gettanza che si dà alla luce nella radura vuota e libera della templarità dell’ikona della physis dell’essere, quale morfica templare dell’immagine dell’essere nella physis. Il venir fuori della disvelatezza discoprente la templarità dell’ikona della physis ontologica dell’essere. È la templarità della radura vuota, del luogo ove abita poeticamente l’essere che disvela l’ikona della physis o l’immagine dell’aletheia dell’essere, quale topologia poetante o quale ontopoiesis o quale ontoikona dell’essere nella physis. È l’ontoykona dell’essere che getta le fondamenta, si getta e si de-costruisce nella radura luminosa della physis e si eventua in morfie templari dell’immagine della physis dell’essere e si disvela all’esserci quale gegenstand, sempre di fronte, dell’ikona ontologica della destinanza dell’essere. L’ontoykona ama disvelarsi nella radura luminosa della physis dell’essere quale opera dell’essere arte per l’arte del’esseRe o per essere l’aletheia dell’essere quale evento nell’opera d’arte. L’opera d’arte ama nascondersi nell’opera dell’essere ontoykona della physis per eventuarsi quale svelatezza nel gegenstand della topologia templare dell’immagine dell’essere. Ma perché l’ontoykona si eventua sempre quale opera d’arte dell’essere più tosto che evento del nulla o del niente? Mha perché la differenza ontologica lascia all’epistemica la destinanza delle entità mondane e cura, custodisce l’aletheia della physis dell’essere quale templarità ikonica della topologia ontologica dell’essere. È la physis templata che si eventua quale opera d’arte sia nella ontocronia che nella ontokairosia: nell’ontocronia dell’essere dell’entità, nella ontokairosia dell’essere evento della singolarità originaria dell’opera d’arte. Spesso è compresente sia l’ontocronia della physis della mondità che l’ontokairosa singolarità dell’essere o meglio nell’opera d’arte è assentemente presente l’una o presentemente presente l’altra nella stessa radura luminosa dell’onto-topia dell’essere opera dell’arte o ontopia-dell’arte o ontopia dell’ikona o dell’imago dell’essere o topologia ontologica dell’onto-ikontopia. È quella la differenza ontologica della temporalità e templaticità dell’opera d’arte: mentre la ontocronia si eventua solo nella physis mondana o dell’esserci, l’ontokairosia si dà, si eventua solo nell’essere-opera-d’arte. Attenzione qui si discopre la differenza anche nell’opera fatta a mano, immagine o suono o voce che sia, il manufatto dell’esserci- ontokronia e quello dell’essere-ontokairosia: il primo si adegua alla temporalità delle entità mondane senza discoprirne l’ontologia della physis, la temporalità templata invece disvela sempre e per sempre l’ontokairos dell’ontoykona dell’essere-arte-per-l’essere prima d’essere arte-per-il-mondo o essere arte-per-esserci…ah come si farà a comprendere? L’arte per esserci o l’arte-per-la-mondanità privilegia sempre e comunque l’ontologia del presente: si adegua alla verità epistemica del mondo senza chiedere nulla di più, giacchè la sua ermeneutica è finita con l’ontokronia dell’ontica o dell’esser-solo-entità-del-mondo, anzi solo entità ontica di questo mondo senza alcuna onto-topia, ma solo u-topia o dis-topia. Lì l’essere-arte-per-essere è custodita nell’oblio o nascosta nella physis epistemica del mondo o nella mitica origine dell’esserci. Ma l’ontologia dell’ontopia dell’ontikona si sottrae dalla ontokronia per abitare poeticamente la radura luminosa della templata-ontokairosa dell’esere-arte-per-l’essere che si getta nella physis della mondità ma che si differenzia sempre nella sua interpretanza infinita, quale ermeneutica ontologica dell’essere arte per l’essRe. Qui l’impianto, la ge-stell dell’ontologia dell’opera d’arte si eventua sempre quale templarità dell’ontoikona ontopica ontopoietica, anzi la gestell, la struttura ontologica, è l’ontikona templata dell’essere opera d’arte dell’esseRe, di più è la destinanza dell’ontopoiesis dell’ikona che apre il sentiero ininterrotto nella radura vuota ontologica. L’ontologia dell’esser-arte si disvela nell’essere-la-radura, lichthung-sein, quale gestell della radura della destinanza dell’essere: lì nella spazialità vuota la struttura ontologica dell’esser-arte soggiorna poeticamente quale ikona ontopica della ontokairosia. L’essere-la-radura quale destinanza sia del grund sia dell’abgrund dell’esser-arte, sia fondamento sia abisso dell’ontologia dell’opera d’arte: lì quel che appare quale eristica epistemica si eventua quale kaosmica-ontikona dell’aldiqua e dell’aldilà. Solo così si comprende l’originalità dell’opera d’arte, giacchè la sua destinanza ontologica non subisce mai la dettattura epistemica dell’essere dell’ente perché quella eventualità si dispiega solo nell’ontokronia e mai nell’ontokarosia: può essere tangente alla tecnè, tecnica, ma mai decostruire l’essere-arte ontopica. Nell’origine dell’opera d’arte l’ontokairosia dell’ontoikona si eventua per sempre senza più essere ontokronia epistemica dell’essere-entità: l’opera d’arte non è più abbandonata dall’essere…gli dei sono fuggiti dall’opera d’arte ontoteologica, ma non l’essere dell’arte quale ontikona della gestell ontologica. Perciò l’ontologia dell’opera d’arte non sarà mai una semplice estetica dell’esserci o dell’essere-entità ontokronica, giacchè i sensi sono dispiegamenti dell’esserci e possono solo percepire le entità ontiche, mai l’essere si disvela ai sensi sempre si discopre solo all’interessere ontokairoslogico. L’ontologia dell’esser-arte discopre la compresenza nell’opera d’arte dell’interagenza tra ontokronia e ontokronotopia: mentre nell’epistemica fisica esiste solo la kronotopia quantica dell’essere dell’ente, nell’essere opera d’arte si eventua l’essere della ontologia kronotopica ikonica che dispiega l’ontocronia iconica già assentemente presente nell’ontocronia quantica. Nella physis c’è la destinanza dell’essere quale gestell-ontokronica la quale si dà sia nella gestell-ontologica, sia nella gestell-ontica, sia nella gestell-epistemica, sia in quella gestell-paradigmatica che dà fondatezza all’ontologica gestell-grund come alla gestell-abgrund, alla gestell-abissale, alla struttura ontologica dell’esser-arte nella gestell-destinanza dell’opera ‘arte. Ma perché? Forse l’ontologia della destinanza dell’esser-arte sconvolge la causalità epistemica della temporalità per eventuare sempre e in ogni luogo la gestell-ontokronotopica del destino della gestell-ikona o della gestell-imagine o gestell-imaginaria o gestell-imago nell’essere opera dell’arte dell’essere oltre che dell’esserci. Già altri hanno svelato l’interagenza del tempo-figura col tempo-immagine o dell’immagine-tempo o dell’imago-tempo qui si discoprirà l’ontologia dell’imagine-spazio o dell’imagine-spaziotempo o dell’imago-spaziotempo fondanti lo spaziotempo-imagine o lo spaziotempo-figura o lo spaziotempo-imago nella gestell-ontopoetica o nella gestell-poetante-pensante dell’essere-arte. Lì l’ikona-tempo si disvela sempre nella sua qualità di ikona-spazio-tempo, quale ikona spaziotemporale dell’aletheia-tempo o dell’aletheia-spaziotempo disvelante sempre la gestell-aletheia o gestell-verità o la struttura ontologica della gestell-tecnè quale gestell-poiesis o gestell-ontopoiesis della gestell-ontoteleologica della gestell-ikona dell’esser-arte e non altro, ma che si dà quale fondatezza della destinanza epistemica dell’ontokronotopia. È la gestell-templata dell’ontologia dell’esser-arte che si dà quale opera d’arte del musagete, dell’esserci che cura nella rdura ontologica l’eventuarsi della gestell-ontopoietica. L’esser-arte è la misura di tutte le cose della mondanità, delle entità della mondità, dell’esserci, della presenza assentemente-presente, dell’essere nel mondo dell’arte, dell’imagine dell’essere nella mondità, dell’imago dell’essere, dell’ikona dell’essere, della gestell dell’opera d’arte, della struttura ontologica dell’opera d’arte. L’esser-arte è la misura, la destinanza ontokronotopica, del musagete, della gestell-musagete, della struttura ontologica dell’esser-musagete, dell’esserci quale musagete della gestell-imago, della gestell-imagine, della gestell-ikona della gestell-poetante-pensante. È la prova ontologica dell’esistenza dell’opera d’arte o meglio la prova ontologica dell’esistenza della gestell-arte, della struttuta