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GIACINTO PLESCIA Ontologia dell'opera d'arte
Già nelle origini della
ermeneutica poetica la mimesis disvela la fondatezza della physis:
aldilà della classicità simulativa, imitativa, clonante, tautologica, la
mimesis quale apprensività attraverso lo sguardo, cattura con la vista,
con gli occhi l’essere che si disvela nella sua physis. E’ l’esserci
che com-prende contemplando l’eventuarsi della physis dell’essere,
della natura dell’essere, dell’essere-nella-mondità. E’ la mimesis del
disvelarsi dell’essere poetante…o l’ontologia dell’icona della physis
quale ontologia dell’ikona dell’essere nel mondo. O l’ontologia della
temporalità della physis che si disvela nel mondo quale spazialità
immaginaria nella radura immaginaria ove s’eventua quale opera d’arte
immaginaria… anzi l’ontologia fluttuante dell’essenza dell’essere
poetante dà senso e dà alla luce la physis, non la imita o la modella o
la ricorda, la divela quand’era abbandonata nell’oblio dalla fuga
precipitosa degli dei epistemici, mitici, tecnici, ontoteologici quali
il deus ex machina, la macchina poetica aristotelica. E’
indispensabile intraprendere gli studi e le ricerche dell’ontologia
dell’opera d’arte, giacchè nel nuovo millennio tutte le configurazioni
del sapere epistemico, ma anche le ontologie ermeneutiche, hanno
evidenziato i propri confini aldiqua dell’essere-opera-d’arte, per
concentrarsi solo sull’ontica, sulle entità narrate o sulle superentità
ontoteologiche. L’epistemica dell’opera d’arte si è confinata nella sua
ortogonalità calcolante, l’interpretanza ermeneutica ed intenzionale
non si cura di offrire una fondatezza né alla nuova epistemica, né alla
matesis virtuale, né alla physis immaginaria, né alla temporalità
ontologica, men che mai dà fondamenta stabili alla struttura ontologica
dell’opera d’arte. Solo il pensiero della disvelatezza resiste, o
persiste nella sua re-esistenza, sostenuto dalla sua struttura
ontologica fondata sull’essenza
dell’essere-opera-d’arte-nel-mondo-per-la-morte. Ma la sua origine, o
originalità o singolarità, non dispiega la sua pregnanza oltre la soglia
del pensiero poetante che contempla poeticamente l’opera d’arte o la
interpreta infinitamente nella temporalità kairos-logica più tosto che
cronologica. Per raggiungere anche i sentieri interrotti della physis
poetante dell’opera d’arte e quindi anche la fondatezza non tecnica
della teknè, o il fondamento non epistemico dell’epistemica, la physis
dell’opera d’arte si dovrà eventuare nella struttura ontologica
dell’essere animati, aldilà dall’essere solo opera inanimata, per
gettare le fondamenta nella radura, nel vuoto quantico epistemico, della
topologia fluttuante dell’essere opera d’arte che si dà alla mondità
per inter-essere o inter-esserci opera d’arte dell’essere animato che
getta quale icona dell’essere-nel-mondo-della-morte-dell’arte. Può
l’ontolgia dell’opera d’arte raccogliere gli eventi gettati nel sentiero
dell’essere ed intraprendere la biforcazione dell’oltre che conduce
alla radura, alla spazialità topologica sgombra dalle temporalità
epistemiche o anche ermeneutiche, per approdare alla libera luce senza
fondo, senza fondale, senza fondamenti epistemici, senza grund ma solo
ab-grund, abissi ove l’evento dell’ikona poetante dell’essere possa
abitare poeticamente quale opera d’arte dell’essere-poetante? E’
inevitabile intraprendere perciò il sentiero interrotto dell’ontologia
dell’opera d’arte la quale ci porterà all’ascolto dell’intermittenza
dell’essere-poetante-poeticamente-opera-d’arte-nel-corso-della-temporalità-immaginaria,
ma anche delle temporalità kairoslogiche o kronoslogiche che si
disvelano nella radura illuminante del kaosmos o nel campo morfogenico
della physis dell’interessere o dell’interesserci animato dell’opera
d’arte. Il sentiero, il meta-odos, il metodo, il seynweg che condurrà
l’ontologia dell’opera d’arte verso la radura, sgombra, libera dalle
scorie della volontà di potenza come opera dell’arte o della tecnè
dell’imperativo categorico dell’epistemica tecnica vittima del pensiero
calcolante, clonante, simulante, imitante, mimetico, quale mimesis
dell’arte; ma anche oltre la classica decostruzione ermeneutica
dell’ontologia storica privilegiante l’essere inanimato dell’arte o il
superente ontoteologico, per abitare il vuoto ontologico là ove la
seinpoiesis, l’ontopoiesis, possa disvelare la sublimità
dell’interessere o interesserci opera d’arte dal classico alla