ontologica dell’esser-arte. Non solo e non tanto quale prova ontologica dell’esistenza delle entità dell’arte, o quale prova ontologica dell’epistemica o ermeneutica dell’opera d’arte, giacchè l’esserci nella mondità delle opere d’arte è già presente nell’ontocronia del mondo, ma quale presenza ontokairosa della gestell-templata dell’esseRe: l’opera d’arte non è e non sarà mai solo l’ontica imagine del mondo ontocronico o utopico o distopico, ma sempre la gestell-ikona dell’essere ontocronotopia della ontokairostopia o ikonotopia dell’esseRe. La gestell-ikona non è più l’essere animato o l’esserci del musagete, ma non è altrettanto l’essere inanimato delle imagini del mondo, se mai sarà per sempre l’essere dis-animato dis-animante l’ikona dell’essere: senza essere anima o entità onteteologica o solo mitica o ematopoietica, l’indeterminatezza dell’animato o dell’inanimato per essere dis-anima della struttura ontologica ontopoietica dell’imagine-dell’esseRe. Ma che significa ikona dis-animata della gestell dell’opera d’arte? È l’ontologia dell’imagine del vuoto, l’imagine della radura o l’ikona del vuoto o l’ikona della radura che si dà nell’origine o nell’originalità dell’opera d’arte quale ikona o imagine dell’essere libero dalle entità ontiche della mondanità del nulla o del niente o del non-ente, quale ontologia della libertà dell’ikona ell’essere liberata dalle immagini del nulla o del niente o del nihilismo ontico delle varie volontà di potenza categoriche dell’imperativo mondano epistemico delle entità del vuoto quantico. Solo l’imagine del vuoto consente all’essere d’abitare poeticamente la radura-gestell-ontopica: là l’imagine dell’essere si disvela libera quale misura della mondità ontocronotopica. Qui si discopre l’autentica ermeneutica ontologica della misura quale gestell-templata o gestell-templare o struttura ontologica template dell’ikona dell’essere, mentre la misura classica o simmetrica si adeguò all’imagine ontica della temporalità ontocronica. Solo la gestell-ikona disvela la destinanza della singolarità che si eventua nel sentiero ininterrotto nella radura fondale-gestell. Lì l’aletheia della gestell o la verità della struttura ontologica consente all’ikona d’essere opera d’arte, ma anche consente alla verità di disvelarsi nell’opera d’arte quale evento della verità o evento dell’aletheia o evento della disvelatezza dell’ikona-gestell dell’esseRe. L’opera d’arte è la verità o meglio l’esser-arte è l’aletheia dell’ikona-gestell della destinanza dell’esseRe. Mentre la verità epistemica o ermeneutica si adeguano alle verità ontiche delle entità categoriche, la verità dell’opera d’arte disvela l’essere delle entità e non solo: la gestell-aletheia discopre l’ikona del vuoto o l’imagine della radura ove possa abitare poeticamente l’essere ed ove possa aleggiare l’evento dell’aletheia-destinanza. Ma forse quel che è più rilevante qui ed ora è la messa in opera della verità dell’ikona dell’abisso, dell’imagine dell’abgrund dell’essere: l’opera d’arte nella nostra epoca è innanzi tutto l’ontologia della gestell dell’ikona dell’abisso ell’esseRe. c’è una differenza ontologica nell’ontica della verità: c’è una verità epistemica fondata sui modelli della matesis, c’è una verità ermeneutica narrativa ed eterotopica o ontocronica, invece l’esser-arte eventua l’aletheia ontologica quale messa in opera dell’essere nell’opera d’arte. C’è l’interessere tra le tre varietà di verità e c’è l’interesserci epistemico nel senso che tutte le varietà-verità si danno, si offrono alla mondità quale comprensione del mondo, dell’essere delle entità e prova ontologica o ontoteologica o ontoteleologica dell’esistenza dell’essere-opera-d’arte o dell’esser-arte, ma anche dell’esser-epistemè-dell’arte o dell’essere epistemica ontologica dell’opera d’arte. Anzi solo la verità messa in opera dall’opera d’arte discopre sia l’ermeneutica sia l’epistemica ontologica dell’essere arte dell’esseRe. Qualora si desideri comprendere anche l’essere opera d’arte delle entità mondane è consentito anche privarsi dell’ontologia per affidarsi alla classica ermeneutica epistemica per discoprire solo le verità delle entità della mondanità. Ma che cos’è il mettersi in opera dell’esser-arte? Anzi che cos’è la gettanza dell’esser-arte nell’opera d’arte? È la gettatezza-della-verità della destinanza templata dell’essere nell’aletheia fondale, grund ed abgrund, dell’opera d’arte che si dà, si getta nella mondità ontokronotopica. L’essere si eventua nell’opera d’arte quale aletheia, disvelatezza dell’ontologia dell’essere, dell’esserci, dell’essere delle entità mondane, dell’interesserci, dell’interessere: tutte varietà compresenti nella gettatezza-dell’opera-d’arte quale aletheia ontologica dell’essere ontoikona, ontoimagine, ontoimago, ontopoiesis. Il werk-setzen delle varietà topologiche della verità dell’essere si danno, si eventuano, si gettano quale fondale o fondamenta nel corso dell’opera d’arte senza mai abbandonarla anche quando gli dei fuggono e il tramonto dell’occidente si secolarizza, per sempre il setzen si getta intenzionalmente per essere contemplato dallo sguardo dell’esserci, dal musagete, dall’interesserci delle entità mondane della tecnè clonante: mai la verità tramonta, è sempre presente nell’opera d’arte, nella werk-setzen al di là della storia, aldilà del bene e del male, aldilà delle entità klonate della tecnè. Come mai solo l’opera d’arte riesce a trascendere il corso della storia o della temporalità o dell’ontocronia? Tra le tante ipotesi quella più ontologica è la messa in cura della verità dell’essere. Solo nell’opera d’arte l’aletheia ontologica si cura da sé, si getta, si fonda e si cura senza gli dei fuggitivi, senza più il musagete preda dell’oblio dei tempi-mala-tempora o del destino cinico e barale, senza l’obsololescenza nihilista della tecnica klonante. L’essere nella gettatezza-della-werk-setzen cura da sé l’esser-arte, senza la cura ontocronica o ermeneutica, anzi si cura senza l’epistemica ermeneutica e senza la tecnè klonante, getta la sua cura della sua verità da sé quale interessere ontopico che abita poeticamente il vuoto cosmico o la radura ontologica ontokronotopica. È l’esser arte che ci viene-incontro, che si disvela per essere contemplata dall’interesserci dei musageti, così si dà, si cura nella sua futura-anteriorità-gìà-stata e sempre ontologicamente presentemente assente. Nel suo essere già-stata si getta nell’ontokronia anche quale ob-getto, gegenstand, contr-ada, fondale che si getta allo sguardo sempre di fronte quale gettanza della verità dell’interessere non contemplato dalla storia delle entità clonate della tecnè. Il werksein, la gettanza fondale della aletheia-interessere si dà e si cura da sé quale essere-opera o essere-gettatezza-dell’arte e si eventua sempre quale ontologia dell’evento-verità, aldilà di tutte le interpretazioni infinite o delle clonazioni riproducibili, giacchè nell’opera d’arte è all’opera o si getta, si dà, si cura l’evento della verità ontologica dell’interessere o dell’essere dell’aletheia o dell’essere-arte-della-verità-nella-physis. Anche quando gli dei fuggono della werksein e la werk-sein non è più una entità mondana ontoteologica o quando il musagete è abbandonato all’oblio dalla mondanità, anche allora la templata-werksein si dà alla conteplanza, giacché la sua destinanza si getta e si cura da sé, si eventua nella physis quale evento della verità ontologica. È la gestell della worksein che si dà e si cura e si getta da sé: l’istallarsi poeticamente nella radura della physis eventua l’evento della verità dell’esser-arte, ma discopre e dispiega anche la destinanza templata dell’aletheia dell’interessere: il werk-sein è la gestell dell’essere-nella-physis, è l’istallarsi della destinanza dell’evento della verità ontologica nella radura fondale ove l’interessere possa abitare poeticamente, anzi l’essere in opera lascia libertà d’essere all’arte, ma anche lascia libertà d’essere al mondo, lascia liberi gli dei di fuggire senza perdere la sua originalità, lascia libero il nihilismo della tecnica di clonarsi senza decostruirsi nella sua gestell, nella sua struttura ontologica, lascia libera alla mondanità il suo percorso e il suo tramonto, giacchè l’evento della sua libertà si getta e si cura quale libertà ontologica dell’essere-arte della verità-destinanza che si eventua nella physis per lasciare libera la physis di esserci anche quando gli dei fuggono e la tecnè si cura solo di klonare le entità mondane. Anche quando il werksein si sottrae per lasciare ampia libertà di dispiegamenti mondani delle entità epistemiche nella loro volontà di potenza imperativa, anche allora non fugge insieme agli dei ma abita dis-ascosto, assentemente presente l’esser-arte nella sua varietà d’essere-evento-della-verità quale aletheia della destinanza della libertà. Il suo essere dis-ascosto si eventua nel sottrarsi, il porsi aldilà, il gettarsi oltre il nihilismo della tecnè mondana, oltre il tramonto dei paradigmi epistemici ed ermeneutici per essere opera ontologica dell’interessere-nella-physis. Ma la werksein si eventua non solo nel fondale, nel grund quale setzen degli eventi ella verità, ma anche nel contempo simultaneamente, anzi kairos-logicamente, nell’abgrund, là ove gli dei non hanno mai soggiornato e gli imperativi categorici delle entità epistemiche non si sono mai avventurati, né il nihilismo della tecnè si è mai sospinto oltre, anzi l’abisso ontologico ha sempre diffuso il senso di timore del nulla o del niente, invece l’abisso è proprio l’assenza del non-ente, l’annichilirsi del nulla per lasciar liberi d’essere la mondità e l’esserci delle entità epistemicamente comprensibili. L’esser-arte dell’abisso, dell’ab-grund eventua l’ikona della radura ontologica quale ontopia dell’essere inenarrabile, inaudita, indicibile, indecidibile, mai completamente interpretabile, né epistemicamente fondabile nelle categorie imperative della volontà di potenza della tecnè-klonica o della ermeneutica metafisica trascendentale pre-post-fenomenologica. Per gli eventi dell’essere abisso ontologico della physis c’è solo la comprensione dell’essere arte all’opera, in attività, in interagenza tra l’essere e la sua radura vuota ontopica. Solo la werksein, la messa in opera dell’essere dell’arte consente al musagete di accogliere l’ascolto dell’opera d’arte che si getta nell’abisso della radura ontologica per gettare le fondamenta del fondale ell’esser-arte quale ikona della physis, del mondo, dell’interessere, dell’interesserci, dell’interagenza ontopica. Ma quella ikona non è mai epistemicamente presente, si disvela solo nel suo essere indisascosta o dis-ascosta ontologicamente inaudita per i più ed indicibile: solo al musagete presente evidentemente, solo l’interagenza del musagete consente all’evento dell’essere abissale di gettarsi nell’opera dell’aletheia dell’esser-arte. Solo il musagete disvela il mistero o l’enigma dell’opera d’arte: l’arte ama nascondersri o essere sempre indisascosta, ma nel medesimo istante, per paradosso epistemico o ermeneutico, l’esser-arte ama disvelarsi, ama discoprire la sua radura abissale, la sua physis ontopica, la sua gestell ontokronokairoslogica oontokairostopica. Solo così l’esser-arte si dispiega all’infinito nell’a-peiron, nel senza-limiti mondani, nel sub-lime, ma la sua gettanza fonda il fondale topologico, ontopico altrochè epocale ontocronico, si dà per raccogliersi-in-un-confine, si getta per eventuare la gestell, la struttura ontologica dell’interagenza con la physis: delimita la spazialità del sentiero ininterrotto della destinanza dell’essere configurazione ikonica della radura ontologica ove l’essere possa abitare poeticamente. Solo con l’esser-arte si evntua la disascosità dell’aletheia, mai adeguata onticamente o epistemicamente o ermeneuticamente, ma sempre sottratta all’evidenza della mondità, ma visibile alla contemplazione del musagete, inaudita ma udibile, paradossale o eristica ma morfo-genica per la destinanza e l’interagenza dell’interessere e dell’interesserci. Lì in quel apparente paradosso o eristica epistemica o ermeneutica la verità stessa è dis-ascosta, anzi l’aletheia si disvlela quale dis-verità o essere opera della dis-aletheia dell’esser-arte, si discopre quale dis-inveramento della gestell-arte o struttura ontologica dis-inverata della dis-verità dell’opera d’arte. La verità nell’opera d’arte ci appare quale aletheia-della-dis-inveratezza-dell’essere, o meglio quale verità-dis-ascosta-della-dis-inveratezza dell’esser-arte, giacchè l’arte ama la disinveratezza, ma ama anche la dis-ascosità della disvelatezza dell’aletheia dell’esseRe. Nella sua eristica epistemica ed ermeneutica del nascondersi e disvelarsi la disascosità della verità dell’esser-arte getta nella radura le fondamenta del sentiero della destinanza ontokronotopica, quale gestell dell’essere-opera dell’opera d’arte o meglio nell’esser-opera è all’opera la verirà dis-ascosta della dis-in-veratezza o che nell’essere opera d’arte vi è custodita e curata l’aletheia-dis-ascosta della dis-in-veratezza dell’esser-arte. Quando si legge o si ascolta una poesia, quando si contempla una immagine nelle sue relativa varietà dimensionali palesi o nacoste, quando l’inaudito aleggia dalla voce dell’esserci dal talento geniale del musagete è all’opera la verità dis-ascosa della dis-in-veratezza dell’esser-arte ed è quell’aletheia che si disvela nella radura vuota e che traccia il sentiero ininterrotto della destinanza dell’interessere. L’interagenza e l’eristica di quella verità-dis-ascosità getta le fondamenta dell’epoca dell’imagine della mondità o della sua bellezza o della sua classicità o della sua rinascenza o della sua surrealtà: la bellezza è, sarà, fu la varietà della verità-dis-ascosità custodita e curata nell’opera dell’esser-arte. Quella interagenza consente all’arte di essere-creata dall’esserci-musagete o meglio solo quando l’opera d’arte è creata dall’essere-verità-dis-ascosa della dis-in-veratezza o che almeno quell’aletheia vi abiti poeticamente, solo allora la verità è arte e l’arte è la verità dell’essere opera d’arte. Lì si dà l’arte o l’arte si dà quale werksein: l’origine o l’originalità dell’opera d’arte o del musagete è l’arte della verità dis-ascosa della dis-in-veratezza dell’esser-creata, custodita e curata nella radura ove si disveli la destinanza dell’interessere. Si può intuire che la verità ontologica sia anche in opera nella mitopoiesis o forse nel mito quale aletheia dell’esser-arte almeno in apparenza, ma una più approfondita ermeneutica ontologica ci svela come non sia così semplice: nel mito la verità non è in opera quale aletheia-in-dis-ascosità-dis-in-veratezza, ma quale verità-adeguatezza ontoteologica che conforti il sacro senza creare ermeneuche eristiche, anzi quella stabilità epistemica può dispiegare metafisiche influenti per la verità-epistemica o verità tecnica fondata su modelli della matesis. Nella mitopoiesis invece il musagete ascolta la messa in opera della verità ontologica la sola che gli consenta l’interagenza con l’esser-arte della verità quale opera d’arte creata dall’essere che eventui l’essere-creata dal musagete. L’essere-creata dell’opera d’arte eventua l’epistemica ontologica della tecnè, ma soprattutto discopre l’evento della aletheia-dis-ascosità quale gestell della destinamza dell’essere-arte-creata dall’interagenza dell’esserci con la radura vuota e senza limiti, la radura sub-lime del fondale ove l’interessere possa soggiornare poeticamente in sinestesia con l’evento della verità-disascosità-disvelatezza-dis-verità-dis-aletheia. Qui nella mitopoisis come mell’ontopoiesis o nella poiesis stessa l’epistemica on tologica della verita si discopre quale in-disasconsità, ma anche quale dis-disascosità, meglio in aletheia e in dis-aletheia, in velatezza e disvelatezza indicibile ma sempre creata dall’esser-arte dell’interesserci con la physis. Solo quando l’esser-creata custodisce e cura l’aletheia-disascosità si eventua l’attrazione verso l’opera dell’esser-arte, anzi è la verità-attanza che attira la contemplazione dell’esserci, è l’aletheia-attanza che discopre il sentiero ininterrotto della destinanza d ell’essere-arte-creata-dall’essere
Ontologia dell’opera d’arte mah…essere per la salvezza dell’essere significa essere per la salvezza dell’arte?
E l’opera d’arte aiuterà l’essere a salvarsi? Mah… solo l’opera d’arte ci può salvare?
E solo l’arte salverà l’essere o il mito ontoteologico della salvezza della mondità? Solo l’arte ci potrà salvare? Solo il mito dell’opera d’arte può salvare il mito delle muse della poiesis o dell’ontopoiesis?