temporalità virtuale. La ricerca filosofica della nuova ontologia
dell’opera d’arte avrà quale priorità la libertà dell’essere poetante
nella mondità e nella physis poetante: in qualità d’essere libertà
poetante dell’interessere o dell’interesserci nell’opera d’arte nel
corso del tempo. E’ ineludibile nella nuova epoche del nuovo millennio
intraprendere il sentiero interrotto, la seinweg che ci conduce
all’ascolto dell’intermittenza poetante dell’opera d’arte nel suo
eventuarsi quale ikona dell’interessere o interagenza dell’interesserci
dell’ontopoiesis o della seinpoiesis. Gli eventi intermittenti
dell’ontopoiesis dell’opera d’arte si gettano nel campo morfogenico e
nella radura ontologica per sgombrare prioritariamente le scorie e
lasciare libertà di campo topologico all’evento dell’ikona dell’essere
quale opera dell’arte dell’interessere o dell’interesserci abitante
poeticamente la physis, la natura, dell’opera d’arte. Senza la libertà
dell’essere opera d’arte quale libertà dell’essere nell’essere in physis
poetante l’interessere non può abitare poeticamente la physis
dell’opera d’arte, la natura ontologica, la struttura ontologica
dell’arte. L’intermittenza dell’interagenza dell’interessere o
interesserci assentemente presente o presentemente assente,
nell’ontologia classica o poetante, abitò già nell’origine la tecnè o
meglio nell’ontologia della tecnè ovvero nell’ontologia dell’opera
d’arte. Quale opera d’arte prima dell’evento della tecnica, quale arte
prima d’essere opera tecnologica dell’arte sia nella progettuali che
nella poetica, sia nella gestell, quale struttura ontologica dell’opera
d’arte che nella morfogenesi della configurazione ikonica o immaginante.
Ma l’ ontologia dell’opera d’arte si disvelò assentemente presente
anche nella matesis trasfigurante l’arte in tecnè, quale topologia
dell’essere o interagenza dell’interessere o interesserci nella mondità
prima di fossilizzarsi in epistemica del pensiero calcolante inanimato
che contempli onticamente solo le entità della mondanità o le
superentità delle ontoteologie conflittuali per le egemonie
fondamentalistiche o relativistiche, clonanti metafore narrative
algebriche, poliedriche, cabalistiche, iconoclastiche innanzi tutto
quali artefici di roghi dell’icona dell’essere nel mondo o evento
dell’ikona dell’essere nell’opera d’arte. Il luogo ove storicamente
quegli eventi si evidenziano è la gestell dell’opera d’arte quale
epistemè dell’essere alla mano, saper fare poetico, interagenza poetante
che si dà, si getta nell’impianto, nella struttura ontologica
abitandole poeticamente…successivamente quella eventualità mondana
decade in volontà di potenza attanziale, attraente, attuante,
attrattoriale, imperativa categoricamente di una superentità mondana,
valorizzante storicamente solo ontoteologie mitiche fondamentali solo
epistemicamente ed ermeneuticamente frattali e sferiche. Il ritorno al
futuro dell’ontologia dell’opera d’arte disvelerà un altro possibile,
virtuale, sentiero ininterrotto attraversante sia la matesis topologica
dell’essere-opera-d’arte, sia la tecnè epistemica imperativa della
volontà di potenza mondana dionisiaca o apollinea che si desideri, sia
l’epistemè abbandonata dall’ontologia classica al naufragio e al
nihilismo senza orizzonte, senza fondale, né fine, né senso, né futuro,
né salvezza. E’ ineludibile intraprendere sintagmaticamente la ricerca,
giacchè l’ontologia classica ha eluso la fondatezza non matematica
della matesis, la fondatezza non logica del logos, la fondatezza non
mitica del mitos, la fondatezza non epistemica dell’epistemè, la
fondatezza non tecnica della tecnè, la fondatezza non artigianale, o
seriale, dell’opera d’arte: proprio nell’epoca ove quelle varietà
superontiche rischiano di imporre le loro imperanti volontà di potenza
ontoteologica fondamentali sta. Purtroppo per gli artefici dell’oblio
dell’ontologia dell’opera d’arte quella presenza strisciante si dispiega
nelle fondamenta dell’imperativo categorico del pensiero calcolante
della tecnè, ma anche nella decostruzione ermeneutica e fin’anche
nell’ontologia classica, o là ove il pensiero poetante non sappia
disvelare tutta la sua sublime poiesis quale opera d’arte
dell’ontopoiesis dell’interagenza dell’essere poetante. Ma perché
neanche l’ontologia classica ha disvelato i dispiegamenti, sia pure
intermittenti dell’interesssere o dell’interesserci dell’opera d’arte
nella physis poetante.
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