Ma l’arte è anche la salvezza del musagete, quale essere divinità che si dà all’arte o dà all’arte la fondatezza del mito? O che disvela con l’arte l’ontologia ontopoietica dell’opera dell’esser-arte-nella mondità come nella mondanità, o esser-arte-per-la-morte dell’arte… Già nelle origini della ermeneutica poetica la mimesis disvela la fondatezza della physis: aldilà della classicità simulativa, imitativa, clonante, tautologica, la mimesis quale apprensività attraverso lo sguardo, cattura con la vista, con gli occhi l’essere che si disvela nella sua physis. E’ l’esserci che com-prende contemplando l’eventuarsi della physis dell’essere, della natura dell’essere, dell’essere-nella-mondità. E’ la mimesis del disvelarsi dell’essere poetante…o l’ontologia dell’icona della physis quale ontologia dell’ikona dell’essere nel mondo. O l’ontologia della temporalità della physis che si disvela nel mondo quale spazialità immaginaria nella radura immaginaria ove s’eventua quale opera d’arte immaginaria… anzi l’ontologia fluttuante dell’essenza dell’essere poetante dà senso e dà alla luce la physis, non la imita o la modella o la ricorda, la divela quand’era abbandonata nell’oblio dalla fuga precipitosa degli dei epistemici, mitici, tecnici, ontoteologici quali il deus ex machina, la macchina poetica aristotelica. E’ indispensabile intraprendere gli studi e le ricerche dell’ontologia dell’opera d’arte, giacchè nel nuovo millennio tutte le configurazioni del sapere epistemico, ma anche le ontologie ermeneutiche, hanno evidenziato i propri confini aldiqua dell’essere-opera-d’arte, per concentrarsi solo sull’ontica, sulle entità narrate o sulle superentità ontoteologiche. L’epistemica dell’opera d’arte si è confinata nella sua ortogonalità calcolante, l’interpretanza ermeneutica ed intenzionale non si cura di offrire una fondatezza né alla nuova epistemica, né alla matesis virtuale, né alla physis immaginaria, né alla temporalità ontologica, men che mai dà fondamenta stabili alla struttura ontologica dell’opera d’arte. Solo il pensiero della disvelatezza resiste, o persiste nella sua re-esistenza, sostenuto dalla sua struttura ontologica fondata sull’essenza dell’essere-opera-d’arte-nel-mondo-per-la-morte. Ma la sua origine, o originalità o singolarità, non dispiega la sua pregnanza oltre la soglia del pensiero poetante che contempla poeticamente l’opera d’arte o la interpreta infinitamente nella temporalità kairos-logica più tosto che cronologica. Per raggiungere anche i sentieri interrotti della physis poetante dell’opera d’arte e quindi anche la fondatezza non tecnica della teknè, o il fondamento non epistemico dell’epistemica, la physis dell’opera d’arte si dovrà eventuare nella struttura ontologica dell’essere animati, aldilà dall’essere solo opera inanimata, per gettare le fondamenta nella radura, nel vuoto quantico epistemico, della topologia fluttuante dell’essere opera d’arte che si dà alla mondità per inter-essere o inter-esserci opera d’arte dell’essere animato che getta quale icona dell’essere-nel-mondo-della-morte-dell’arte. Può l’ontolgia dell’opera d’arte raccogliere gli eventi gettati nel sentiero dell’essere ed intraprendere la biforcazione dell’oltre che conduce alla radura, alla spazialità topologica sgombra dalle temporalità epistemiche o anche ermeneutiche, per approdare alla libera luce senza fondo, senza fondale, senza fondamenti epistemici, senza grund ma solo ab-grund, abissi ove l’evento dell’ikona poetante dell’essere possa abitare poeticamente quale opera d’arte dell’essere-poetante? E’ inevitabile intraprendere perciò il sentiero interrotto dell’ontologia dell’opera d’arte la quale ci porterà all’ascolto dell’intermittenza dell’essere-poetante-poeticamente-opera-d’arte-nel-corso-della-temporalità-immaginaria, ma anche delle temporalità kairoslogiche o kronoslogiche che si disvelano nella radura illuminante del kaosmos o nel campo morfogenico della physis dell’interessere o dell’interesserci animato dell’opera d’arte. Il sentiero, il meta-odos, il metodo, il seynweg che condurrà l’ontologia dell’opera d’arte verso la radura, sgombra, libera dalle scorie della volontà di potenza come opera dell’arte o della tecnè dell’imperativo categorico dell’epistemica tecnica vittima del pensiero calcolante, clonante, simulante, imitante, mimetico, quale mimesis dell’arte; ma anche oltre la classica decostruzione ermeneutica dell’ontologia storica privilegiante l’essere inanimato dell’arte o il superente ontoteologico, per abitare il vuoto ontologico là ove la seinpoiesis, l’ontopoiesis, possa disvelare la sublimità dell’interessere o interesserci opera d’arte dal classico alla temporalità virtuale. La ricerca filosofica della nuova ontologia dell’opera d’arte avrà quale priorità la libertà dell’essere poetante nella mondità e nella physis poetante: in qualità d’essere libertà poetante dell’interessere o dell’interesserci nell’opera d’arte nel corso del tempo. E’ ineludibile nella nuova epoche del nuovo millennio intraprendere il sentiero interrotto, la seinweg che ci conduce all’ascolto dell’intermittenza poetante dell’opera d’arte nel suo eventuarsi quale ikona dell’interessere o interagenza dell’interesserci dell’ontopoiesis o della seinpoiesis. Gli eventi intermittenti dell’ontopoiesis dell’opera d’arte si gettano nel campo morfogenico e nella radura ontologica per sgombrare prioritariamente le scorie e lasciare libertà di campo topologico all’evento dell’ikona dell’essere quale opera dell’arte dell’interessere o dell’interesserci abitante poeticamente la physis, la natura, dell’opera d’arte. Senza la libertà dell’essere opera d’arte quale libertà dell’essere nell’essere in physis poetante l’interessere non può abitare poeticamente la physis dell’opera d’arte, la natura ontologica, la struttura ontologica dell’arte. L’intermittenza dell’interagenza dell’interessere o interesserci assentemente presente o presentemente assente, nell’ontologia classica o poetante, abitò già nell’origine la tecnè o meglio nell’ontologia della tecnè ovvero nell’ontologia dell’opera d’arte. Quale opera d’arte prima dell’evento della tecnica, quale arte prima d’essere opera tecnologica dell’arte sia nella progettuali che nella poetica, sia nella gestell, quale struttura ontologica dell’opera d’arte che nella morfogenesi della configurazione ikonica o immaginante. Ma l’ ontologia dell’opera d’arte si disvelò assentemente presente anche nella matesis trasfigurante l’arte in tecnè, quale topologia dell’essere o interagenza dell’interessere o interesserci nella mondità prima di fossilizzarsi in epistemica del pensiero calcolante inanimato che contempli onticamente solo le entità della mondanità o le superentità delle ontoteologie conflittuali per le egemonie fondamentalistiche o relativistiche, clonanti metafore narrative algebriche, poliedriche, cabalistiche, iconoclastiche innanzi tutto quali artefici di roghi dell’icona dell’essere nel mondo o evento dell’ikona dell’essere nell’opera d’arte. Il luogo ove storicamente quegli eventi si evidenziano è la gestell dell’opera d’arte quale epistemè dell’essere alla mano, saper fare poetico, interagenza poetante che si dà, si getta nell’impianto, nella struttura ontologica abitandole poeticamente…successivamente quella eventualità mondana decade in volontà di potenza attanziale, attraente, attuante, attrattoriale, imperativa categoricamente di una superentità mondana, valorizzante storicamente solo ontoteologie mitiche fondamentali solo epistemicamente ed ermeneuticamente frattali e sferiche. Il ritorno al futuro dell’ontologia dell’opera d’arte disvelerà un altro possibile, virtuale, sentiero ininterrotto attraversante sia la matesis topologica dell’essere-opera-d’arte, sia la tecnè epistemica imperativa della volontà di potenza mondana dionisiaca o apollinea che si desideri, sia l’epistemè abbandonata dall’ontologia classica al naufragio e al nihilismo senza orizzonte, senza fondale, né fine, né senso, né futuro, né salvezza. E’ ineludibile intraprendere sintagmaticamente la ricerca, giacchè l’ontologia classica ha eluso la fondatezza non matematica della matesis, la fondatezza non logica del logos, la fondatezza non mitica del mitos, la fondatezza non epistemica dell’epistemè, la fondatezza non tecnica della tecnè, la fondatezza non artigianale, o seriale, dell’opera d’arte: proprio nell’epoca ove quelle varietà superontiche rischiano di imporre le loro imperanti volontà di potenza ontoteologica fondamentali sta. Purtroppo per gli artefici dell’oblio dell’ontologia dell’opera d’arte quella presenza strisciante si dispiega nelle fondamenta dell’imperativo categorico del pensiero calcolante della tecnè, ma anche nella decostruzione ermeneutica e fin’anche nell’ontologia classica, o là ove il pensiero poetante non sappia disvelare tutta la sua sublime poiesis quale opera d’arte dell’ontopoiesis dell’interagenza dell’essere poetante. Ma perché neanche l’ontologia classica ha disvelato i dispiegamenti, sia pure intermittenti dell’interesssere o dell’interesserci dell’opera d’arte nella physis poetante. Ontologia delle opere d’arte L’opera d’arte eventua la destinanza dell’essere….o meglio il sentiero ininterrotto che non conosce oblio ma solo la risonanza dell’ikona dell’essere che si dà , si eventua quale onto-teleologia, quale sentiero del destino dell’essere:ontoteloslogia più tosto che ontoteologia, o mitopoiesis o mitologia: è l’ontopoiesis quale evento della risonanza dell’ontoteleologia dell’eSSere. Il pensiero dell’origine dell’opera d’arte dispiegò prima una ontoteologia poi un’ontica, ma mai si disvelò la ontoteleologia dell’opera d’arte o della poiesis, o del suo pensiero poetante. Solo alla fine dell’ultimo millennio la qualità di destinanza, o ontoteloslogia, si disvela quale sentiero che l’opera d’arte traccia, o getta nella mondità , quale destino ontologico dell’essere. Lì in quel sentiero ininterrotto l’eSSere si disvela nell’esserci per essere custodito nell’opera d’arte quale ikona della destinanza dell’eSSere, quale immagine del destino ontologico dell’eSSere nella mondità. La nascente ontologia dell’opera d’arte può rispondere all’enigma della destinanza dell’eSSere quale ikona dell’essere nella mondità: il destino dell’eSSere si eventua nella morfogenesi vuota della radura ove l’inter-essere poetante si getta quale ontologia della libertà della destinanza o quale attanza poetante del’essere, prima dell’attanza immaginaria nella physis e dell’attanza virtuale nella mathesis, nella tecnè, nella epistemè. Solo così l’ontologia dell’opera d’arte si eventua quale ascolto della risonanza dell’intermittenza poetante dell’essere in essere, dell’essere in attanza poetante nella physis poetante e nel kaosmos poetante quale essere che si getta nell’abisso quale fondatezza del fondale poetante che si dà quale destinanza dell’eSSere nella radura. La destinanza si getta quale fondatezza dell’essere nell’abisso dell’eSSere poetante ed eventua nella mondità l’ontologia poetante dell’opera d’arte la quale libera il sentiero della trascendenza poetante, nel kaosmos poetante, nella physis poetante, nell’essere in libertà poetante, quale sublimità poetante disvelante l’ontologia dell’opera d’arte, nella destinanza d’essere libertà poetante nel pensare l’eSSere in libertà, giacchè l’ontologia dell’opera d’arte è la libertà del pensiero poetante di pensare l’eSSere in essere libertà poetante o libertà d’essere opera d’arte dell’eSSere. La ricerca filosofica del sentiero ininterrotto dell’ontologia dell’opera d’arte quale ontologia poetante del discoprirsi della physis dell’esseRe, la quale si discopre nell’intermittenza del pensiero poetante o della poesia filosofica o poesia pensante, è ineludibile nella nuova epoche del nuovo millennio. Anzi la nuova epoca sarà caratterizzata dal discoprirsi della radura luminosa ove soggiorna l’esseRe discoperto, libero dall’imperativo categorico della volontà di potenza dell’epistemè, liberato dalle necessità del pensiero calcolante sempre meccanicamente o automaticamente adeguante l’essere alle entità o alla mondanità ontica. Nel suo discoprirsi l’ontologia dell’arte lascia invece l’essere d’essere libero in campo, nella radura, anzi in tutti i campi del sapere , del pensiero poetante e dell’arte pensante poeticamente. La ricerca filosofica degli eventi intermittenti dell’ontologia dell’opera d’arte sarà anche la classica storia dei saperi poetanti, ermeneutica dei poeti sapienti, l’ontologia dell’immagine o dell’immago, l’ontologia dell’immaginario virtuale o virtuoso. Lì soggiornerà l’essere poetante che si dà alla luce nella radura: qual sentiero topologico kaosmiko che eventua l’ontologia della physis poetante che dà fondatezza alla matesis, alla physis epistemica, alla tecnè attraverso la differenza ontologica dell’interessere poetante. La fondatezza ontologica ontopoietica della matesis si dà, si discopre quale disvelatezza dell’ontologia poetante della verità, dell’aletheia che si eventua nell’opera d’arte libera e poetante fondale ed abisso, grund e abgrund, della epistemè e della tecnè, oltre l’eterno ritorno del nihilismo della tecnica, ma anche oltre l’ontologia classica, forse però ancora necessaria solo per disvelare alla mondità a alla mondanità la nuova ontologia dell’opera d’arte quale verità ontologica che discopra l’esseRe nell’epistemè come nella matesis della physis. Ma quel che dovrà disvelarsi è l’ontologia della gegenstand sia quale essere dell’ente, sia quale esserci o essere nella physis o svelatezza dell’essere nell’opera d’arte. O meglio l’ontologia dell’opera d’arte discopre la fondatezza della differenza ontologica sempre presente sia nell’essere che nell’esserci delle entità nel corso del tempo prima che comprese dalle epistemiche della mondità. L’opera d’arte disvela innanzi tutto l’essere-nella-verità o l’essere-nell’aletheia o essere-la-verità-dell’immagine o essere la verità-dell’ikona-dell’essere. Le epistemiche mondane gettano l’oblio solo per comprendere la verità dell’ente, ma l’opera d’arte non sarà mai solo l’entità-epistemica finitamente interpretabile secondo l’ermeneutica narrativa, ma discopre sempre presente la differenza ontologica dell’essere la verità, l’aletheia dell’esserRe. L’opera d’arte non sostiene in sé la presenza della-non-verità o la non-aletheia quale oblio dell’essere, per tale pregnanza non sarà mai semplice epistemè della gegenstant delle entità del mondo che si eventuino quali intenzionalità del kosmo o della temporalità cronologica. In quella differenza l’opera d’arte disvela sempre l’ontologia della physis quale verità della natura dell’essere o aletheia dell’essere-nella-physis. Non si può più permanere nell’oblio della verità della physis, giacchè l’opera d’arte ci dispiega l’icona dell’essere nella physis anche nell’ikona epistemica della physis, quale temporalità immaginaria , quale radura nella spazialità del kaosmos. Anzi l’ontologia dell’opera d’arte non dimentica neanche il vuoto ontologico dell’essere dell’entità, giacchè lì soggiorna anche il vuoto della radura ove la verità dell’essere si discopre per gettarsi vuota-aletheia-dell’essere, vuota-disvelatezza-dell’essere. Solo così, solo quale verità ell’essere-nell’opera-d’arte l’aletheia non può più essere preda o vittima del nulla, giacchè il nulla annichilisce la verità ontica ed epistemica dell’entità, ma mai la verità dell’essere. Semmai l’aletheia dell’essere si può sottrarre o abitare assentemente l’immagine o l’icona, ma giammai annichilirsi nel nulla, nella non-entità, o nella mondanità temporale cronologica. La verità dell’essere soggiorna nel corso del tempo nell’immagine dell’opera d’arte con cura, per disvelarsi al mondo o all’esserci solo nella kairoslogia, quale singolarità ontologica che si dà, si discopre dall’abisso, si disvela dal nulla, dal suo essere sempre il non-ente, senza essere mai il niente. L’essere opera d’arte significherà così l’esser-vuota dell’ente e del nulla, libera dalle entità e dal niente, per essere solo opera, gettanza dell’essere-arte, senza tecnica né epistemica, ma solo immagine dell’essere-arte del non-ente, icona della verità della non-entità, aletheia della radura abissale ove l’essere possa abitare per sempre poeticamente quale ontologia dell’opera d’arte: giacchè l’essere è l’opera d’arte, l’essere è arte e l’arte d’essere opera d’arte quale opera d’arte dell’essere o dell’esserci. Solo così l’essere si cura, si custodisce, si libera dal nulla e dal niente oltre a mai adeguarsi alle entità della mondità fonologica, quale essere che si discopre dall’abisso per eventuare il fondale e la radura ove si possa disvelare l’opera d’arte. L’opera d’arte si dà quale esseRe che re-esiste nella radura libera e vuota e abissale per re-esistere quale opera d’arte non necessariamente epistemica o ermeneutica o ontica ma autenticamente ontologica o ontopoietica. Ontologia dell’esser-arte…0ntologia dell’esser-arte ontology-art ontologia-art ontologia della physis dell’arte…il venir-fuori-dalla-velatezza è l’essere dell’opera, il disvelarsi di una nuova morfia della physis, di una sagomatura della natura animata dell’essere, di una templarità dell’ikona della physis dell’essere. L’ontologia dell’opera d’arte è la templarità dell’immagine dell’essere nella physis, o morfia templare quale supersimmetria dell’ikona della physis dell’essere. Il disvelarsi dell’aletheia ontologica è il venire alla luce, il darsi alla luce, la gettanza che si dà alla luce nella radura vuota e libera della templarità dell’ikona della physis dell’essere, quale morfica templare dell’immagine dell’essere nella physis. Il venir fuori della disvelatezza discoprente la templarità dell’ikona della physis ontologica dell’essere. È la templarità della radura vuota, del luogo ove abita poeticamente l’essere che disvela l’ikona della physis o l’immagine dell’aletheia dell’essere, quale topologia poetante o quale ontopoiesis o quale ontoikona dell’essere nella physis. È l’ontoykona dell’essere che getta le fondamenta, si getta e si de-costruisce nella radura luminosa della physis e si eventua in morfie templari dell’immagine della physis dell’essere e si disvela all’esserci quale gegenstand, sempre di fronte, dell’ikona ontologica della destinanza dell’essere. L’ontoykona ama disvelarsi nella radura luminosa della physis dell’essere quale opera dell’essere arte per l’arte del’esseRe o per essere l’aletheia dell’essere quale evento nell’opera d’arte. L’opera d’arte ama nascondersi nell’opera dell’essere ontoykona della physis per eventuarsi quale svelatezza nel gegenstand della topologia templare dell’immagine dell’essere. Ma perché l’ontoykona si eventua sempre quale opera d’arte dell’essere più tosto che evento del nulla o del niente? Mha perché la differenza ontologica lascia all’epistemica la destinanza delle entità mondane e cura, custodisce l’aletheia della physis dell’essere quale templarità ikonica della topologia ontologica dell’essere. È la physis templata che si eventua quale opera d’arte sia nella ontocronia che nella ontokairosia: nell’ontocronia dell’essere dell’entità, nella ontokairosia dell’essere evento della singolarità originaria dell’opera d’arte. Spesso è compresente sia l’ontocronia della physis della mondità che l’ontokairosa singolarità dell’essere o meglio nell’opera d’arte è assentemente presente l’una o presentemente presente l’altra nella stessa radura luminosa dell’onto-topia dell’essere opera dell’arte o ontopia-dell’arte o ontopia dell’ikona o dell’imago dell’essere o topologia ontologica dell’onto-ikontopia. È quella la differenza ontologica della temporalità e templaticità dell’opera d’arte: mentre la ontocronia si eventua solo nella physis mondana o dell’esserci, l’ontokairosia si dà, si eventua solo nell’essere-opera-d’arte. Attenzione qui si discopre la differenza anche nell’opera fatta a mano, immagine o suono o voce che sia, il manufatto dell’esserci- ontokronia e quello dell’essere-ontokairosia: il primo si adegua alla temporalità delle entità mondane senza discoprirne l’ontologia della physis, la temporalità templata invece disvela sempre e per sempre l’ontokairos dell’ontoykona dell’essere-arte-per-l’essere prima d’essere arte-per-il-mondo o essere arte-per-esserci…ah come si farà a comprendere? L’arte per esserci o l’arte-per-la-mondanità privilegia sempre e comunque l’ontologia del presente: si adegua alla verità epistemica del mondo senza chiedere nulla di più, giacchè la sua ermeneutica è finita con l’ontokronia dell’ontica o dell’esser-solo-entità-del-mondo, anzi solo entità ontica di questo mondo senza alcuna onto-topia, ma solo u-topia o dis-topia. Lì l’essere-arte-per-essere è custodita nell’oblio o nascosta nella physis epistemica del mondo o nella mitica origine dell’esserci. Ma l’ontologia dell’ontopia dell’ontikona si sottrae dalla ontokronia per abitare poeticamente la radura luminosa della templata-ontokairosa dell’esere-arte-per-l’essere che si getta nella physis della mondità ma che si differenzia sempre nella sua interpretanza infinita, quale ermeneutica ontologica dell’essere arte per l’essRe. Qui l’impianto, la ge-stell dell’ontologia dell’opera d’arte si eventua sempre quale templarità dell’ontoikona ontopica ontopoietica, anzi la gestell, la struttura ontologica, è l’ontikona templata dell’essere opera d’arte dell’esseRe, di più è la destinanza dell’ontopoiesis dell’ikona che apre il sentiero ininterrotto nella radura vuota ontologica. L’ontologia dell’esser-arte si disvela nell’essere-la-radura, lichthung-sein, quale gestell della radura della destinanza dell’essere: lì nella spazialità vuota la struttura ontologica dell’esser-arte soggiorna poeticamente quale ikona ontopica della ontokairosia. L’essere-la-radura quale destinanza sia del grund sia dell’abgrund dell’esser-arte, sia fondamento sia abisso dell’ontologia dell’opera d’arte: lì quel che appare quale eristica epistemica si eventua quale kaosmica-ontikona dell’aldiqua e dell’aldilà. Solo così si comprende l’originalità dell’opera d’arte, giacchè la sua destinanza ontologica non subisce mai la dettattura epistemica dell’essere dell’ente perché quella eventualità si dispiega solo nell’ontokronia e mai nell’ontokarosia: può essere tangente alla tecnè, tecnica, ma mai decostruire l’essere-arte ontopica. Nell’origine dell’opera d’arte l’ontokairosia dell’ontoikona si eventua per sempre senza più essere ontokronia epistemica dell’essere-entità: l’opera d’arte non è più abbandonata dall’essere…gli dei sono fuggiti dall’opera d’arte ontoteologica, ma non l’essere dell’arte quale ontikona della gestell ontologica. Perciò l’ontologia dell’opera d’arte non sarà mai una semplice estetica dell’esserci o dell’essere-entità ontokronica, giacchè i sensi sono dispiegamenti dell’esserci e possono solo percepire le entità ontiche, mai l’essere si disvela ai sensi sempre si discopre solo all’interessere ontokairoslogico. L’ontologia dell’esser-arte discopre la compresenza nell’opera d’arte dell’interagenza tra ontokronia e ontokronotopia: mentre nell’epistemica fisica esiste solo la kronotopia quantica dell’essere dell’ente, nell’essere opera d’arte si eventua l’essere della ontologia kronotopica ikonica che dispiega l’ontocronia iconica già assentemente presente nell’ontocronia quantica. Nella physis c’è la destinanza dell’essere quale gestell-ontokronica la quale si dà sia nella gestell-ontologica, sia nella gestell-ontica, sia nella gestell-epistemica, sia in quella gestell-paradigmatica che dà fondatezza all’ontologica gestell-grund come alla gestell-abgrund, alla gestell-abissale, alla struttura ontologica dell’esser-arte nella gestell-destinanza dell’opera ‘arte. Ma perché? Forse l’ontologia della destinanza dell’esser-arte sconvolge la causalità epistemica della temporalità per eventuare sempre e in ogni luogo la gestell-ontokronotopica del destino della gestell-ikona o della gestell-imagine o gestell-imaginaria o gestell-imago nell’essere opera dell’arte dell’essere oltre che dell’esserci. Già altri hanno svelato l’interagenza del tempo-figura col tempo-immagine o dell’immagine-tempo o dell’imago-tempo qui si discoprirà l’ontologia dell’imagine-spazio o dell’imagine-spaziotempo o dell’imago-spaziotempo fondanti lo spaziotempo-imagine o lo spaziotempo-figura o lo spaziotempo-imago nella gestell-ontopoetica o nella gestell-poetante-pensante dell’essere-arte. Lì l’ikona-tempo si disvela sempre nella sua qualità di ikona-spazio-tempo, quale ikona spaziotemporale dell’aletheia-tempo o dell’aletheia-spaziotempo disvelante sempre la gestell-aletheia o gestell-verità o la struttura ontologica della gestell-tecnè quale gestell-poiesis o gestell-ontopoiesis della gestell-ontoteleologica della gestell-ikona dell’esser-arte e non altro, ma che si dà quale fondatezza della destinanza epistemica dell’ontokronotopia. È la gestell-templata dell’ontologia dell’esser-arte che si dà quale opera d’arte del musagete, dell’esserci che cura nella rdura ontologica l’eventuarsi della gestell-ontopoietica. L’esser-arte è la misura di tutte le cose della mondanità, delle entità della mondità, dell’esserci, della presenza assentemente-presente, dell’essere nel mondo dell’arte, dell’imagine dell’essere nella mondità, dell’imago dell’essere, dell’ikona dell’essere, della gestell dell’opera d’arte, della struttura ontologica dell’opera d’arte. L’esser-arte è la misura, la destinanza ontokronotopica, del musagete, della gestell-musagete, della struttura ontologica dell’esser-musagete, dell’esserci quale musagete della gestell-imago, della gestell-imagine, della gestell-ikona della gestell-poetante-pensante. È la prova ontologica dell’esistenza dell’opera d’arte o meglio la prova ontologica dell’esistenza della gestell-arte, della struttuta ontologica dell’esser-arte. Non solo e non tanto quale prova ontologica dell’esistenza delle entità dell’arte, o quale prova ontologica dell’epistemica o ermeneutica dell’opera d’arte, giacchè l’esserci nella mondità delle opere d’arte è già presente nell’ontocronia del mondo, ma quale presenza ontokairosa della gestell-templata dell’esseRe: l’opera d’arte non è e non sarà mai solo l’ontica imagine del mondo ontocronico o utopico o distopico, ma sempre la gestell-ikona dell’essere ontocronotopia della ontokairostopia o ikonotopia dell’esseRe. La gestell-ikona non è più l’essere animato o l’esserci del musagete, ma non è altrettanto l’essere inanimato delle imagini del mondo, se mai sarà per sempre l’essere dis-animato dis-animante l’ikona dell’essere: senza essere anima o entità onteteologica o solo mitica o ematopoietica, l’indeterminatezza dell’animato o dell’inanimato per essere dis-anima della struttura ontologica ontopoietica dell’imagine-dell’esseRe. Ma che significa ikona dis-animata della gestell dell’opera d’arte? È l’ontologia dell’imagine del vuoto, l’imagine della radura o l’ikona del vuoto o l’ikona della radura che si dà nell’origine o nell’originalità dell’opera d’arte quale ikona o imagine dell’essere libero dalle entità ontiche della mondanità del nulla o del niente o del non-ente, quale ontologia della libertà dell’ikona ell’essere liberata dalle immagini del nulla o del niente o del nihilismo ontico delle varie volontà di potenza categoriche dell’imperativo mondano epistemico delle entità del vuoto quantico. Solo l’imagine del vuoto consente all’essere d’abitare poeticamente la radura-gestell-ontopica: là l’imagine dell’essere si disvela libera quale misura della mondità ontocronotopica. Qui si discopre l’autentica ermeneutica ontologica della misura quale gestell-templata o gestell-templare o struttura ontologica template dell’ikona dell’essere, mentre la misura classica o simmetrica si adeguò all’imagine ontica della temporalità ontocronica. Solo la gestell-ikona disvela la destinanza della singolarità che si eventua nel sentiero ininterrotto nella radura fondale-gestell. Lì l’aletheia della gestell o la verità della struttura ontologica consente all’ikona d’essere opera d’arte, ma anche consente alla verità di disvelarsi nell’opera d’arte quale evento della verità o evento dell’aletheia o evento della disvelatezza dell’ikona-gestell dell’esseRe. L’opera d’arte è la verità o meglio l’esser-arte è l’aletheia dell’ikona-gestell della destinanza dell’esseRe. Mentre la verità epistemica o ermeneutica si adeguano alle verità ontiche delle entità categoriche, la verità dell’opera d’arte disvela l’essere delle entità e non solo: la gestell-aletheia discopre l’ikona del vuoto o l’imagine della radura ove possa abitare poeticamente l’essere ed ove possa aleggiare l’evento dell’aletheia-destinanza. Ma forse quel che è più rilevante qui ed ora è la messa in opera della verità dell’ikona dell’abisso, dell’imagine dell’abgrund dell’essere: l’opera d’arte nella nostra epoca è innanzi tutto l’ontologia della gestell dell’ikona dell’abisso ell’esseRe. c’è una differenza ontologica nell’ontica della verità: c’è una verità epistemica fondata sui modelli della matesis, c’è una verità ermeneutica narrativa ed eterotopica o ontocronica, invece l’esser-arte eventua l’aletheia ontologica quale messa in opera dell’essere nell’opera d’arte. C’è l’interessere tra le tre varietà di verità e c’è l’interesserci epistemico nel senso che tutte le varietà-verità si danno, si offrono alla mondità quale comprensione del mondo, dell’essere delle entità e prova ontologica o ontoteologica o ontoteleologica dell’esistenza dell’essere-opera-d’arte o dell’esser-arte, ma anche dell’esser-epistemè-dell’arte o dell’essere epistemica ontologica dell’opera d’arte. Anzi solo la verità messa in opera dall’opera d’arte discopre sia l’ermeneutica sia l’epistemica ontologica dell’essere arte dell’esseRe. Qualora si desideri comprendere anche l’essere opera d’arte delle entità mondane è consentito anche privarsi dell’ontologia per affidarsi alla classica ermeneutica epistemica per discoprire solo le verità delle entità della mondanità. Ma che cos’è il mettersi in opera dell’esser-arte? Anzi che cos’è la gettanza dell’esser-arte nell’opera d’arte? È la gettatezza-della-verità della destinanza templata dell’essere nell’aletheia fondale, grund ed abgrund, dell’opera d’arte che si dà, si getta nella mondità ontokronotopica. L’essere si eventua nell’opera d’arte quale aletheia, disvelatezza dell’ontologia dell’essere, dell’esserci, dell’essere delle entità mondane, dell’interesserci, dell’interessere: tutte varietà compresenti nella gettatezza-dell’opera-d’arte quale aletheia ontologica dell’essere ontoikona, ontoimagine, ontoimago, ontopoiesis. Il werk-setzen delle varietà topologiche della verità dell’essere si danno, si eventuano, si gettano quale fondale o fondamenta nel corso dell’opera d’arte senza mai abbandonarla anche quando gli dei fuggono e il tramonto dell’occidente si secolarizza, per sempre il setzen si getta intenzionalmente per essere contemplato dallo sguardo dell’esserci, dal musagete, dall’interesserci delle entità mondane della tecnè clonante: mai la verità tramonta, è sempre presente nell’opera d’arte, nella werk-setzen al di là della storia, aldilà del bene e del male, aldilà delle entità klonate della tecnè. Come mai solo l’opera d’arte riesce a trascendere il corso della storia o della temporalità o dell’ontocronia? Tra le tante ipotesi quella più ontologica è la messa in cura della verità dell’essere. Solo nell’opera d’arte l’aletheia ontologica si cura da sé, si getta, si fonda e si cura senza gli dei fuggitivi, senza più il musagete preda dell’oblio dei tempi-mala-tempora o del destino cinico e barale, senza l’obsololescenza nihilista della tecnica klonante. L’essere nella gettatezza-della-werk-setzen cura da sé l’esser-arte, senza la cura ontocronica o ermeneutica, anzi si cura senza l’epistemica ermeneutica e senza la tecnè klonante, getta la sua cura della sua verità da sé quale interessere ontopico che abita poeticamente il vuoto cosmico o la radura ontologica ontokronotopica. È l’esser arte che ci viene-incontro, che si disvela per essere contemplata dall’interesserci dei musageti, così si dà, si cura nella sua futura-anteriorità-gìà-stata e sempre ontologicamente presentemente assente. Nel suo essere già-stata si getta nell’ontokronia anche quale ob-getto, gegenstand, contr-ada, fondale che si getta allo sguardo sempre di fronte quale gettanza della verità dell’interessere non contemplato dalla storia delle entità clonate della tecnè. Il werksein, la gettanza fondale della aletheia-interessere si dà e si cura da sé quale essere-opera o essere-gettatezza-dell’arte e si eventua sempre quale ontologia dell’evento-verità, aldilà di tutte le interpretazioni infinite o delle clonazioni riproducibili, giacchè nell’opera d’arte è all’opera o si getta, si dà, si cura l’evento della verità ontologica dell’interessere o dell’essere dell’aletheia o dell’essere-arte-della-verità-nella-physis. Anche quando gli dei fuggono della werksein e la werk-sein non è più una entità mondana ontoteologica o quando il musagete è abbandonato all’oblio dalla mondanità, anche allora la templata-werksein si dà alla conteplanza, giacché la sua destinanza si getta e si cura da sé, si eventua nella physis quale evento della verità ontologica. È la gestell della worksein che si dà e si cura e si getta da sé: l’istallarsi poeticamente nella radura della physis eventua l’evento della verità dell’esser-arte, ma discopre e dispiega anche la destinanza templata dell’aletheia dell’interessere: il werk-sein è la gestell dell’essere-nella-physis, è l’istallarsi della destinanza dell’evento della verità ontologica nella radura fondale ove l’interessere possa abitare poeticamente, anzi l’essere in opera lascia libertà d’essere all’arte, ma anche lascia libertà d’essere al mondo, lascia liberi gli dei di fuggire senza perdere la sua originalità, lascia libero il nihilismo della tecnica di clonarsi senza decostruirsi nella sua gestell, nella sua struttura ontologica, lascia libera alla mondanità il suo percorso e il suo tramonto, giacchè l’evento della sua libertà si getta e si cura quale libertà ontologica dell’essere-arte della verità-destinanza che si eventua nella physis per lasciare libera la physis di esserci anche quando gli dei fuggono e la tecnè si cura solo di klonare le entità mondane. Anche quando il werksein si sottrae per lasciare ampia libertà di dispiegamenti mondani delle entità epistemiche nella loro volontà di potenza imperativa, anche allora non fugge insieme agli dei ma abita dis-ascosto, assentemente presente l’esser-arte nella sua varietà d’essere-evento-della-verità quale aletheia della destinanza della libertà. Il suo essere dis-ascosto si eventua nel sottrarsi, il porsi aldilà, il gettarsi oltre il nihilismo della tecnè mondana, oltre il tramonto dei paradigmi epistemici ed ermeneutici per essere opera ontologica dell’interessere-nella-physis. Ma la werksein si eventua non solo nel fondale, nel grund quale setzen degli eventi ella verità, ma anche nel contempo simultaneamente, anzi kairos-logicamente, nell’abgrund, là ove gli dei non hanno mai soggiornato e gli imperativi categorici delle entità epistemiche non si sono mai avventurati, né il nihilismo della tecnè si è mai sospinto oltre, anzi l’abisso ontologico ha sempre diffuso il senso di timore del nulla o del niente, invece l’abisso è proprio l’assenza del non-ente, l’annichilirsi del nulla per lasciar liberi d’essere la mondità e l’esserci delle entità epistemicamente comprensibili. L’esser-arte dell’abisso, dell’ab-grund eventua l’ikona della radura ontologica quale ontopia dell’essere inenarrabile, inaudita, indicibile, indecidibile, mai completamente interpretabile, né epistemicamente fondabile nelle categorie imperative della volontà di potenza della tecnè-klonica o della ermeneutica metafisica trascendentale pre-post-fenomenologica. Per gli eventi dell’essere abisso ontologico della physis c’è solo la comprensione dell’essere arte all’opera, in attività, in interagenza tra l’essere e la sua radura vuota ontopica. Solo la werksein, la messa in opera dell’essere dell’arte consente al musagete di accogliere l’ascolto dell’opera d’arte che si getta nell’abisso della radura ontologica per gettare le fondamenta del fondale ell’esser-arte quale ikona della physis, del mondo, dell’interessere, dell’interesserci, dell’interagenza ontopica. Ma quella ikona non è mai epistemicamente presente, si disvela solo nel suo essere indisascosta o dis-ascosta ontologicamente inaudita per i più ed indicibile: solo al musagete presente evidentemente, solo l’interagenza del musagete consente all’evento dell’essere abissale di gettarsi nell’opera dell’aletheia dell’esser-arte. Solo il musagete disvela il mistero o l’enigma dell’opera d’arte: l’arte ama nascondersri o essere sempre indisascosta, ma nel medesimo istante, per paradosso epistemico o ermeneutico, l’esser-arte ama disvelarsi, ama discoprire la sua radura abissale, la sua physis ontopica, la sua gestell ontokronokairoslogica oontokairostopica. Solo così l’esser-arte si dispiega all’infinito nell’a-peiron, nel senza-limiti mondani, nel sub-lime, ma la sua gettanza fonda il fondale topologico, ontopico altrochè epocale ontocronico, si dà per raccogliersi-in-un-confine, si getta per eventuare la gestell, la struttura ontologica dell’interagenza con la physis: delimita la spazialità del sentiero ininterrotto della destinanza dell’essere configurazione ikonica della radura ontologica ove l’essere possa abitare poeticamente. Solo con l’esser-arte si evntua la disascosità dell’aletheia, mai adeguata onticamente o epistemicamente o ermeneuticamente, ma sempre sottratta all’evidenza della mondità, ma visibile alla contemplazione del musagete, inaudita ma udibile, paradossale o eristica ma morfo-genica per la destinanza e l’interagenza dell’interessere e dell’interesserci. Lì in quel apparente paradosso o eristica epistemica o ermeneutica la verità stessa è dis-ascosta, anzi l’aletheia si disvlela quale dis-verità o essere opera della dis-aletheia dell’esser-arte, si discopre quale dis-inveramento della gestell-arte o struttura ontologica dis-inverata della dis-verità dell’opera d’arte. La verità nell’opera d’arte ci appare quale aletheia-della-dis-inveratezza-dell’essere, o meglio quale verità-dis-ascosta-della-dis-inveratezza dell’esser-arte, giacchè l’arte ama la disinveratezza, ma ama anche la dis-ascosità della disvelatezza dell’aletheia dell’esseRe. Nella sua eristica epistemica ed ermeneutica del nascondersi e disvelarsi la disascosità della verità dell’esser-arte getta nella radura le fondamenta del sentiero della destinanza ontokronotopica, quale gestell dell’essere-opera dell’opera d’arte o meglio nell’esser-opera è all’opera la verirà dis-ascosta della dis-in-veratezza o che nell’essere opera d’arte vi è custodita e curata l’aletheia-dis-ascosta della dis-in-veratezza dell’esser-arte. Quando si legge o si ascolta una poesia, quando si contempla una immagine nelle sue relativa varietà dimensionali palesi o nacoste, quando l’inaudito aleggia dalla voce dell’esserci dal talento geniale del musagete è all’opera la verità dis-ascosa della dis-in-veratezza dell’esser-arte ed è quell’aletheia che si disvela nella radura vuota e che traccia il sentiero ininterrotto della destinanza dell’interessere. L’interagenza e l’eristica di quella verità-dis-ascosità getta le fondamenta dell’epoca dell’imagine della mondità o della sua bellezza o della sua classicità o della sua rinascenza o della sua surrealtà: la bellezza è, sarà, fu la varietà della verità-dis-ascosità custodita e curata nell’opera dell’esser-arte. Quella interagenza consente all’arte di essere-creata dall’esserci-musagete o meglio solo quando l’opera d’arte è creata dall’essere-verità-dis-ascosa della dis-in-veratezza o che almeno quell’aletheia vi abiti poeticamente, solo allora la verità è arte e l’arte è la verità dell’essere opera d’arte. Lì si dà l’arte o l’arte si dà quale werksein: l’origine o l’originalità dell’opera d’arte o del musagete è l’arte della verità dis-ascosa della dis-in-veratezza dell’esser-creata, custodita e curata nella radura ove si disveli la destinanza dell’interessere. Si può intuire che la verità ontologica sia anche in opera nella mitopoiesis o forse nel mito quale aletheia dell’esser-arte almeno in apparenza, ma una più approfondita ermeneutica ontologica ci svela come non sia così semplice: nel mito la verità non è in opera quale aletheia-in-dis-ascosità-dis-in-veratezza, ma quale verità-adeguatezza ontoteologica che conforti il sacro senza creare ermeneuche eristiche, anzi quella stabilità epistemica può dispiegare metafisiche influenti per la verità-epistemica o verità tecnica fondata su modelli della matesis. Nella mitopoiesis invece il musagete ascolta la messa in opera della verità ontologica la sola che gli consenta l’interagenza con l’esser-arte della verità quale opera d’arte creata dall’essere che eventui l’essere-creata dal musagete. L’essere-creata dell’opera d’arte eventua l’epistemica ontologica della tecnè, ma soprattutto discopre l’evento della aletheia-dis-ascosità quale gestell della destinamza dell’essere-arte-creata dall’interagenza dell’esserci con la radura vuota e senza limiti, la radura sub-lime del fondale ove l’interessere possa soggiornare poeticamente in sinestesia con l’evento della verità-disascosità-disvelatezza-dis-verità-dis-aletheia. Qui nella mitopoisis come mell’ontopoiesis o nella poiesis stessa l’epistemica on tologica della verita si discopre quale in-disasconsità, ma anche quale dis-disascosità, meglio in aletheia e in dis-aletheia, in velatezza e disvelatezza indicibile ma sempre creata dall’esser-arte dell’interesserci con la physis. Solo quando l’esser-creata custodisce e cura l’aletheia-disascosità si eventua l’attrazione verso l’opera dell’esser-arte, anzi è la verità-attanza che attira la contemplazione dell’esserci, è l’aletheia-attanza che discopre il sentiero ininterrotto della destinanza d ell’essere-arte-creata-dall’essere
Wednesday, September 16, 2020
spacetime Solo l’arte ci potrà salvare? di GIACINTO PLESCIA
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